L’automa che verrà

Contro il lavoro, per l'abbondanza

Donato Piccolo, Thinking the unthinkable -  Courtesy di Антон Хлабов.
Donato Piccolo, Thinking the unthinkable - Courtesy di Антон Хлабов.

È un portento di libro Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale (DeriveApprodi, 2018) di Roberto Ciccarelli, fratello e compagno di mille avventure comuni, scritture collettive (a partire da La furia dei cervelli e Il quinto stato), azioni condivise e infinite giornate e serate e nottate passate insieme a molte altri alla continua scoperta di questo strambo e mirabolante mondo di quintari-e che mai conosceremo abbastanza, pur letteralmente girandoci in tondo e dentro quasi debordando nella notte, consumati dal fuoco: In girum imus nocte et consumimur igni.

Ma è soprattutto un libro importante, che focalizza l’attenzione su quanto sta succedendo. Perché la sempre appassionata e appassionante scrittura di Roberto ci immerge nel brave new world della rivoluzione digitale sospesa sulle nostre vite messe al lavoro e al profitto per altri, mentre noialtri inquieti e invisibili quintari si rivendica da tempo immemore la fine del lavoro che è sempre più senza fine, dai quarant’anni contro il lavoro di Franco Berardi Bifo allabolizione del lavoro di Bob Black, tra gli altri.

Il libro coglie nel centro di questa discrasia, distonia, direbbe il nostro amato Luciano Bianciardi, dal titolo dell’ultimo libro che non ebbe il tempo di scrivere: l’infinita ricchezza sociale prodotta collettivamente dalla cooperazione tra diversi, e con le macchine, è la fonte del nuovo ciclo di accumulazione capitalistica. Complessivamente, ma nel libro è scritta in modo assai più sapiente e coinvolgente: le nostre vite concrete immerse nella rivoluzione digitale «formano» un mondo in cui noi stessi rimaniamo invischiati tra diverse e opposte sensazioni e condizioni, ossessionati proprio dal lavoro, dalla sua mancanza, eccesso, povertà, latitanza, invadenza, assenza, quando siamo noi stessi «forza lavoro». Eppure ancora costretti a pensare e percepire il lavoro come impiego tradizionale che diviene fonte di riconoscimento sociale e definizione identitaria, quando da sempre sappiamo che semmai è la retribuzione di quel lavoro a dare riconoscimento sociale e definizione identitaria, dentro l’antiquata, eppure persistente, mentalità privatistica, proprietaria, parassitaria che tuttora ci pervade.

Le «austeriche» sirene della sindrome della scarsità ci fanno penare – e lottare tra poveri – alla ricerca di un lavoro, un «lavoretto», un impiego pur che sia, sempre più insicuro, intermittente, occasionale, indebolito, evanescente, anche nel caso della gran massa che ancora accede all’orario salariato dalle 9 alle 17, mentre intorno si dispiega quella mobilitazione permanente e totale – h 24, 7/7, come sintetizza l’odiosa lingua manageriale – che Roberto fa giustamente risalire ai cupi Ernst Junger e Carl Schmitt, legando in un sottile, oscuro filo rosso il totalitarismo nazional-socialista a quello del mercato co-gestito da Corporation globali ed élite nazionali. È l’eterna schiavitù del lavoro sotto padrone (anche se «deterritorializzato») e per la nazione («territorializzata» a partire dal fisco) che Robert Castel ci ha insegnato a vedere come l’ultima eredità, la più duratura e pervasiva, delle antiche servitù pre-moderne.

Eppure Roberto ci indica marxianamente la potenza della «forza lavoro» che siamo, da sempre contro il lavoro! Ribaltando le nostre passioni tristi, disperse alla depressiva ricerca di lavoro degnamente retribuito, nel connubio felice, inventivo, liberatorio tra la vita in comune degli esseri umani e le macchine prodotte dalla loro, dalla nostra, intelligenza collettiva, del saper ben vivere insieme. È la possibilità di una falla dentro le nostre arcaiche e abitudinarie mentalità. Condividere artifici per ridurre la paura e abitare insieme una nuova era dell’abbondanza.

Roberto credo abbia il timore di dirlo fino in fondo, ma è questo il tempo di cominciare a bramare e quindi amare l’automa che verrà. Certo, sia concessa la battuta, non solo nel caso in cui l’automa abbia il volto incantevole di Alicia Vikander, l’Ava del forse sottovalutato Ex Machina di Alex Garland (2015), che saprà vendicarsi senza certo avere bisogno del nostro sostegno, pur avendo il nostro amore.

Si tratta invece di credere fino in fondo nelle possibilità comuni e concrete di una nuova era per l’essere umano a fianco dell’automa, il cui corollario esistenziale, come del resto ci indicava già Erich Fromm cinquant’anni fa, è una psicologia dell’abbondanza che passa per la garanzia di un reddito di base capace di mettere le persone nelle condizioni di realizzare iniziative autonome, promuovere fiducia reciproca, diffondere solidarietà sociale di un’umanità in compagnia dei suoi artifici, immateriali e materiali.

È il lato solare della rivoluzione digitale e dell’automazione che dobbiamo cominciare a pensare e realizzare insieme, per un nuovo trans-umanesimo. E Roberto sembra dirci questo tra le righe del suo potentissimo libro: «forza lavoro» di tutto il mondo, uniamoci con l’automa che verrà!

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