Farla finita con il Nazi-Liberismo

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Claire Fontaine, Capitalism Kills Love, 2011.

Il lungo disastroso ciclo neoliberista si sta esaurendo nel sangue e nella violenza come nel sangue e nella violenza cominciò. Esso si è caratterizzato come devastazione sistematica dell’ambiente, impoverimento della vita sociale, riduzione del salario, precarietà del lavoro, privatizzazione dei servizi pubblici, incitamento alla guerra di tutti contro tutti.

Questo ciclo cominciò nel 1973, quando gli ideologi neoliberisti nord-americani usarono un assassino chiamato Pinochet per distruggere l’esperimento democratico di Salvador Allende, eletto dalla maggioranza del suo popolo e ucciso dai fascisti nell’interesse dell’economia di profitto.

Il liberismo globalitario, che si presenta sotto spoglie umanitarie e democratiche si affermò grazie alla dittatura militare e alla violenza autoritaria. Negli anni di Thatcher e di Reagan la controrivoluzione sperimentata in Cile e in Argentina si generalizzò a tutto l’Occidente come violenza economica e repressione di ogni tentativo di difesa della società.
Non dobbiamo dimenticare del resto che la filosofia del Neoliberismo si fonda essenzialmente sugli stessi principi su cui si fonda il nazismo hitleriano: selezione naturale, imposizione della legge del più forte nella sfera sociale, eliminazione di ogni differenza tra la società e la giungla.

Questa filosofia nazi-liberista si è imposta nel mondo attraverso l’eliminazione delle avanguardie operaie, la ristrutturazione tecnica della produzione, la privatizzazione della scuola, del sistema sanitario, dei trasporti pubblici e attraverso l’occupazione privata dei media.

Quaranta anni di violenza nazi-liberista hanno condotto allo smantellamento dell’edificio della democrazia, all’esaurimento delle risorse fisiche del pianeta, al cambiamento climatico, alla diffusione massiccia di psicopatie aggressive talvolta suicide. Però negli ultimi giorni cominciamo a capire che dal Cile dove questa follia nazi-liberista incominciò, presto potrebbe iniziare il suo crollo.

Nelle ultime settimane abbiamo assistito a un’esplosione d rivolte distinte, disomogenee, perfino contraddittorie nelle forme e negli obiettivi: l’insurrezione ecuadoriana, la rivolta dei giovani di Hong Kong, l’ondata massiccia di protesta contro il centralismo spagnolo in Catalogna, la resistenza armata del popolo curdo contro il fascismo genocida turco.

Ora la sollevazione degli studenti e dei lavoratori cileni, iniziata come protesta contro l’aumento del prezzo dei trasporti urbani si trasforma in una critica pratica e massiccia della violenza finanziaria e chiama gli studenti e i lavoratori di tutto il mondo a scendere in strada a fianco dei ragazzini che ogni venerdì marciano contro il cambiamento climatico.

Il capitalismo è un cadavere nel quale siamo intrappolati: esso incancrenisce le potenzialità di invenzione di progresso di solidarietà. Ci dicono che non ci sono alternative al capitalismo: in questo caso dobbiamo prepararci alla guerra, all’apocalissi ambientale e alla estinzione sempre più probabile della razza umana.

Ma in verità l’alternativa esiste: si fonda sul superamento dell’ossessione economica della crescita, sulla redistribuzione delle risorse, sulla riduzione del tempo di lavoro salariato e l’allargamento del tempo di attività libera (insegnamento, terapia, azione solidale).

In ogni paese del mondo dobbiamo esprimere solidarietà agli insorti cileni, ecuadoriani, hongkonghini, ma soprattutto dobbiamo prepararci a scendere nelle strade, a fermare le attività lavorative e la circolazione del traffico urbano, ad attaccare i centri del potere economico e finanziario e a costruire le strutture per la riconversione ecologica e sociale di cui l’umanità ha urgente bisogno. Forse è adesso il momento, da tanto tempo aspettato, per assestare il colpo finale a questo modo di produzione che produce morte: attaccandolo senza respiro in tutti i luoghi.

Sosteniamo gli insorti che non si arrendono e lottano contro il privilegio. La rivolta cilena chiama la solidarietà internazionale contro il genocidio, perché si chiuda il tempo dell’orrore e dell’indegnità e inizi un’epoca degna di essere vissuta.

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