Un monumento ai vivi

La Spirale Warburg di Bert Theis

Spirale Warburg (1000x677)
Warburg Spiral - A monument to the living (2002), Place de la République, Strasbourg, Permanent urban installation.

Come maggior parte dei lavori di Bert Theis, la Spirale Warburg (2000-2002) non si presenta al passante come un’opera d’arte nel senso comune del termine. Non può apparirgli come un oggetto concepito per essere considerato di per sé, un artefatto artistico, codificato e identificabile in quanto tale. Se non dovesse informarsi a proposito, o notare il cartello che li riporta, ignorerà che quella curiosa costruzione ha un «autore» e porta un nome che è anche una dedica. Posta in un giardino alberato, nei pressi di una fermata di tram, gli suggerirà piuttosto di limitarsi a sedervisi, se ne ha modo ed il tempo lo permette. Il fatto che si tratti di una spirale sarà presto ai suoi occhi un’evidenza formale, ma probabilmente in prima battuta non vi vedrà che un modello insolito di panchina.

Non è affatto necessario che tale costruzione sia percepita e compresa come opera d’arte: questo fa parte del suo principio. Ciò che conta, innanzi tutto, è che sia un oggetto utile, o almeno utilizzabile, e che sia vissuto e posseduto in quanto tale. La nozione di uso acquista, qui, una certa complessità, poiché questa strana struttura implica tutta una concrezione di significati. Arredo urbano per via dell’uso a cui invita, la Spirale Warburg costituisce al contempo un vero e proprio monumento per quanto riguarda la sua stratificazione simbolica, la sua localizzazione dissimmetrica, la sua funzione di orologio naturale e la dedica contenuta nel suo titolo. Quest’opera costituisce una risposta circostanziata a una commessa pubblica.

Il programma di accompagnamento artistico della Linea B del tram di Strasburgo, così come era stato delineato da un comitato di esperti, prevedeva di proporre a un artista di lavorare su Place de la République. Quel settore era stato indicato per varie ragioni. La Linea B è divisa in due rami, uno dei quali sviluppato verso nord, l’altro verso est. È uno snodo di distribuzione dei flussi. Quella fermata conduce, oggi, al Teatro Nazionale, al Conservatorio, alla Biblioteca Nazionale ed Universitaria, alla Prefettura, alla Tesoreria Generale, alla sede delle Poste, all’Assessorato Regionale alle Politiche Culturali, etc. Si tratta di una zona di servizi particolarmente densa, attraversata da un’utenza molto variegata. Ed è anche la sede di un gradevole parco pubblico, frequentato in ogni stagione, e specialmente con il fiorire delle sue magnolie : un giro fra di esse ritualizza l’arrivo della primavera per molti abitanti del quartiere e della città.

Questi motivi sarebbero bastati, ma è specialmente la dimensione storica della piazza che era sembrata tale da motivare la commessa. Place de la République, denominata Kaiserplatz fino al 1918 (e Hitlerplatz durante l’annessione del 1940-45) si situa in effetti in un punto strategico di congiunzione fra la città vecchia e la Neue Stadt, costruita dopo il 1880 secondo il progetto di J.-G. Conrath. Ne costituisce il nucleo centrale. Di forma quadrata, è cinta per tre lati da edifici, mentre il quarto è segnato dal Canal des Faux-Remparts, che costeggiava le fortificazioni antiche. In arenaria bianca, e non del rosa tipico della città vecchia (cattedrale, ecc.), i cinque edifici che cingono la piazza compongono nell’insieme uno stupefacente teatro del potere: Kaiserpalast (oggi Palais du Rhin), sede ministeriale (amministrazioni regionali), Biblioteca «pour l’Alsace-Lorraine»1 e Palazzo del Landtag (dell’assemblea regionale – oggi teatro e conservatorio). Occorrerebbe aggiungere il Palazzo dell’Università, situato nell’asse del Palazzo Imperiale, in fondo alla Kaiser Wilhelm Strasse (oggi Avenue de la Liberté): potere politico centrale e locale, potere intellettuale e culturale riuniti nel cuore della nuova capitale del Reichsland Alsace-Lorraine (questa l’iscrizione sulla facciata dell’università: Litteris et Patriae).

