Un’altra fine del mondo è possibile

Marco Fusinato, Double Infinitive 2009 (1000x666)
Marco Fusinato, Double Infinitive 5 (2009) - From the series Double infintives. Art Gallery of New South Wales Contemporary Collection Benefactors (2013) © Marco Fusinato, courtesy the artist and Anna Schwartz Gallery.

Diciannove anni dopo Genova, quando dicemmo «un altro mondo è possibile», qualcuno a Minneapolis ha scritto su un muro «Another end of world is possible». Credo che solo a partire da questo sentimento la soggettività contemporanea può essere interpretata, e se possibile, orientata. A Genova ci prendemmo tutti uno scago bestiale, e perdemmo un po’ la bussola. Era la prima volta (non proprio, ma quasi) che nell’esperienza dei movimenti facevamo i conti con la tortura, l’occhio clinico del carabiniere-medico-nazista che sa dove colpirti per distruggerti.

Infatti ci distrussero. Da quel momento ci mettemmo a balbettare di democrazia, di unità Europea, cazzate di cui avevamo riso quando eravamo in possesso della nostra mente, quando ragionavamo materialisticamente in termini di classe, non di mitologie politiche prese in prestito dall’armamentario concettuale di un nemico spietato che usa il fascismo e la democrazia come arnesi diversi ma complementari. Dopo Genova io partii per l’Himachal Pradesh dove mia nipote monaca pianse leggendo il giornale che io le avevo portato perché sapesse di Genova e di Bolzaneto. Nel luglio del 2017 il movimento si ritrovò ad Amburgo dietro uno striscione enorme che dice: Welcome to the hell.

Da metà maggio 2020 nelle città americane è esploso un nuovo grande movimento insurrezionale la cui coscienza si esprime nelle parole scritte su un muro di Minneapolis: «Another end of the world is possible». Io non so far di conto, e mi è difficile calcolare al millesimo la profondità dell’abisso economico che si è spalancato all’inizio del 2020. Una cosa mi pare certa: il crollo della domanda non è un fatto economico, ma psichico, prossemico, relazionale. La domanda non risalirà: la domanda non dipende solo da quanto denaro hai in tasca, ma anche dalla quantità di energia psichica di cui disponi per andare al supermercato. Per questo direi che la versione neoliberale del capitalismo è finita, e non ne vedo una di ricambio.

Quella che si delinea è una riedizione feroce delle tecniche di estrazione di valore che appartengono al modello schiavistico, accompagnata dall’assalto estrattivista a quel resta delle risorse fisiche del pianeta. Si guardi all’azione di Bolsonaro, coerentemente genocidaria, al piano di distruzione della popolazione e della foresta Amazzonica. Il New York Times pubblica i risultati di un’indagine di Propublica: nei prossimi anni un miliardo di persone saranno costrette ad abbandonare il loro luogo di abitazione per ogni grado di aumento della temperatura.

Poiché la sola cosa che so fare è guardare ciò che non si può vedere come il cieco Tiresia, allora mi soffermerò in particolare sull’abisso americano che si spalanca, perché è là che l’insurrezione suicida ha preso avvio. L’America non sopravviverà a lungo, in my humble opinion, anche se io non avrò il piacere di assistere alla sua finale disintegrazione. Nelle parole urlate durante l’insurrezione che non accenna a concludersi, posso leggere i sintomi di una guerra civile e di uno sgretolamento di quel paese che é la malattia terminale del genere umano. Qui di seguito riporto un testo che ci può aiutare a comprendere quel che sta accadendo.

Si tratta di un testo «letterario» pubblicato dalla rivista più interessante del momento: zerohedge.com, una rivista suprematista moderatamente trumpista, radicalmente operaista. Poiché sono assiduo lettore di questa ripugnante utilissima rivista ha attratto la mia attenzione un articolo di Wayne Allenswroth: anzitutto mi ha colpito il riferimento al film che nel 1939 John Ford trasse dal romanzo di Steinbeck, che in italiano è intitolato Furore e in inglese The Grapes of Wrath.

