Soggettività e composizione di classe

Note di metodo su Krahl e Negri

Studenten-Demos BRD - Besetzung der Frankfurter Uni; mitte J?rgen Krahl, Vorstandsmitglied der SDS
Hans-Jürgen Krahl durante l'occupazione dell'Università di Francoforte, 15 maggio 1968 - (AP Photo).

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““Lo stato autoritario può esercitare il dominio economico all’interno dell’impresa capitalistica solo attraverso le false delimitazioni costituzionali della sovranità capitalistica, vale a dire, solo con l’estensione all’intera società della disciplina di fabbrica””

“Perché coloro che non ne hanno bisogno sono passati alla bandiera rossa?” “È l’umanità che comprende se stessa nell’attività”((E. Bloch, Il principio speranza, citato in H.J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, Jaca Book, Milano 1973, p. 38.)). Con questa citazione da Bloch, Hans-Jürgen Krahl conclude la sua autobiografia politica durante il processo che lo vede coinvolto insieme ad altri compagni per le azioni di protesta contro il conferimento al presidente senegalese Senghor del premio per la pace nel 1968 ad opera del Deutscher Buchhandel (librai tedeschi). Si tratta di pagine ricche di intensità politica vissuta, che espongono “lo sfondo di esperienze da cui è nato il processo di politicizzazione” di un uomo che, nato in un contesto zeppo di “ideologie di “sangue e terra” è riuscito a “passare dallo stato di natura feudale di una economia agricola alla moderna società industriale capitalistica”((Ivi, p. 28.)). E qui, dalle posizioni democristiano-conservatrici della CDU al movimento antiautoritario, anticapitalista e, più in generale, al marxismo. Ma come è avvenuta questa transizione, come è stato possibile per Krahl passare “alla bandiera rossa”?

Non è il semplice lutto per la morte dell’individuo borghese, ma è l’esperienza, mediata per via intellettuale, di ciò che in questa società significa sfruttamento, la distruzione totale e radicale, cioè, dello sviluppo dei bisogni nella dimensione della coscienza umana. È l’incatenamento delle masse alle forme più elementari della soddisfazione dei bisogni, quando pure i bisogni materiali sono sostanzialmente soddisfatti, per paura che lo stato e il capitale sottraggano le garanzie di sicurezza(( Ivi, p. 38.)).

Esperienza mediata per via intellettuale: teoria e prassi, intimamente legate, con la prima che discende dalla seconda e viceversa. La riflessione di Krahl nasce nella contingenza, di più, per la contingenza. Serve una necessità politica immediata: pensare la rivoluzione nel “tardocapitalismo”, porre il problema del rovesciamento del capitalismo. È questa, con tutta probabilità, la sua forza più grande. E anche il punto di attrito maggiore con la Teoria critica francofortese, su cui pure si era formato. In più riprese si scaglia contro un sapere che ha abbandonato la possibilità di ogni intervento pratico, tanto che “il vizio immediatamente pratico della Teoria Critica” risulta essere “l’assenza teorica, nella formazione di questa teoria stessa, dell’antagonismo di classe”, che “la miseria della Teoria Critica consiste semplicemente nell’assenza della questione organizzativa”((Ivi, p. 322.)). Emblematico, a questo proposito, l’aneddoto datato 1968 in cui Krahl racconta dell’assedio studentesco al consiglio dell’Università di Francoforte: “come unico fra i professori, il signor Adorno venne dagli studenti nel sit-in. Fu colmato di ovazioni, si diresse in linea retta verso il microfono e, a poca distanza da esso, deviò nel seminario di filosofia; a un passo dalla prassi, ritornò alla teoria”((Ivi, p. 281.)).

Questa caratteristica – pensare nella e per la contingenza – è propria anche di un’altra grande esperienza del marxismo eretico. Ad altre latitudini, l’operaismo italiano sperimentava la stessa esigenza insieme teorica e pratica. E, in piena continuità, un operaista come Toni Negri ha continuato a riprodurre quel metodo, alla continua ricerca di una teoria della rivoluzione capace di adattarsi alla congiuntura. Anche in questo caso, siamo di fronte a un pensiero alimentato e che alimenta l’esperienza, come dimostra l’autobiografia dello stesso Negri((A. Negri, Storia di un comunista, a cura di Girolamo de Michele, Ponte alle Grazie, 2015.)). Anche in questo caso, l’eresia comunista deve, per prima cosa, sgombrare il campo dall’ortodossia, liberarsi di chi vorrebbe applicare ricette preconfezionate buone (forse) per la teoria, ma che nulla hanno da dire nella pratica, nella contingenza. Partire dalla prassi, quindi, per tornare nella prassi. Per la teoria, dunque, punto di partenza e di arrivo è la pratica politica.

