Altri spazi per la memoria

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Diego Kompel, The Inhabited House (2019).

Uno dei percorsi che attraversano gli studi sulla memoria (Scarpa, 2018/2019) interseca quelle che lo studioso Jan Assmann individua come le due principali tradizioni legate all’elaborazione del passato nelle società: l’arte della memoria e la cultura del ricordo (Assmann, J., 1992).

L’arte della memoria è una mnemotecnica: una metodologia impiegata per memorizzare grandi quantità di dati e informazioni ed essere in grado di “trovarli” velocemente e ripeterli. La caratteristica dell’arte della memoria che più ci interessa ai fini di questo articolo è che tale tecnica ha al suo centro una concezione spaziale della memoria. Erano in particolare i poeti che applicavano questo metodo di memorizzazione (secondo il mito l’inventore dell’arte della memoria è il poeta greco Simonide di Ceo, VI secolo a. C.), che consentiva loro di fissare nella mente lunghissimi brani poetici per poi ripeterli nelle più svariate occasioni (ivi, p. 5). Il metodo consisteva, essenzialmente, nella trasformazione di ciò che era udito in immagini mentali dense, cariche di significati simbolici, che dovevano essere accuratamente posizionate in un ambiente – descritto come teatro della memoria – immaginato dal poeta appositamente per accoglierle (Assmann, A., 1999, p. 27).

Più il poeta era abile nella costruzione dello spazio e nella creazione delle immagini mentali connesse all’informazione da ricordare, più gli era semplice ripetere testi e dati in qualunque momento, con un livello di precisione altissimo. Questa abilità risultava essenziale considerando la scarsa possibilità di mettere per iscritto le informazioni. Oltre alla funzione strumentale, l’arte della memoria aveva un importante ruolo sociale: la perpetuazione dell’esistenza. I personaggi cantati dai poeti acquisivano una forma di immortalità: il loro nome e le loro gesta mitizzate divenivano narrazioni proiettate nel futuro, slegate dalla mortalità del corpo.

Col tempo poi l’arte della memoria è caduta in disuso, sostituita da quella che Jan Assman chiama cultura del ricordo. La differenza fondamentale tra le due tradizioni è che la prima ha al suo centro la dimensione spaziale, mentre nella seconda prevale quella temporale: la cultura del ricordo, riassumendo in termini essenziali, seleziona negli eventi del passato quelli che in modo più forte hanno provocato una rottura nella continuità temporale: eventi con una componente traumatica che testimonino del passato e della sua diversità dall’oggi. Questi eventi diventano poi oggetto di narrazioni condivise che formano una sorta di passato “ufficiale” che conferisce senso al presente e da cui si parte per immaginare orizzonti futuri (ivi, p.41). Il valore delle narrazioni del passato non risiede nella loro aderenza a ciò che accadde veramente, quanto piuttosto nella loro capacità di dare senso al presente. Come argomentato dallo studioso Maurice Halbwachs, il passato è ricordato in funzione alle domande che vengono poste nel presente: il passato è quindi una ricostruzione che parte nell’oggi e che influenza il racconto degli eventi passati per adattarsi alle esigenze contemporanee (Halbwachs, 1941, p. 8).

Uscendo dalla dimensione accademica e spostandoci verso il senso comune, le innumerevoli rappresentazioni della memoria e del suo funzionamento rendono in parte conto di questi meccanismi. Dalla letteratura al cinema, dalla madeleine di Proust a tutta quella cinematografia impegnata a raccontare il passato di popoli, nazioni e individui, senza dimenticare quei luoghi adibiti esplicitamente alla conservazione del passato come i musei, è possibile osservare come la memoria del passato dipenda essenzialmente dalle ricostruzioni narrative e concrete che vengono prodotte nel presente.

