Un’altra storia

L'autocoscienza secondo Carla Lonzi

Carol Rama, Nonna Carolina, 1936. © Archivio Carol Rama, Torino. © Archivio Carol Rama, Torino. © Archivio Carol Rama, Torino
Carol Rama, Nonna Carolina (1936) - Archivio Carol Rama, Torino.

Al contrario di quello che si potrebbe immaginare, l’ultimo testo di Carla Subrizi, La storia dell’arte dopo l’autocoscienza. A partire dal diario di Carla Lonzi (Lithos Editrice, 2020), non è un testo sul femminismo, né sul rapporto tra arte e femminismo o sulle artiste donne. Non si tratta neanche di una genealogia del pensiero femminista da recuperare nella pratica artistica. Definirlo un libro sulla storia dell’arte intesa come disciplina, sarebbe tuttavia generico se non si precisasse che è un’interrogazione continua della sua pratica.

Il testo, infatti, si avvia mettendo subito in luce una contraddizione che riguarda la rilettura dei testi di Carla Lonzi ad opera di molti studiosi e storici dell’arte dentro un percorso che è quello che la stessa Lonzi aveva scelto di interrompere negli anni Settanta per fare femminismo. Risolvere e analizzare tale contraddizione è tra gli obiettivi di questa recente pubblicazione, poiché Lonzi, dopo la fondazione del Movimento di Rivolta (1970), riscatta in altra forma e dentro le pagine dei suoi testi e soprattutto dei diari, una nuova idea di storia e di critica, non solo dell’arte, che per significare abbia bisogno del femminismo e, soprattutto, del «pensiero autocoscienziale»1.

Carla Subrizi si dichiara coinvolta in questo discorso per la sua professione di storica dell’arte e docente presso la Sapienza Università di Roma, e nell’aprirsi alla risonanza profonda della lettura di Taci, anzi parla. Diario di una femminista di Carla Lonzi tornerà più volte, interrogandole, sulle linee di sviluppo normative della storia e sulle «forme istituzionalizzate del sapere e da quanto le ha rese conformi a logiche di potere»2. Attraverso la lente del «pensiero dell’autocoscienza», sostiene l’autrice, questi aspetti si mostrano in fondo come fenomeni discontinui, da dove sono escluse incursioni di tempi intimi, legami intergenerazionali, fatti inediti, inspiegabili e contraddittori spesso nascosti.

Già nel 2008 con Europa e America 1945-1985. Una nuova mappa dell’arte (Aracne editrice, 2008), Subrizi aveva riconosciuto la necessità di un approccio critico ai presupposti di un univoco studio della storia dell’arte in ambito universitario e, nonostante fin dal titolo la disamina fosse orientata agli studi di area occidentale, nell’introduzione e nella conclusione al testo erano già inscritte delle nervature affrontate più apertamente nella recente pubblicazione. L’autrice allora insisteva sulle contraddizioni del modello occidentale e si proponeva di lavorare per «trasversalità e discontinuità» per «ridistribuire nuovamente i fatti allo stato d’archivio»3. «Le differenze», scriveva, «non sono soltanto episodiche, occasionali. La ricerca delle differenze indica una metodologia, un modo di leggere il presente e il passato, non più lungo sequenze che recitano le somiglianze ma attraverso quello che ha differenziato i fatti, che non può tornare, che è definitivamente scomparso»4.

Rileggere questo testo e valutare la sua struttura dinamica è stato retroattivamente necessario per approdare, oggi, alla lettura di La storia dell’arte dopo l’autocoscienza, dove si ritrova, amplificato e accuratamente analizzato, anche attraverso numerosi rimandi allo stato attuale degli studi storico-artistici5, quel principio guida della «differenza», inteso non solo come metodo per la critica ai modelli storiografici, ma anche come sistema di pensiero che individua nei saldi dettami della storia qualcosa «che non vale quel che sembra»6 (fasullo, direbbe Lonzi), perché mancante di una parte. Questa parte è un «soggetto imprevisto», ma anche «silenzioso»7, che non può concepire la storia dentro cui non è stato inscritto, bensì per secoli descritto.

L’autocoscienza è qualcosa che non ha prodotto «teoria» ma ha permesso, come afferma l’autrice, di «immaginare la critica di ogni sistema teorico, quando questo diventa un definito insieme di formulazioni logicamente coerenti»8, l’unico sistema epistemologico in grado di collaudare questo passaggio, di certo non morbido e cruciale, alla storia dell’arte dopo il femminismo e di proiettare le sue formulazioni in un presente che auspichiamo sempre più attento ad accoglierlo. Nel procedere verso un progressivo svelamento degli inganni e delle illusioni inclusi nei percorsi istituzionalizzati della storia e creduti per molto tempo assoluti, come per esempio quelli relativi alla narrazione della modernità, l’autrice richiama l’azione di «deculturalizzazione» prospettata da Carla Lonzi che, intesa come «mancanza di necessità ideologica»9, è ancora attuale.