Da questo comune intento scaturisce un metodo, anch’esso comune, che rappresenta forse una delle più grandi eredità di queste riflessioni. L’intento di questo intervento è precisamente indagare quel metodo e la sua eresia su due direttrici fondamentali: la soggettività e la composizione di classe.

Soggettività

La questione della soggettività appare, da subito, centrale. Essa attraversa tutta la riflessione di Negri, ma crediamo assuma valenza particolare soprattutto negli scritti degli anni Settanta, per via della situazione politica in cui Negri si trovava a pensare e agire politicamente. Fin dalla prima delle quattordici tesi che compongono Proletari e Stato, Negri afferma che “l’insorgenza soggettiva della lotta di classe operaia e proletaria”((A. Negri, Proletari e Stato, in A. Negri, I libri del rogo, DeriveApprodi, 2006 p. 142.)) si presenta come l’elemento in grado da una parte di moltiplicare la caduta tendenziale del saggio di profitto, dall’altra di frenare (rallentare) la reazione (ristrutturazione) capitalistica, finanche di determinare la “crisi del compromesso storico ((Tesi 8. Il soggetto della crisi del compromesso storico.)) e realizzare la “transizione” al comunismo, possibile quando la classe operaia, anziché essere mossa dal capitale, muove essa stessa e subordina ai suoi propri comportamenti il capitale. Questa dittatura, materiale ed oggettiva, della classe sul capitale è il primo e fondamentale passaggio della transizione: quando, ovviamente, il rapporto non si conclude nella mediazione capitalistica dello sviluppo bensì in quella operaia della crisi del capitale((Ivi p. 180.)).

Ne Il dominio e il sabotaggio, Negri espone una teoria rivoluzionaria che muove dal punto di vista della “autovalorizzazione proletaria”, ossia dalla necessità che il proletariato si sganci dal rapporto capitalistico “autovalorizzandosi”, e che in questo modo – distruggendo quel rapporto – determini la “catastrofe capitalistica”((Contro le letture meccanicistiche del “catastrofismo marxiano” Negri oppone l’esistenza in Marx di un nesso tra teoria della crisi e teoria della composizione di classe: “è il farsi lotta, è l’incessante modificazione interna nel rapporto tra le classi, è la continuità del processo di ricomposizione del proletariato, che determina qui i tempi e le forme della crisi. V’è di più: a questo punto l’analisi della crisi riporta all’analisi della composizione di classe operaia come unica spiegazione della crisi stessa; ma in secondo luogo questa spiegazione analitica diviene prescrizione di comportamenti, indicazione e definizione di compiti” (A. Negri, Partito operaio contro il lavoro, in A. Negri, I libri del rogo, cit., p. 71). Negri aggiunge che “solo Lenin sa leggere in termini marxiani adeguati il rapporto fra composizione politica di classe e organizzazione” (Ivi p. 72), ma i suoi epigoni, al contrario, hanno fatto “del leninismo una chiave per aprire tutte le porte, quindi una chiave falsa, dopo aver imposto l’identità di un modello rivoluzionario e la qualità della formazione sociale descritta da Lenin come schema osservabile in tutti i tempi e a tutte le latitudini” (Ivi, pp. 72-73).)). La critica al riformismo si basa precisamente su questo assunto: la politica riformista nega il nesso autovalorizzazione-destrutturazione capitalistica perché ritiene che l’unica valorizzazione possibile sia quella capitalistica, e si pone quindi come unico problema il governo (capitalistico) di questa, piuttosto che una sua esplosione contro il capitale: “per autovalorizzazione intendiamo l’alternativa che sul terreno della produzione e della riproduzione la classe operaia mette in atto appropriandosi potere e riappropriandosi ricchezza, contro i meccanismi capitalistici di accumulazione e di sviluppo”((A. Negri, Il dominio e il sabotaggio, in A. Negri, I libri del rogo, DeriveApprodi, 2006 p. 270.)). In questo testo fa la sua comparsa un riferimento a Krahl, nelle primissime note del secondo paragrafo, non a caso intitolato “Una prima parentesi (di metodo)”. Scrive Negri:

