La danza sommersa

Intervista ad Alexandre Roccoli

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Alexandre Roccoli, Empty picture ou l’impossible mémoire de la classe ouvrière (2013).

Alexandre Roccoli, coreografo francese figlio di minatori di origine italiana, presenta in anteprima italiana il progetto Longing – Weaver, traduzione in immagini, suono e danza del gesto operaio, dove la ripetizione svincola la gestualità dalla sua destinazione al lavoro.

Perché la danza come espressione?

Sono cresciuto in un mondo in cui le relazioni tra uomini e donne erano estremamente normate. Le donne aspettavano il ritorno degli uomini dalle miniere, vincolate a compiti casalinghi, operai, educativi, in un contesto molto violento. La forza, la malinconia di alcune, sposate per obbligo o con matrimoni combinati «comunitari» (molti venivano dall’Italia, dalla Polonia, dal Marocco) mi hanno profondamente segnato. È grazie alla loro musica e ai loro canti che mi sono emancipato da una condizione operaia, evadendo dal quotidiano con la danza.

Assistiamo a un riavvicinamento alla danza di un pubblico più ampio e un’intraprendenza che scansa il significato. È necessario cercare nel gesto l’incarnazione di un concetto? 

La danza lavora sulla scrittura del corpo, e ciò che propone è appunto una relazione cinestetica. È questa per me la posta in gioco principale: la proposta di un’esperienza allo spettatore. Cioè attraverso un insieme di motivi ritmici, sonori, coreografici che possano essere interpretati da ciascuno con la propria personale conoscenza e identificazione.

La tua danza si rivolge a un repertorio quotidiano (come il gesto artigiano della tessitura o il gesto del lavoro in miniera) che si libera dalla sua funzione. Cosa rappresenta questa trasposizione? 

Le forme di scrittura del movimento nella coreografia che presento a Roma – Longing – nascono dalla memoria di gesti scomparsi o trasformati dall’automazione. Si tratta di riprendere la memoria di questi gesti conferendogli un immaginario poetico attraverso un lavoro sul corpo che rievochi fisicamente la memoria sommersa. Si raccolgono così un insieme di elementi che scavano il gesto attraverso la ripetizione, lo trasformano in un motivo fino alla sua alterazione e alla sua scomparsa.

Oltre al gesto che recupera il lavoro del corpo dell’artigiano, del minatore, indaghi anche il corpo come macchina. In un’epoca in cui il corpo si dematerializza e la macchina si antropomorfizza, cosa significa questa ricerca?

Diversamente dai minimalisti degli anni Settanta, legati ai motivi di una società industriale fondata sulla riproducibilità, la ripetizione mi interessa come carattere ipnotico e ossessivo, per la sua capacità di trasformare il corpo. Si tratta di riscrivere le forme corporee contemporanee nel momento in cui entriamo nell’epoca dell’homo tecno-sapiens, nutrendo così l’immaginario di questa mutazione. La mia scrittura coreografica interroga il rapporto tra l’organicità del movimento e il suo farsi automatico, tra il lasciarsi andare e il condizionamento del gesto.

La danza per te ha anche valenza taumaturgica?

La malattia è costantemente presente nel mio lavoro. L’ho incontrata quando ho portato avanti progetti coreografici all’interno di ospizi e ospedali psichiatrici e continuo a interrogarla anche sulla scena. Il che mi riporta alla mia origine sociale, alla sofferenza del mondo operaio. Senz’altro la ripetizione per me funziona come un ritornello, ha una funzione calmante, di cura.

Cos’è per te un sensibile comune?

Sono nato in un mondo in cui il rischio di un’esplosione in miniera era sempre presente. Eravamo tutti aperti alla possibilità della morte. Quest’immaginario del rischio, dell’usura e della cicatrice ricompare in Weaver, che mette sullo stesso piano le terre riarse e la pelle che invecchia. C’è un’identità plastica tra i territori e i loro abitanti. Con questo lavoro spero di dare l’occasione a persone, spesso rappresentate al margine, di esistere anche dopo la loro morte.

Alexandre Roccoli partecipa a Sensibile comune – Le opere vive con Weaver – giovedì 19 gennaio – h. 17.30. Coreografia di Alexandre Roccoli, musiche di Benoist Bouvot e danza di Malika Djardi – evento di apertura della serata «Parole comuni» (La nuit des idées) promossa dall’Institut français italia e dalla Fondazione Nuovi Mecenati.

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