Al centro, un giardino circolare ricavato per migliorare l’effetto troppo massiccio del Palazzo Imperiale: erba, aiuole fiorite, alberi ormai centenari. Fra questi, oltre alle già citate magnolie, quattro magnifici ginkgo apparentemente donati dall’imperatore del Giappone a quello della Germania, e che ogni autunno ricoprono i prati di milioni di scudi d’oro. Il giardino è diviso in quattro da due sentieri perpendicolari. Senza perdersi in un’interpretazione dettagliata, Bert Theis nota, nei suoi appunti di lavoro2, che questa croce iscritta in un cerchio è un motivo particolarmente ricorrente nell’iconografia cristiana e nella simbolica del potere (divino o imperiale); così come la si ritrova come emblema di alcuni gruppuscoli di estrema destra. Cerchio, quadrato, croce: tracciati concentrici e simmetrici in cui come un sigillo s’imprime la stretta dell’impero sulla città ricentrata sulla Kaiserplatz.

Eppure, molti abitanti di Strasburgo hanno evitato questa piazza – e tutto ciò che cadeva sotto il nome di «città tedesca» – fino al 1918. Ne lamentavano, giustamente, l’inquadramento rettilineo e simmetrico, in contrasto con l’irregolarità naturale e l’organicità creativa della loro città medievale e rinascimentale: come ha scritto Sitte3, «Cosa non è stato fatto a Strasburgo pur di conformarsi alla regola tirannica della simmetrica? Si pensi alla Kaiserplatz. È possibile immaginare qualcosa di meno artistico, di più banale e di più conforme al gusto degli incolti?»

In questi giardini fu installata, dal 1911 al 1918, una statua equestre di Guglielmo I, realizzata dallo scultore berlinese Louis Tuaillon. Non fu posta esattamente al centro geometrico della piazza, come invece sarebbe accaduto al monumento ai caduti4 eretto nel 1936. Fino alla Spirale Warburg, quest’ultimo rappresentava l’unica aggiunta francese alla Place de la République, che rimase inalterata dopo il 1945, nonostante le polemiche a favore della distruzione del Palazzo Imperiale. Opera dello scultore Drivier, questo monumento di ispirazione neoclassica è un’allegoria del destino della città: «La madre (Strasburgo) tiene in grembo i due figli morenti, uno guarda verso la Francia, l’altro verso la Germania. Sono morti dopo aver combattuto l’uno contro l’altro, ma, nella morte, si stringono la mano. L’assenza di uniforme rende ancor più incisiva la forza del dramma di Strasburgo e dell’Alsazia…»5. Bert Theis, di origini lussemburghesi, allude nei suoi appunti6 alla similitudine fra il Lussemburgo e l’Alsazia: introduce una fotografia in uniforme tedesca del suo zio materno, arruolato a forza nel 1942 e disperso sul fronte sovietico.

È per questo che Place de la République è sede di ricordi particolarmente sensibili. A lungo, il progetto di farvi intervenire un artista contemporaneo ha incontrato forti reticenze politiche, e l’argomento che ha fatto accettare il progetto di Bert Theis dalla maggioranza comunale di sinistra è stato, di converso, quello che ha destato il maggior numero di riserve nella nuova giunta di destra, eletta nel 2001. In effetti, l’artista avrebbe desiderato intitolare «Monumento ai vivi» quella che è divenuta la Spirale Warburg. Non è una sorta di paradosso, in un paese che nell’ultimo secolo ha ordinato decine di migliaia di monumenti ai caduti, il veder contestata l’idea di consacrarne uno ai vivi? Resta il fatto che Bert Theis non ha potuto pensare il proprio intervento se non in termini monumentali, e sotto tale nome. Cosa aggiungere a un dispositivo monumentale tanto carico se non un altro monumento, astratto, profano, familiare, specchio invertito del primo?

La localizzazione della Spirale Warburg non è stata dettata unicamente da uno scrupolo di opportuna prossimità alla fermata del tram. Si trova all’incirca alla medesima distanza dal monumento ai caduti e da una passerella pedonale che attraversa il Canal des Faux-Remparts per sfociare sulla piazza. Nulla, a dire il vero, giustifica la presenza di quella passerella, a metà strada fra il Pont du Théâtre ed il Pont de la Poste. Nulla, se non, come attesta il nome (Passerelle des Juifs, degli ebrei), il suo essere una testimonianza della Porte des Juifs, e del ponticello che questi a lungo dovettero attraversare per lasciare, ogni sera, la città. Anche questa elegante passerella metallica del 1858 è un monumento, alla memoria dell’antisemitismo secolare. Antisemitismo di cui Aby Warburg ha dovuto soffrire nel corso dei suoi studi a Strasburgo: «…questo popolo è ripugnante: non posso uscire senza che qualcuno osservi ad alta voce alle mie spalle: «Desch ischt e Jud!»7. Sotto la foto di suo zio, Bert Theis ha incollato quella di un orologio «ereditato», dice fra virgolette, «dai nonni, appartenuto a una famiglia ebrea in fuga dalle truppe tedesche»8.

