La guerra di Eli

Le donne in lotta di Daniele Vicari

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Gian Maria Tosatti, Sette Stagioni dello Spirito, 2017 - veduta dell'installazione, Museo Madre (Napoli) - Courtesy l'artista e Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee. Foto: Amedeo Benestante.

Durissimo l’ultimo film di Daniele Vicari, «Sole, Cuore, Amore», durissimo come quello che ci stanno facendo. Due ore di viaggio ogni giorno, un pullmann, una metro, un cambio a Termini, un’altra metropolitana, la sveglia alle quattro e mezza per arrivare puntuale al bar, dove alle sette meno dieci cominciano le colazioni, cornetto caldo, caffè al vetro, «potrei avere un bicchiere d’acqua».

È una vertigine la vita di questa giovane donna, madre di quattro figli, che vede quasi solo al momento della buonanotte perché, le ricorda il padrone del bar, mentre le nega un permesso per riposo, mentre le da i settecento euro mensili, che il lavoro è sette giorni su sette. Ma si può scegliere: se non ce la fa può lasciare il posto. La scelta di chi non ha scelta spacciata come una liberalità, come un atto di generosità. È questo il volto crudele del nostro presente. E più crudele è la docilità della donna, che resta muta di fronte agli assiomi del padrone, che infila il cappotto e se ne va.

La dissipazione, il prosciugamento di un essere umano, fino alla morte, non è un exemplum, non è profezia e non è nemmeno un monito su quello che avverrà se non cambiamo la strada. È quello che accade ogni giorno, ai migranti colpiti da malore mentre raccolgono i pomodori in puglia, ai rom che muoiono nei roghi, ai cadaveri pescati di fronte alla lussuria del mare di Lampedusa, agli operai soffocati nelle cisterne, a questa donna che viene trovata senza vita sulla panchina di una metropolitana, dopo aver accusato aritmie cardiache e non aver trovato né il tempo né i soldi per curarsi.

È vero che questo paradigma di orrore è universale, è vero che riguarda ogni sfruttato, ma è vero che sul femminile si innesta con maggiore violenza, perché per il femminile il dispositivo della cura è la miccia che si unisce a quella del biocapitalismo. Perché le donne danno un loro signifcativo apporto all’estrazione della propria vita da parte del capitale a causa di una logica sacrificiale che ci impregna fin da bambine.

Sullo sfondo la storia di un’amicizia bellissima tra la cameriera del bar e la sua compagna di infanzia, vicine di case, si danno l’un l’altra la cura che il mondo nega loro, l’affetto, il sostegno: una che tiene i figli fino alla fine del turno, l’altra che l’aiuta a ricucire un rapporto con la madre che non comprende questo nuovo universo di precarietà.

Quanti di noi assumiamo sui nostri corpi le stimmate delle famiglie che vedono nel nostro essere disoccupati, precari, licenziati solo un capriccio della volontà? Quanto siamo soli noi, in questo tempo orribile dove ci vuole una legge per dire che i free lance sono lavoratori, casomai si pensasse a una particolare inclinazione peversa per lo sfruttamento? Non ci resta che essere soli insieme, contro tutto. Per avere tutto. Sole, cuore, amore.

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