C’è un biotrauma da scongiurare

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Manifesto di The Leftovers - Svaniti nel nulla (2014).

Tra le cose da scongiurare, in questi disperati giorni di quarantena, c’è la possibilità di un biotrauma sociale. Con il termine «biotrauma», in campo medico, si intende una risposta infiammatoria del corpo all’uso prolungato di ventilatori polmonari, un dispositivo artificiale che purtroppo abbiamo imparato a conoscere bene proprio a causa dell’emergenza Covid. Il biotrauma che bisogna scongiurare, in questo caso, è di tipo psico-sociale e politico. Nell’attuale situazione caratterizzata dalla quarantena e dal distanziamento sociale, siamo stati forzati a continuare le nostre vite, a portare avanti le nostre abitudini e il nostro lavoro attraverso l’uso degli schermi. Molti di noi ne hanno fatto uso per la prima volta e l’entusiasmo, come pure i vantaggi in certi casi, non hanno tardato a manifestarsi. Siamo stati in grado di continuare a respirare, dal punto di vista sociale, attraverso i nostri nuovi ventilatori: gli schermi.

Ma il loro uso inedito, prolungato e impiegato in ogni situazione, potrebbe provocare un biotrauma sociale. Ovvero una reazione scomposta, di rifiuto e insofferenza verso quelle stesse interfacce che ci hanno permesso di andare avanti, nonché verso lo stato di quarantena stesso. Si tratta di una reazione paradossale, dettata proprio dal grande potenziale di controllo offerto dalle relazioni rese possibili dagli schermi. Grazie a questi ultimi possiamo, infatti, controllare molto bene ciò che gli altri possono vedere di noi.  Non sono mancati in questi giorni di quarantena i divertenti aneddoti su come ci siamo attrezzati a ingannare l’altro, controllando al massimo la nostra esposizione in video: dagli stratagemmi ingegnosi degli studenti, che ingannano i loro docenti mettendo una loro immagine che li ritrae attenti mentre fanno altro, alle più comode soluzioni con giacca e cravatta e pantaloni del pigiama per colloqui e sedute di laurea.

Tuttavia è proprio questa dose inedita di controllo, che pure nella vita «normale» è aumentata negli ultimi anni anche se non come in questi giorni, a generare un’insofferenza, una reazione infiammatoria psichica, verso qualcosa che non possiamo controllare: questo stesso stato di contenimento. Siamo forzati a vivere in questo modo ed è proprio ciò che non riusciamo a controllare. Invitati a controllare ogni cosa, diamo di matto se qualcosa comincia a sfuggire al nostro controllo. Così pensiamo di essere in uno stato di guerra, utilizzando metafore militari, individuando un nemico a cui farla pagare adesso e dopo. Perché gli effetti del biotrauma sociale si vedranno soprattutto dopo.

Una prima forma, assai precoce, di biotrauma abbiamo avuto già modo di constatarla nei filosofi, soprattutto in quelli tecnofobi. Coloro che hanno da sempre condannato la tecnica, in ogni sua forma, non hanno tardato a vedere, fin dai primissimi provvedimenti restrittivi, una catastrofe all’orizzonte, economica e soprattutto politica. Il caso di Giorgio Agamben è certo esemplare. Dobbiamo distruggere i nostri schermi, spegnerli del tutto? La soluzione che vedo per il momento è di tipo farmacologico. Possiamo utilizzare gli schermi contro gli schermi. Perché possono essere un surrogato della vita, ma anche un modo per vivere altro, altrove, con la nostra mente. Sto parlando, ovviamente, di ciò che possono rendere possibile le nuove serie tv. Proprio la loro complessità e la loro capacità di attrarci possono rivelarsi farmaci efficaci per sospendere o non alimentare la nostra ansia da controllo. Anche perché molti lamentano la scarsa capacità di concentrarsi su un libro e forse una serie televisiva può essere un primo modo per staccare, per poi proseguire nei modi più diversi. Più di una di queste serie tv può farci riflettere criticamente su ciò che stiamo vivendo, evitando complottismi e ambientalismi isterici.

Prendiamo, ad esempio, una serie tv come The Leftovers, terminata ormai qualche anno fa. Recuperatela se potete. Creata da Damon Lindelof (tra i creatori di Lost) e Tom Perrotta (l’autore dell’omonimo romanzo da cui è tratta la serie), The Leftovers parla della misteriosa sparizione del 2% della popolazione mondiale, in un solo istante, in un giorno di ottobre. L’umanità si divide allora in varie fazioni, ognuna con una sua spiegazione dell’evento: chi parla di un fantomatico «rapimento divino» in riferimento a una profezia biblica, chi azzarda le più strampalate ipotesi scientifiche o parareligiose, chi addirittura mette su la setta dei Colpevoli Sopravvissuti (come non vedere in questa setta una caricatura dei fanatismi ambientalisti odierni?). E non mancano gli «eroi»: in questo caso sono proprio le persone misteriosamente scomparse. La verità è che nessuno sa cosa sia veramente accaduto. Prigionieri di una caverna mentale dove ogni inspiegabile è bandito, dove ognuno contempla le ombre di ciò che riesce a spiegarsi, in ogni modo.

I protagonisti di questa serie tv, direbbe un Socrate redivivo, sono proprio simili a noi. Incapaci di vedere in un evento naturale qualcosa che sfugge alle leggi che noi abbiamo fissato e alla nostra illusione di controllo.

 

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