La dedica della Spirale a Warburg non serve solo a rammentare l’antisemitismo allora imperante, soprattutto in Alsazia, e di cui, per non citarne altri, ebbe a soffrire anche Georg Simmel, professore all’Università di Strasburgo dal 1914 alla morte (nel 1918), lui che dovette insegnare quattordici anni a titolo gratuito per essere tollerato all’Università di Berlino, lui che passava in questa piazza per accedere alla biblioteca o all’università, lui che, infine, fece del ponte e della porta due concetti per pensare la libertà. Tramite Warburg, la Spirale rende omaggio agli intellettuali ebrei – quelli, ad esempio, evocati da Walter Benjamin in Ebraismo e cultura tedesca, di cui Bert Theis ha incluso una copia negli appunti di lavoro. D’altronde, l’artista aveva inizialmente ipotizzato di chiamare la propria opera «Spirale ebraica». «La Place de la République è un palinsesto, con una storia ebraica sepolta sotto una storia tedesca, contraddittorio e complesso, con tutti gli ebrei che hanno fatto parte di quest’ultima…»9. Il titolo Spirale Warburg fu preferito non solo per non sollevare dibattiti sterili o fuori luogo, ma soprattutto per sottolineare l’origine a Strasburgo della famosa Biblioteca Warburg nel cui labirinto magico Ernst Cassirer temette di perdersi10.

Secondo l’indicazione di Saxl, la biblioteca universitaria di Strasburgo (dove Warburg fu studente dal 1889 al 1891) «consisteva a quel tempo di un certo numero di ambienti (cells) che ospitavano biblioteche specializzate, e lo studente era libero di usarle tutte. Warburg, nel suo bruciante desiderio di decifrare il mistero delle immagini, si muoveva dall’uno all’altro di questi seminari, inseguendo le sue tracce dall’arte alla religione, dalla religione alla letteratura, dalla letteratura alla filosofia. Offrire allo studente una biblioteca che unisse le varie branche della storia della civiltà umana: questa fu la sua decisione». La biblioteca di Strasburgo […] fu dunque per Warburg un modello11.

Monumento al contributo degli intellettuali ebrei al pensiero europeo, la Spirale emblematizza, sotto la figura di Warburg, l’idea di una conoscenza aperta, inglobante, transdisciplinare, costantemente ridistribuita e tesa a formare, nell’immagine dei libri della sua biblioteca, «un insieme di pensiero vivente»12. Simbolo classico della vita, la spirale è uno dei generi di labirinto in cui si metaforizza anche la ricerca del sapere. La Spirale di Bert Theis adotta una forma ovoidale. L’artista la fa risalire, negli appunti, alla stanza ovale della Biblioteca Warburg, che Salvatore Settis ricollega a quella dell’antica Biblioteca di Wolfenbüttel la cui struttura ellittica sarebbe stata decisa dal bibliotecario, Leibniz13. Fra le spire della Spirale Warburg, insomma, si dispiega tutta una catena di rimandi ai teatri della memoria e del sapere, ai luoghi della memoria del sapere. La sua forma ha origine nel mondo organico. La dissimmetria della sua localizzazione e della sua struttura pone un punto di disordine nell’ortonormata Place de la République, un punto di squilibrio che la fa pendere, virtualmente, verso la cultura e la creazione artistica (biblioteca, teatro e conservatorio), verso l’elogio della vita e non verso il potere e la commemorazione dei disastri bellici14.

Il motivo della spirale, ad ogni modo, non era assente dal sito. Nelle immediate vicinanze della Spirale Warburg si ergono le scale a chiocciola che conducono all’antico Palazzo del Landtag. E tale motivo si ritrova, naturalmente, in svariati elementi decorativi degli edifici della piazza, in particolare sui capitelli delle colonne e dei pilastri degli edifici ministeriali. L’operazione di Bert Theis consiste, qui, in una risemantizzazione di ciò che non era più che un pattern plastico.