come aveva già intuito H.J. Krahl, la totalità della coscienza di classe è prima di tutto una condizione intensiva, un ripiegamento sulla totalità di un essere produttivo, che elide il rapporto con la totalità del sistema capitalistico. Autovalorizzazione di classe è innanzitutto destrutturazione della totalità nemica, spinta fino all’esclusività dell’autoriconoscimento della propria indipendenza collettiva. La storia della coscienza di classe non mi si rappresenta lukacsianamente come destino di ricomposizione omnicomprensivo ma al contrario come momento di radicamento intensivo nella mia separatezza. Sono altro, altro è il movimento della prassi collettiva nel quale sono inserito((Ivi, p. 252.))

Da una parte, quindi, il Lukacs di Storia e coscienza di classe presenta uno schema dialettico che potremmo definire “classico”, in cui nel passaggio alla sintesi la contraddizione antitetica (la classe operaia) viene “risolta”, ovvero si ricompone in una totalità (comunista, ma pur sempre totalità ricomposta). Dall’altra, Negri si richiama alla riflessione di Krahl sulla contrapposizione (più che ricomposizione) tra totalità proletaria e totalità capitalistica per rivendicare l’alterità della contraddizione (classe operaia) non solo in assenza della necessità del momento risolutivo della sintesi, ma anzi nella sua capacità di rompere precisamente lo schema dialettico presentandosi non tanto come contraddizione negativa, quanto più come soggettività autonoma.

Il mio rapporto con la totalità dello sviluppo capitalistico, con la totalità dello sviluppo storico è garantito esclusivamente dalla forza di destrutturazione che il movimento determina, dal sabotaggio complessivo della storia del capitale che il movimento opera. […] Mi definisco separandomi a fronte della totalità, definisco la totalità come altro da me, come rete che si stende sulla continuità del sabotaggio storico che la classe opera((Ivi, p. 253.)).

La costituzione autonoma della classe avviene per separazione dalla totalità capitalistica, e non solo per conflitto. L’esistenza del conflitto, infatti, non preclude la presenza di un rapporto (seppur, appunto, conflittuale), laddove al contrario la separazione ne implica necessariamente lo scioglimento. Ecco perché nel primo caso la classe operaia può ancora essere concepita come “oggetto dialettico” che occupa la posizione della contraddizione negativa, mentre nel secondo caso essa deve concepirsi come “soggetto antagonistico” in grado di rompere – da sé – il rapporto di capitale: “non voglio l’altro, anzi voglio distruggerlo, la mia esistenza è la sua destrutturazione; voglio fino in fondo invece possedere un metodo per approfondire la mia separazione, per conquistare il mondo appropriandomi della rete stessa di autovalorizzazione di classe”((Ivi, p. 276)).

La critica di Krahl a Lukacs espone lo stesso rifiuto di un approccio “trascendentale” alla classe operaia, e la necessità di calare la rivoluzione nell’immanenza (contingenza) dei proletari in quanto soggetti. Al contrario, il problema principale dell’autore di Storia e coscienza di classe risiede tanto nell’ipostatizzazione di una astorica “identità della rivoluzione” di stampo leninista((Per esempio Estratti da una discussione su Lukacs, in H.J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, Jaca Book, 1973, pp. 229-233.)), quanto nello sviluppo di un concetto di “coscienza di classe” che, in fondo, assume tratti idealizzanti che non stanno in nessun rapporto con “l’esperienza di lotta”: “il suo [di Lukacs, modo di trattare la questione organizzativa e la coscienza di classe sottintende un concetto di totalità che non giunge all’interno della coscienza psicologica empirica dei singoli proletari. Essi non possono che eseguire, post festum, le decisioni del comitato centrale che è l’unica istanza riferita alla totalità”((H.J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, Jaca Book, 1973, p. 367.)). E ancora, “perché la coscienza di classe possa veramente formarsi come coscienza partitica della totalità, il momento teorico del socialismo scientifico, sia pure trasformato e mediato, deve tradursi nella coscienza delle masse ed entrare nella loro esperienza. Questo momento di traduzione Lukacs non è in grado di indicarlo”((Ivi, p. 368.)) poiché contro la soggettività della classe operaia oppone quella che dovrebbe essere l’oggettività della sua posizione dialettica. Contro le interpretazioni astoriche e idealizzate della Rivoluzione d’Ottobre “e del partito leninista di quadri, che suggerisce modelli organizzativi meccanicistici”((Ivi, p. 362.)), Krahl oppone invece la necessità di considerare il materialismo storico come una “teoria non-conclusa”, impossibile da identificare unicamente con un partito, o una nazione. Al contrario, il materialismo storico è una teoria fluida, e così deve essere anche la prassi. Diversamente, non è possibile sviluppare una teoria rivoluzionaria per le metropoli tardo-capitalistiche. Non è possibile incappare nuovamente negli errori degli “epigoni di Marx della II Internazionale, che usarono l’immagine di un naturale e continuo progresso del genere umano per dispensare il proletariato e se stessi dal compito rivoluzionario della liberazione e per razionalizzare il proprio tradimento riformistico”((Ivi, p. 240.)). La rivoluzione non è materia oggettiva della dialettica, ma compito soggettivo del proletariato.