Dopo aver praticato l’ «assenza», dopo aver prodotto un «vuoto», una «tabula rasa» che è «disposizione soggettiva»10, come sostiene Maria Luisa Boccia, la deculturalizzazione smaschera la «continuità storica del protagonista»11 del mondo maschile e vince così, attraverso un ribaltamento del sistema delle influenze e delle genialità, l’ultima barriera che impedisce la costituzione di una nuova dimensione di enunciazione della storia, o meglio, delle storie dell’arte: l’atto creativo.

Carla Lonzi, sostiene Subrizi, nel sottrarre all’arte «l’atto creativo da ricongiungere alla possibilità di pensare, fare e vivere creativamente»12, identifica la «creatività nella capacità e nel desiderio di generare e dare vita al pensiero anche quando questo è critico e analitico, ma tuttavia determinato dal desiderio di produrlo»13. E se l’unico modo per pensare e vivere creativamente è attraverso l’autocoscienza, allora come porsi di fronte alla manifestazione creativa e artistica femminile? Quali possibilità può offrire il fatto di considerare la creatività femminile fuori dal sistema della cultura patriarcale?

Questioni spinose e attualissime in un momento particolare per la riscoperta di artiste e dei loro percorsi, soprattutto in Italia, che l’autrice risolve offrendo, nella seconda parte del testo, la lettura di quattro casi studio – Carol Rama, Giosetta Fioroni, Berty Skuber e Patrizia Vicinelli – senza mai chiamare in causa il femminismo lonziano, ma facendolo risuonare continuamente nell’analisi del dispiegamento del loro processo creativo. In ognuno dei quattro saggi Carla Subrizi evidenzia gli aspetti di quella creatività non celebrata dalla cultura patriarcale, ma vicina all’atto creativo praticato nell’autocoscienza. L’elemento che le accumuna è l’ «eccezione»14, l’azione asincrona al tempo «istituzionale» ma simultanea al tempo intimo, intergenerazionale e anche, come spesso ripete, transnazionale.

In questa disamina l’autrice spiega, Carol Rama è portatrice di immaginari che «si formano anche senza che esistano influenze dirette»15, e rivelatrice delle fasi di un trauma che «possono connettersi attraverso genealogie intergenerazionali anche a distanza, nelle relazioni che nel tempo diventano difficilmente riconoscibili»16; Giosetta Fioroni, che intercetta le parole di Paul Celan in due momenti diversi, trova un tempo sincrono che procede non secondo cause e effetti, ma che si offre come «possibilità per ricongiungere nessi interrotti per delineare paesaggi a distanza»17; Berty Skuber, con i suoi demontage, «piccoli archivi anonimi con scritture illegibili»18, connette «temporalità diverse nella simultaneità del presente»19; infine, Patrizia Vicinelli che nella sperimentazione verbo visuale degli anni Cinquanta stravolge corpo e testo in una «recitazione che [restituisce] la profonda fisicità della parola e [trasforma] la scrittura sulla pagina in una partitura da eseguire»20. Operazioni relazionali a distanza, queste, che, come il Diario di Carla Lonzi, sono «in grado di sollecitare ricordi, sensazioni e di far riemergere fatti che si ha l’impressione appartengano alla propria condizione di vita»21.

È così che Carla Subrizi non solo ci consegna un testo da cui trarre indicazioni per una nuova pratica e visione delle storie dell’arte ma ci include come soggetti inattesi dentro questi discorsi, come attivi fautori e protagonisti di nuove connessioni e risonanze.

Note

Note
1Carla Subrizi qui riprende una definizione di Maria Luisa Boccia. C. Subrizi, La storia dell’arte dopo l’autocoscienza. A partire dal diario di Carla Lonzi, Lithos Editrice, 2020 p. 25.
2Ibidem
3C. Subrizi, Europa e America 1945-1985. Una nuova mappa dell’arte, Aracne editrice, 2008, p. 9
4Ivi, p. 214.
5In particolare nella conclusione Carla Subrizi attraversa una serie di pubblicazioni mostre e dibattiti «che pongono la questione della storia dell’arte e della sua scrittura». Ivi, pp.141-160.
6Dall’intervento di Manuela Fraire durante la presentazione online del libro alla Galleria Nazionale.
7Ivi, p. 55.
8Ivi, p. 29.
9Ivi, p. 69.
10M. L. Boccia, L’io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La tartaruga edizioni, 1990 p. 61.
11Ivi, p. 130. La citazione è tratta da C. Lonzi, Sputiamo su Hegel, La donna clitoridea, la donna vaginale e altri scritti, Scritti di Rivolta femminile, 1970, p.56.
12C. Subrizi, La storia dell’arte dopo l’autocoscienza. A partire dal diario di Carla Lonzi, p. 20
13Ibidem
14Ivi, p. 83
15Ivi, p. 91
16Ibidem
17Ivi, p. 113
18Ivi, p. 123
19Ivi, p. 121
20Ivi, p. 125
21Ivi, p. 75

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