Per la sua struttura ascendente, che ne fa un piccolo belvedere, la Spirale può altresì suggerire l’architettura mitica della Torre di Babele, o anche l’utopia dinamica del progetto del Monumento alla IIIa Internazionale di Tatlin. Ma il monumento di Bert Theis è un anti-monumento, non indica alcun aldilà, non esprime hubris, non festeggia credenze, non celebra eroi. Si attiene ai vivi, ai flâneur, ai passanti. Li invita discretamente alla sosta, al sogno, all’ozio. Nei primi momenti della sua riflessione su questo progetto, l’artista aveva letto ed annotato questo passaggio di una lettera di Rosa Luxemburg: «Sdraiata, senza una parola, lascio che il sole mi scaldi la pelle, osservando una famiglia di vignaioli e masticando un filo d’erba, la mente libera da ogni pensiero, il corpo intero dominato dalla sensazione: Dio, quanto è bella la vita, quanto è bello il mondo!» Gran parte delle opere di Bert Theis sono un richiamo implicito al break, un invito alla vacanza, all’impiego improduttivo del tempo, un’incitazione al non-lavoro, al recupero temporaneo di sé, della propria autonomia, del libero esercizio del pensiero e dell’immaginazione : un richiamo agli scioperati.

Ogni anno, il banano giapponese piantato in cima alla Spirale è destinato a morire e rinascere. È un albero del giardino dell’Eden, sembra, qui, caduto dal cielo. Con le magnolie ed i ginkgo, segna il ciclo del tempo naturale, è metafora della vita. Ma è anche un’icona di paccottiglia: l’altrove, il lontano, l’esotismo sotto casa o a portata di charter, come nel giardino botanico da cui proviene o nei manifesti dei tour operator. Così la Spirale appare anche come una piccola isola deserta, in cui il naufrago resterebbe solo con se stesso per qualche minuto da Crusoe, il tempo di farsi ricatturare dai flutti che lo trascineranno sino al momento del suo ritorno.

Semplicemente rivestita di tavole di legno dipinte di bianco, la Spirale Warburg ha ogni aspetto del familiare, una sorta di arredamento da giardino, ad esempio. La sua modestia vernacolare stride fortemente col decoro del luogo, così come è in contrasto, nel campo dell’arte contemporanea, con la celebre Spiral Jetty di Robert Smithson, opera mitica dell’esodo radicale tentato dalla Land Art. La Spirale Warburg si tiene nel qui ed ora della città, perfettamente disponibile, solo in attesa degli impieghi che ne faranno i passanti che riuscirà a sviare per un istante dal cammino quotidiano dove c’è da temere che si dimentichino o si smarriscano15 – a meno che non finisca per trascinarli nel proprio vortice.

Note

Note
1Questa biblioteca, costruita fra il 1998 e il 1895, doveva cancellare la tragedia della distruzione, durante l’assedio del 1870, del Temple Neuf che ospitava la biblioteca del seminario e quella cittdina : almeno 100000 volumi e quasi 5000 fra manoscritti ed incunaboli…
2Raccoglitore intitolato: Strassburg, inedito, non paginato, 2000, coll. Mamco, Ginevra.
3Chronique d’Alsace-Lorraine, vol. V, n°3, juin 1903.
4La contrapposizione con il titolo di questo scritto, Un monumento ai vivi, è molto più evidente nell’originale francese, che invece di caduti è dedicato ai morti. [NdT]
5Roland Recht, Jean-Pierre Klein, Georges Fœssel, Connaître Strasbourg, Strasbourg, Alsatia, 1988, p. 256.
6Cfr. n.1.
7Questo qui è un ebreo! [NdT]. Citato da Bert Theis, ibid.
8Ibid.
9Ibid. Bert Theis sembra qui alludere ad una leggenda di cui non abbiamo trovato conferme, secondo la quale un antico cimitero ebraico si trovava ove ora sorge il monumento ai caduti. La sua osservazione può anche essere intesa come riferita alla storia tedesca presente in Place de la République, ed oggi sepolta sotto la sua storia francese.
10Cfr. Salvatore Settis, «Warburg continuatus. Descrizione di una biblioteca», Quaderni storici, LVII (1985), pp. 5-38
11Salvatore Settis, op. cit
12Ibid.
13Ibid.
14Cfr. Bert Theis, ibid.
15«Come il tram, è accessibile alle sedie a rotelle, alle biciclette, ai passeggini, ai roller, ecc. La gente può sedervisi per aspettare il prossimo tram, per riposarsi, per riflettere, per leggere, per osservare il viavai dei passanti. La si può utilizzare come belvedere, poiché offre svariati punti di vista man mano che si sale verso il centro. Ci si può riunire in gruppo nel suo mezzo. È possibile sdraiarsi su di essa per perdere tempo, per sognare, per prendere un po’ di sole…» Bert Theis, ibid.

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