Composizione di classe

“Solo nell’aprile del ’17 si possono scrivere le Tesi d’aprile”((A. Negri, Crisi dello Stato-piano, in A. Negri, I libri del rogo, DeriveApprodi, 2006 p. 32.)). Lo ha scritto Negri, ma potrebbe benissimo averlo scritto Krahl. Per entrambi, infatti, la questione della soggettività, del rifiuto di un’idea meccanicistica della rivoluzione poggia su un fondamento che si fa teoria a partire dalla prassi: la variabilità della composizione di classe, tanto tecnica quanto politica, e nello specifico le mutazioni intercorse nella classe operaia delle metropoli investite dalla ristrutturazione capitalistica, ovvero dall’estensione della fabbrica – meglio, della relazione capitalistica propria della fabbrica fordista – a tutta la società((“Lo stato autoritario può esercitare il dominio economico all’interno dell’impresa capitalistica solo attraverso le false delimitazioni costituzionali della sovranità capitalistica, vale a dire, solo con l’estensione all’intera società della disciplina di fabbrica” ((H.J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, Jaca Book, 1973, p. 142)). Su questo aspetto è interessante recuperare l’analisi di Tronti ne La fabbrica e la società (1962). Punto di partenza di Tronti è la contraddizione tra socialità del processo di produzione e appropriazione privata del prodotto, spiegata come contraddizione tra il “capitalista singolo” che cerca di scomporre la socialità del processo e l’“operaio collettivo” che la ricompone davanti al capitalista, tra il “tentativo padronale dell’integrazione economica e la risposta politica dell’antagonismo operaio”. Secondo Tronti, questa contraddizione esce dalla fabbrica, si estende alla società – tanto che “fabbrica-Stato-società è il punto in cui coincidono teoria scientifica e prassi sovversiva, analisi del capitalismo e rivoluzione operaia” – e “al livello più alto dello sviluppo capitalistico, il rapporto sociale diventa un momento del rapporto di produzione, la società diventa un’articolazione della produzione, cioè tutta la società vive in funzione della fabbrica e la fabbrica estende il suo dominio esclusivo su tutta la società” (M. Tronti, La fabbrica e la società, in “Quaderni Rossi”, 2, 1962, p. 20). Aggiunge che “quando la fabbrica si impadronisce dell’intera società – l’intera produzione sociale diventa produzione industriale – allora i tratti specifici della fabbrica si perdono dentro i tratti generici della società. Quando tutta la società viene ridotta a fabbrica, la fabbrica – in quanto tale – sembra sparire”((Ivi, p. 21)). Questo ovviamente non significa che spariscono i rapporti sociali della fabbrica fordista, ma che essi si diffondono in tutto il corpo sociale, mistificati come processi di terziarizzazione quando, in realtà, sono processi di proletarizzazione. Contro l’ideologia che vuole mistificare questi processi Tronti rivendica la necessità di osservare la distribuzione, lo scambio e il consumo dal punto di vista della produzione (e la produzione dal punto di vista della valorizzazione), ovvero la necessità di osservare la società a partire dalla fabbrica. Rimane l’estensione della fabbrica a tutta la società. Diversamente da Krahl, però, questa estensione segna per Tronti la perdita di centralità della possibilità immediatamente rivoluzionaria, e manifesta in embrione la sua svolta verso l’autonomia del politico.)). Da qui, la necessità di spostare – nuovamente – il punto di vista, di concentrarsi sulla classe e la sua parzialità, al fine di sviluppare metodi organizzativi validi e funzionali. Se, come scrive Negri, “l’intera società è raccolta nella subordinazione al comando d’impresa” e “la forma della produzione d’impresa diviene la forma egemone del rapporto sociale complessivo”((Negri, Partito operaio contro il lavoro, in A. Negri, I libri del rogo, DeriveApprodi, 2006 p. 91.)), allora l’unica operazione possibile è quella di decentrare il concetto di “classe operaia” dagli inquadramenti fordisti, ovvero dalle identificazioni identitarie del movimento operaio tradizionale. Nelle parole di Krahl, occorre estendere la categoria di “classe operaia” oltre la classe operaia industriale, identificare un “lavoratore complessivo” che integra nel lavoro produttivo anche il lavoro intellettuale e, diremmo, quello “relazionale”. Magistrale, a questo proposito, la critica di Krahl a Habermas e al suo concetto di “produzione”((H.J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, Jaca Book, 1973, p. 354)). Il materialismo storico, Krahl ribadisce, va considerato come una “teoria non-conclusa”, impossibile da identificare unicamente con un partito, o una nazione. Impossibile anche da identificare con un luogo preciso, aggiungiamo noi, ovvero la fabbrica fordista nelle sue recinzioni.