Negli ultimi anni poi sta sempre più emergendo un medium che ha qualcosa di molto interessante da aggiungere al discorso sulle rappresentazioni della memoria: la realtà virtuale. Caratteristica peculiare dei prodotti audiovisuali in VR è che le immagini sono sferiche e lo spettatore si trova al centro di questa sfera, con “l’azione” che si svolge attorno a lui/lei. Questo posizionamento peculiare ha un impatto molto rilevante sulla figura dello spettatore: se tradizionalmente questa parola ha un’accezione tendenzialmente “passiva” per cui colui/colei che guarda lascia che lo spettacolo si svolga davanti ai suoi occhi senza compiere particolari azioni, questo non è possibile durante la visione di un prodotto audiovisuale che applichi la tecnologia della realtà virtuale: chi assiste allo spettacolo è costretto a compiere una determinata gamma di azioni: da un minimo di necessità di guardarsi attorno in tutte le direzioni per avere una comprensione di ciò che sta accadendo, fino anche a dover compiere vere e proprie azioni complesse senza le quali la narrazione non avviene, a seconda del prodotto di cui si sta usufruendo – video a 360° o prodotto interattivo.

Alcune di queste opere hanno affrontato il tema della memoria, come ad esempio “The inhabitated house”, diretto da Diego Kompel, selezionato per la 61esima edizione del Festival dei Popoli. Kompel ci porta nella casa dei nonni, un ambiente caldo e pieno di oggetti che raccontano di un’intimità famigliare che riconosciamo istintivamente, pur non condividendone la storia. A uno a uno poi alcuni di questi oggetti si “attivano” e sotto il nostro sguardo, sulla poltrona vuota davanti a noi, compare un fantasma dal passato: il video casalingo del nonno che siede in quello stesso punto. Questo stesso dispositivo si ripete per vari oggetti e rappresenta in modo preciso il funzionamento del meccanismo di riattivazione di un ricordo. I vari oggetti sparsi per la stanza, nonché la loro esatta posizione, possono essere definiti “esogrammi”: segni nel mondo esterno in grado di attivare un ricordo in un individuo, agganciandosi a una traccia interiore dell’evento passato, che può essere chiamata “engramma”. Una memoria si attiva e produce i suoi effetti in questa relazione tra esogramma ed engramma (Iervese, 2019, p. 79).

Se non è nuovo il dispositivo di rappresentazione del riemergere di un ricordo a partire da un oggetto esterno – cinema e letteratura sono pieni di esempi – la realtà virtuale si offre come medium che in modo chiarissimo permette di vedere lo svolgersi di quel meccanismo, offrendo anche una nuova rappresentazione di quel teatro della memoria che stava scomparendo, privato della sua utilità di mnemotecnica dalle tecnologie contemporanee che vengono in aiuto dell’essere umano ogni qual volta necessiti di ricordare un’informazione precisa – dalla scrittura alle ricerche su internet.

Con la realtà virtuale la memoria può tornare ad essere rappresentata come un teatro nel quale ogni ricordo è sintetizzato in un’immagine-esogramma spazialmente collocata, che si attiva grazie allo sguardo o a un’azione dell’utente. Le più classiche forme di narrazione dei ricordi – lineari e con l’ausilio di flashback, principalmente – vengono affiancate dalla possibilità di un racconto più frammentario e con possibilità di esplorazione più libere, che solo la realtà virtuale può consentire.

Assmann, Aleida, Ricordare: Forme e mutamenti della memoria culturale (1999), Mulino 2002

Assmann, Jan, La memoria culturale: Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche (1992), Einaudi 1997

Halbwachs, Maurice, I quadri sociali della memoria (1925), Ipermedium 1996 Halbwachs, Maurice, Memorie di Terrasanta (1941), Arsenale, 1988 Halbwachs, Maurice, La memoria collettiva (1950), Unicopli 2001

Iervese, Vittorio, Trasformare il tempo in spazio. Engrammi ed esogrammi del museo contemporaneo, in Del Gobbo, Giovanna, Galeotti, Glenda, Pica, Valeria, Zucchi, Valentina (a cura di), Museums & Society. Sguardi interdisciplinari sul museo, Pacini 2019, pp. 77-88

Scarpa, Elisa, Doc Explorer – Virtual Reality, catalogo del 61 Festival dei Popoli. Festival internazionale del film documentario, a cura di Binazzi, Sandra, 2020, pp. 149-153

Scarpa, Elisa, L’immagine mancante. Linguaggi visuali del racconto della memoria, tesi di laurea triennale, Modena, a.a. 2018/2019, relatore: Iervese, Vittorio

The Inhabitated House, Diego Kompel, 2020

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