Cacciato dalla terra che da tre generazioni appartiene alla sua famiglia, Muley affronta il bulldozer che viene a demolire la sua casa, imbracciando un fucile. Il romanzo di Steinbeck mette in scena una comunità di lavoratori agricoli dell’Oklahoma nei giorni della depressione. In conseguenza del loro indebitamento e del contesto finanziario che loro non sono in grado di comprendere, questi lavoratori ricevono la visita degli sgherri del padrone che comunicano il messaggio: dovete andarvene da questa terra.

«Alcuni degli uomini del padrone erano gentili perché odiavano quel che stavano facendo, altri erano arrabbiati perché detestavano essere crudeli, ma tutti sapevano di essere presi in qualcosa più grande di loro. Alcuni di loro odiavano la matematica che li aveva condotti lì, alcuni erano spaventati alcuni invece adoravano quella matematica perché forniva un rifugio dal pensiero e dal sentimento. Se una banca o una compagnia finanziaria erano proprietarie della terra, questa avevano bisogno, volevano, insistevano nell’avere, dovevano assolutamente averla, perché la banca o la compagnia finanziaria sono un mostro che deve fare profitti in continuazione. Non può aspettare. Altrimenti muore. Le tasse vanno avanti. Quando il mostro smette di crescere muore. Non può rimanere delle stesse dimensioni».
Steinbeck: The Grapes of Wrath, traduzione italiana: Furore

Con dolorosa intensità Steinbeck denuncia l’impotenza che i lavoratori, e anche i funzionari del padrone sono costretti a vivere di fronte al mostro del capitalismo finanziario. Ma la cosa interessante è che zerohedge, questo organo della destra trumpista ripropone Steinbeck mentre la pandemia riporta lo scenario della Depressione. Riprendo la lettura del romanzo:

«Alla fine gli uomini del padrone vennero al punto: Il sistema di mezzadria non funziona più. Un uomo su un trattore può sostituire dodici o quattordici famiglie. Gli paghiamo un salario e produce tutto il raccolto. Siamo costretti a farlo. Non ci piace, ma il mostro è ammalato.

I mezzadri siedono per terra mentre l’avvocato sta parlando e infine dice: Ve ne dovete andare dalla terra. Gli uomini seduti si alzarono incazzandosi. Mio nonno ha presto questa terra, ha dovuto uccidere gli indiani e cacciarli via di qui. Mio padre è nato qui, ha ucciso i serpenti e strappato le erbacce. Poi è venuto un anno cattivo e siamo stati costretti a prendere un po’ di soldi in prestito. Noi siamo nati qui: Papà ha dovuto prendere altro denaro in prestito. E a quel punto la banca aveva la proprietà della terra, ma noi stavamo qui e prendevamo una parte di quel che potevamo raccogliere.

Ma gli uomini del padrone sono inflessibili. Ci dispiace. Non siamo noi che lo vogliamo è il mostro. La banca non è come un essere umano. Ma il mezzadro gridò: Mio nonno ha ucciso gli indiani, mio padre ha ucciso i serpenti, forse noi possiamo uccidere le banche, che sono anche peggio degli indiani e dei serpenti….

Ma a questo punto gli uomini del padrone si arrabbiano. Dovete andarvene. Prenderemo le nostre carabine, come il nonno quando arrivarono gli indiani. E poi? E allora verrà prima lo sceriffo, poi verranno i soldati. Se rimanete qui siete colpevoli di furto… il mostro non è umano, ma può fare quel che vuole degli esseri umani…»

Queste pagine illuminano un sentimento e una mitologia che ci spiegano quel che sta dietro Trump, quel che fa la sua forza. I bianchi che hanno conquistato questa terra, che per colonizzarla hanno dovuto uccidere gli indiani, sono sotto minaccia per colpa del globalismo liberale. Trump è la loro arma contro la minaccia globalista. Il popolo del secondo emendamento ha ora l’ultima opportunità di salvare il suo predominio sociale: questa opportunità è Trump. Lo scrive Wayne Allenswroth, l’autore dell’articolo The Old America Is Dead: Three Scenarios For The Way Forward, che ripropone Steinbeck.