Ecco perché si rende necessario per Krahl estendere il concetto di classe oltre il “proletariato industriale”:

il secondo fatto – che riguarda piuttosto l’elaborazione di una strategia rivoluzionaria da parte dell’SDS – sta nel concetto di classe proprio dell’SDS: un concetto limitato, perché, di fatto, comprende solo il proletariato industriale. Se si discute della misura in cui scienza e tecnica sono diventate oggi un’universale forza produttiva sociale ed economica – anche senza inoltrarsi nella teoria del valore – allora, secondo l’impostazione marxiana, occorre muovere dall’allargamento del lavoro produttivo. […] In altre parole: se il lavoro intellettuale è sempre più incorporato al lavoro produttivo, allora il proletariato industriale, l’esercito degli operai meccanici che svolgono un lavoro fisico, non può più sviluppare da sé la totalità della coscienza di classe proletaria((Ivi, pp. 347-348.)).

Si tratta di un passaggio che diviene ancora più chiaro nelle Tesi sul rapporto generale di intellighenzia scientifica e coscienza di classe proletaria:

Se le scienze, secondo il loro grado di applicabilità tecnica, e i loro portatori, i lavoratori intellettuali, sono ormai integrati nel lavoratore produttivo complessivo, non è più ammissibile che strategie socialrivoluzionarie continuino a riferirsi in modo quasi esclusivo al proletariato industriale. Non è in questione la possibilità, per l’intellighenzia scientifica, di sviluppare una coscienza di classe proletaria in senso tradizionale; al contrario, bisogna chiedersi quale modificazione sia avvenuta nel concetto di produttore immediato, e quindi, di classe operaia((Ivi, p. 366)).

Comprendere questa modificazione è fondamentale per elaborare una strategia rivoluzionaria che non si limiti a una sterile riproposizione di pratiche politiche meccanicistiche, identitarie e, in ultima istanza, idealizzate. Ma qual è il contesto, la congiuntura diremmo, entro cui Krahl giunge a queste conclusioni? Per dirla con le parole di Marco Bascetta, nel pieno di quello che definisce “tardocapitalismo” e delle contestazioni del ’68 Krahl si trova di fronte “da una parte, un movimento studentesco sempre più ipnotizzato dai modelli organizzativi del passato e avido di certezze dogmatiche, dall’altra una intellighenzia critica spaventata dalle sue stesse previsioni catastrofiche e combattuta tra eticità tragica e aggiustamenti riformistici e la Realpolitik del movimento operaio organizzato, che ha ormai incluso nei parametri della sua dottrina teleologico-oggettivistica le compatibilità dell’economia di mercato”((M. Bascetta, Prefazione a H.J. Krahl, Attualità della rivoluzione. Teoria Critica e Capitalismo maturo, Manifestolibri, 1998, pp. 8-9.)). Una SDS che “agonizza tra riflusso e sclerosi marxista-leninista” mentre “le organizzazioni operaie, seguite da gran parte dell’opinione pubblica democratica digeriscono tranquillamente pesantissime misure di restringimento della democrazia nella Repubblica federale”((Ivi, p. 9.)). È in questo frangente che Krahl si pone la questione della rivoluzione nel “tardocapitalismo”, “il problema del comunismo come problema del suo presente”((Ivi, p. 8)).

