Lo spazio politico

Il tempo e il suo incantesimo nella Turchia di Erdogan

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Claudio Cintoli e Marcanciel Stuprò, Liberazione N.d.R. 21. 03. 1974.

Nel 1954 Ahmet Tanpinar pubblica un libro capitale per capire la Turchia di oggi: L’istituto per la regolazione degli orologi. Nel libro si parla dell’istituzione di un totalitarismo morbido, sul modello piduista per intenderci, basato sull’organizzazione del tempo (che in una società musulmana è un elemento effettivamente molto importante per la gestione della giornata e dei propri spazi). La Turchia di oggi è qualcosa di diverso da quella di sessant’anni fa, senza dubbio, ma il tema del tempo rimane l’elemento essenziale per la gestione e il mantenimento di un equilibrio politico complessissimo.

Al turista, tanto quanto allo studioso, che metta piede ad Istanbul o peggio ancora nella Turchia profonda, apparirà lampante la definizione di forze in campo. Tra queste, la più debole è la politica. Non c’è bisogno di guardare a est, alla Siria, per capire quale sia uno dei possibili destini del paese; basta rilevare le ondate di profughi che quotidianamente si riversano per le strade, percorrendo le statali assolate e arrivando, infine, a mendicare nelle città. Questo flusso inarrestabile di esseri umani, che occupa i ruderi dei quartieri che ormai neppure i curdi abitano più, sta, giorno dopo giorno, cambiando la consistenza civile del paese. A questo si aggiunge il processo di islamizzazione radicale descritto con precisione da Orhan Pamuk nel suo romanzo Neve già nel 2002. Opposte a queste pressioni che insistono sulla società col peso schiacciante della Storia, troviamo quelle che fanno riferimento a coloro per cui una definizione neutrale potrebbe essere quella di «investitori».

Stiamo parlando, nei fatti degli alfieri del capitalismo, che non rappresentano certo il presente, né il futuro, ma hanno dimostrato, in questi anni, ad ogni latitudine, di avere ancora forza sufficiente per vincere il proprio duello con la Storia e resistere saldamente, almeno nell’immediato, al comando dei destini del mondo. Questa seconda forza vede, nel paese in equilibrio sul Bosforo, un motore economico di primo livello tra Europa e Medioriente, forse l’unico, appunto che valga un reale investimento.

Ecco, la Turchia, vero centro di un Mediterraneo che è a sua volta centro del mondo, si trova tra queste due forze titaniche come tra l’incudine e il martello. E appunto, mentre ancora c’è aria fra questi due elementi, si possono distinguere altri soggetti. Il più evidente e riconoscibile è un presidente che, a dispetto dell’immagine autoritaria che gli accreditano i più, calza, invece, a pennello con la metafora del vaso di coccio tra i vasi di ferro che usa Manzoni per descrivere Don Abbondio. Ha la sua stessa «crudeltà». E proprio come il curato dei Promessi Sposi, Erdogan cerca di manovrare gli elementi in modo da uscirne vivo, sapendo che il fallimento della politica potrebbe, in un istante, portare la Turchia sul baratro siriano, o peggio ancora, ad essere divisa fra due fiere vampirizzanti, il capitale e la politica internazionale, che finirebbero per trovare un accordo di spartizione armata sulle spalle del popolo.

Così, quest’uomo medio, questo dittatore al governo tanto quanto ogni turco è dittatore in casa propria, da qualche anno sta tentando un trucco interessante, il trucco insegnatogli da Tanpinar, quello di usare il tempo per controllare il territorio. In un presente dominato da altri temi di più complessa mediazione, il presidente ha riportato gli orologi indietro di quasi 100 anni reimmergendo la Turchia nell’era del nazionalismo delle grandi adunate e degli stati nazione, ormai obsoleti anche dove la loro tenuta è solida (vedi l’Inghilterra della Brexit). Con parole d’ordine semplici e di dimostrata efficacia sta cercando anche lui di ammansire la furia della Storia. Come un prestigiatore da albergo di lusso diverte i capitalisti facendo ballare la società media, argine ad un Islam davvero radicale.

E, come ne La grande magia di Eduardo De Filippo, ha congelato per finta il tempo prima che s’abbatta la catastrofe, che il martello sbatta sull’incudine, spazzando via con un tuono tutto quel che c’è in mezzo, i turchi medi, per primi, i turchi come Erdogan. E fintanto che gli spettatori e le vittime del gioco ci credono, sancendo col voto la loro fiducia, il tempo fermato o rallentato per finta sarà fermo o rallentato davvero.

Così il martello starà immobile sopra l’incudine in una stasi critica, ma miracolosamente tenuta come un fiato sospeso per ore, settimane, anni. Noi occidentali, noi analisti, guardiamo la magia, comprendiamo il trucco forse, ma ci lasciamo affascinare, sapendo che evitare il redde rationem della civiltà è ancora una specie di magia bianca. Ma che facciamo se sotto l’incantesimo volante del martello inchiodato nell’aria, che attrae il nostro sguardo stupefatto, si svolge una pulizia etnico-politica che conta milioni di vittime, in primis nel popolo curdo, quale prezzo da pagare, sacrificio tragico, olocausto offerto da un costruttore di orologi alla divinità che regola il tempo? Tacciamo, come in una vecchia poesia di Bertolt Brecht. La Storia, un giorno, ce ne chiederà conto.

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