«Il nostro popolo la nostra cultura, la nostra storia tutto quel che abbiamo caro, oggi subisce l’attacco del Main Stream Media, dei politici, degli attivisti e dei magistrati, aiutati e sostenuti dai nemici interni, che spesso sono nostri figli e nostri amici, ma hanno interiorizzato la calunnia sinistrorsa del sangue, la narrazione di una America irrimediabilmente razzista che deve essere rasa al suolo. Il nostro nemico in questo caso il Blob globalità e i suoi militanti aspiranti Che Guevara, il Mainstream System Media, la burocrazia, le grandi corporazioni e il sistema educativo. Ma fino a poco tempo fa il Blob non aveva fatto i conti con la Nazione Storica Americana che si è ora alzata in piedi. Il Blob è amorfo, scivoloso, e si infila nelle crepe sociali economiche e politiche poi attira la sua preda nelle sabbie mobili.

Ma a un certo punto è stato eletto presidente Donald Trump. Il Blob ne fu scioccato. Il Cattivo dalla faccia arancione sembrava minacciare il piano di farla finita con la Nazione Storica Americana. E così, dal novembre 2016 il Mainstream System Media ha tenuto il paese sotto il fuoco isterico di una crisi artificiosa dopo l’altra: Russiagate, Ukrainiagate, il panico del virus cinese, il lockdown, il crollo dell’economia, e adesso il mito che George Floyd e i neri sono cacciati dai bianchi, e quindi le folle che distruggono col fuoco le città americane. Usando il virus cinese e le rivolte come copertura, il Blob e la sua ala militante, Antifa e Black Lives Matter, hanno portato a nuovi livelli l’anarco-tirannia».

Questa mitologia suprematista ha radici profonde non solo perché è sostenuta da un esercito di bianchi armati fino ai denti cui Trump ha dato un’identità politica, con la definizione «popolo del secondo emendamento». Ma anche perché costoro portano nella loro memoria questa mitologia che Steinbeck sintetizza genialmente nella sue pagine. L’articolo si conclude poi con un incitamento aperto a preparare la guerra civile:

«Se noi facciamo affidamento soltanto sulla politica elettorale perderemo soprattutto perché si sta chiudendo il cerchio demografico I vincitori non ci daranno tregua. La vita politica che abbiamo conosciuto in passato è finita. L’America in cui siamo cresciuti e che amavamo è morta. Le elezioni sono al più un’azione di resistenza. Ma sembra improbabile che Trump, o chiunque altro, possa per esempio deportare e spinge all’auto-deportazione decine di milioni di alieni illegali, anche se può desiderarlo».

Trump non può far da solo tutto il lavoro. Dobbiamo prendere le armi e fare il lavoro con lui: deportare decine di milioni di immigranti illegali. Lo abbiamo fatto un paio di secoli fa quando deportammo gli indiani, quando massacrammo gli indiani. Dobbiamo farlo di nuovo. Follia? Certo, ma è proprio questo che i politologi non sono in grado di capire: che solo la follia è in grado di comprendere un mondo che è totalmente fuori controllo. E che succede se Trump perde le elezioni di Novembre? si chiede Allenswroth. E la risposta è questa:

«Trump perde, e il Blob trionfa con i suoi alleati. Ma poiché questa non è una nazione, adesso, ma solo un paese, privo di una identità e di un senso comune, di una cultura e di una fede e di una lingua solo uno stato di polizia può tenerlo insieme. Ma anche questo non potrà assicurare l’ordine nel caos della post-America, e il numero decrescente di bianchi non godrà certamente della protezione di quello stato. A un certo punto i bianchi americani potranno trovarsi nella condizioni in cui si trovano i bianchi sud-africani, costretti a temere continuamente per la loro vita. Se l’ordine crolla, gruppi di vigilanti, gang criminali si impadroniranno di uno spazio vuoto, come in Messico, e come hanno fatto le bande criminali ispaniche per proteggere i loro quartieri durante le rivolte scatenate in nome di Floyd. Ma c’è una buona notizia: i bianchi hanno imparato come comportarsi quando i tumulti minacciano le loro case e la loro storia».

Questo scrive zerohedge. Nel frattempo Trump lascia intendere che le elezioni non si potranno tenere a Novembre, l’esercito viene mandato nelle città di alcune città in subbuglio, e soprattutto la vendita di armi raggiunge picchi mai raggiunti prima. Scrive il Dallasnews:

«Is America on the bring of civil war? More like a coming reign of terror».

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