Un problema analogo, e una riflessione simile si possono ritrovare in Negri. Che cosa rappresenta, infatti, nella crisi degli anni Settanta la figura dell’operaio sociale, se non il tentativo di individuare nelle metropoli in ristrutturazione una nuova figura antagonista, impossibile da comprendere nella determinazione oggettivistica del concetto di classe operaia industriale? Il terreno in cui la soggettività proletaria gioca la sua battaglia antagonista tramite l’autovalorizzazione è l’intera società. “Il meccanismo attacco operaio, ristrutturazione capitalistica, riconfigurazione della composizione di classe”((A. Negri, Dall’operaio massa all’operaio sociale. Intervista sull’operaismo, ombre corte, 2007, p. 21.)) porta dall’operaio specializzato all’operaio massa e, successivamente, all’operaio sociale in senso krahliano: “dissolvere il concetto secondinternazionalista di classe operaia è rispondere alla necessità della teoria – cioè identificare le caratteristiche proprie di un soggetto che risulta dal combinato disposto delle lotte operaie e della ristrutturazione capitalistica in questo periodo storico”((A. Negri, Proletari e Stato. Per una discussione su autonomia operaia e compromesso storico, in A. Negri, I libri del rogo, DeriveApprodi, 2006 p. 145.)). Quale è questo periodo storico? Quello in cui, tanto per Negri quanto per Krahl, “la categoria di “classe operaia” va in crisi ma continua a produrre tutti gli effetti che gli sono propri sul terreno sociale intero, come proletariato”. Per questo, il percorso che entrambi presentano può essere riassunto in una traiettoria che va dall’oggettività della classe operaia, alla soggettività del proletariato. Quando, all’inizio del nuovo secolo, nel pensiero di Negri l’operaio sociale diventa “moltitudine”, non perde le sue caratteristiche di antagonismo, né tantomeno viene meno la possibilità di avvicinamento a Krahl. Tanto nella “moltitudine”, quanto nel “lavoratore complessivo” si rende necessario un allargamento all’immateriale del concetto di produzione – non a caso, Krahl si riferisce all’Università come “fabbrica di produzione scientifica”((H.J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, Jaca Book, 1973, p. 237. Va notato che in questi passaggi sia Krahl sia Negri prendono come riferimento un Marx “eterodosso”: quello dei Grundrisse e del “general intellect” per Negri, quello del sesto capitolo inedito del Capitale per Krahl.)).

Nella Premessa all’edizione italiana di Costituzione e lotta di classe Detlev Claussen scrive che “tre anni dopo la morte di Krahl, è diventato più chiaro quali siano i due momenti che nel tardo capitalismo devono essere affrontati da una politica radicale di sinistra: la politicizzazione dei bisogni spontanei delle masse e la necessità di volgere tale azione contro un nemico concreto((D. Claussen, Premessa all’edizione italiana, in H.J. Krahl, Costituzione e lotta di classe, Jaca Book, 1973, p. 11.)). Che cosa raccogliamo, oggi, da tutto questo? Per prima cosa, un metodo – tanto eretico, quanto potenzialmente efficace – di analisi, ma, soprattutto, di intervento politico. Un metodo che, a partire da questi due elementi – composizione di classe e soggettività – è insieme tattico e strategico. Tatticamente, l’analisi della composizione di classe permette di politicizzare i “bisogni spontanei delle masse”, quantomeno perché consente di conoscerli: nella congiuntura, fuori da pretese identitarie e sociologistiche di queste “masse” permette l’individuazione microfisica di quei punti in cui è possibile che il rapporto capitalistico si incrini. Strategicamente, la soggettività ci ricorda che nessuna ricetta rivoluzionaria precostituita è possibile, che non esiste nessun meccanicismo dietro la rivoluzione, che, in ultima istanza, dall’altra parte c’è un nemico concreto da abbattere. E che questo compito spetta ai proletari, poco importa che lavorino nella produzione materiale o immateriale.

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