Ettore Sottsass oltre il design
Una mostra allo CSAC di Parma
Hans Hollein, architetto e co-fondatore di Memphis, nel 2005 scrive un’introduzione per una mostra dedicata all’amico e la intitola Ettore Sottsass. Pensiero disegnato. La retrospettiva che oggi il Centro Studi Archivio della Comunicazione di Parma dedica a Ettore Sottsass jr consente di entrare – con le dovute amplificazioni – nello specifico di questo discorso sul processo progettuale, grafico ed estetico del designer-architetto che ha attraversato il Novecento lasciandosi, contestualmente, attraversare dalle poetiche e dalle estetiche del secolo stesso. Nel 1976 Sottsass afferma di voler iniziare una nuova vita, azzerare tutto e ricominciare da capo. Tre anni dopo, nel ’79, lo fa cedendo con un atto notarile 14 mila unità fatte di fogli, disegni (tra cui i primi segni su carta della sua infanzia), documenti, progetti, quaderni, fotografie e 24 sculture allo CSAC, consapevole, comunque, che ricominciare da zero non significhi insabbiare e cancellare. Al contrario, auspicava la produzione di un volume che testimoniasse queste sue fondamenta specificando: «Non mi interessa un libro che racconta, deve essere come un disegno»1.
In occasione del centenario dalla sua nascita e a dieci anni dalla morte, un folto team di ricercatori, storici dell’architettura, del design e dell’arte contemporanea, designer e archivisti, hanno lavorato in modo coordinato alla curatela della mostra Ettore Sottsass. Oltre il design (visitabile fino al 20 maggio 2018) e del volume Ettore Sottsass (a cura di Francesca Zanella, Silvana Editoriale, 2017), catalogo ragionato del materiale che l’autore ha donato allo CSAC e che, dunque, ci permette di conoscere e indagare i retroscena della sua produzione e dei suoi esperimenti grafici, artistici e progettuali dal 1922 al 1978.
A differenza del voluminoso catalogo dell’archivio – che procede secondo una sistematizzazione cronologica – la mostra è pensata per connessioni tematiche interdisciplinari. Su tutto vige la poetica e l’estetica del segno, protagonista ideale e concreto. È la visualizzazione del suo pensiero: «Per me lasciare segni era un modo di essere speciale e ho cominciato anch’io a lasciare segni e piano piano a conoscere i segni e piano piano a distinguere i segni e a dare significati immaginati chissà come o riconosciuti tra miliardi di segni che stanno nel mondo»2. Ecco, la conservazione di questo immenso materiale fatto dei segni di Sottsass, il lavoro svolto dagli archivisti e curatori dello CSAC, l’idea stessa di archivio, con i suoi rimandi progettuali e tematici, tutti questi aspetti sono le fondamenta su cui si basa una mostra scientifica e divulgativa in uno stesso tempo. Hollein sosteneva che il pensiero disegnato di Sottsass trovi la sua massima espressione nei vasi (il vaso diventa un’opera d’arte autonoma, Sottsass i vasi li concepisce nella sua testa, non li realizza al tornio. Sono una metafora, un’immagine del mondo).
Francesca Zanella, curatrice del catalogo, nella sezione dedicata ai progetti per tessuti e decorazioni, specifica una costante nella vita dell’eclettico designer-architetto, ovvero la sua propensione all’indagine sulle forme di espressione popolare che da subito è parte della sua cultura. Questa relazione ce la racconta Sottsass in Scritto di notte (edito postumo da Adelphi) dove sottolinea una volta di più lo stretto legame col suo maestro Spazzapan e con l’analisi delle tecniche di lavorazione dei tappeti orientali per giungere a un discorso puro su cosa sia il tono: «Nei tappeti orientali, mi diceva, per tenere giù i colori, tra un colore e l’altro mettevano una riga nera o bianca, o ad ogni modo una riga»3.
Lo ritroviamo con lo stesso sguardo operoso dei pomeriggi universitari passati nello studio di Spazzapan, ma ora è arruolato in guerra nel Montenegro occupato e solamente nei pochi giorni di quiete che il conflitto gli concede può dedicarsi a quello che più gli importa: fotografare le case dei musulmani, le piccole moschee, orti e cimiteri «Le case come apparizioni di argento nel cemento oscuro dell’Altipiano del Montenegro sono le case dei contadini montenegrini. Sono case senza finestre, costruite, anche il tetto, con grosse travi squadrate di legno che con il tempo… si scolora… più che case, sono grandi cristalli compatti, pesanti, immobili, inattaccabili»4. Da qui parte una produzione grafica per tappeti ispirata ai motivi montenegrini che sono, molto semplicemente, linee di colore di diverso spessore, diversa lunghezza, verticali, orizzontali, linee spezzate che si alternato in campiture ritmiche. Tutti segni riconoscibili nelle declinazioni che la sua produzione conoscerà anche successivamente. Linea, colore e luce. Nel dopoguerra, tra Torino e Milano, Sottsass ha modo di seguire e osservare il lavoro degli artigiani del ferro, del legno, della ceramica e del vetro. È con questa osservazione che arriva a capire la nozione di spazio e di vuoto, ovvero di linea, superficie e materia.
Sono conservati, presso lo CSAC, 26 schizzi datati tra il 1953 e il 1954 che sono studi per lampade e oggetti e che mostrano la sua idea libera e artigianalissima di pensare un prodotto in questi anni: operando semplici tagli in fogli, che possono essere in lamiera di alluminio o in lamiera di acciaio o di altro materiale in lastra. I legamenti sono ottenuti mediante incastri e piegature evitando sempre le saldature. Dopo poco questo approccio si scardinerà ma lui resterà fedele a un’idea di semplicità produttiva e di massima economia. I disegni non seguono proporzioni o geometrie riconoscibili ma sono, come li chiama lui «disegni per apparizioni di eventi tridimensionali che immaginavo cristallizzati nel ferro, tanto per spiegarmi in fretta le chiamavo sculture»5. Assume un sapore antropologico e umanizzante la storia del suo approccio a questa materia quando racconta di conoscere, a Torino, i battilastra, artigiani specializzati nella battitura del ferro al quale riuscivano a dare qualunque forma tridimensionale desiderassero. Con uno di questi artigiani avviò una specie di collaborazione. Lo racconta così: «Quell’uomo di cui non ricordo il nome è stato uno dei pochi uomini che ho conosciuto degni di essere pensati, chiamati così. Nella memoria è il fantasma di un uomo coraggioso, solido, curioso, capace di guardare gli altri con calma più che non di guardare soltanto sé stesso»6.
C’era, in generale, nelle nuove ricerche europee – da cui Sottsass non resta emarginato, ma che anzi cerca e alle quali si lega attivamente – la volontà di creare in modo trasversale, totale, di stare, cioè, in una nuova società meno legata alla tradizione e più avanzata tecnologicamente, più luminosa rispetto a quella dell’ante-guerra.Vi era, insomma, una volontà di rinascita visiva ed etica laddove era già in atto una rinascita spirituale e mentale. Questa idea e questo spirito possibilmente si infiammano ulteriormente nel giovane designer-architetto quando questi arriva a New York con la compagna Fernanda Pivano su invito di George Nelson col quale comincia un rapporto professionale. I lavori di Nelson a N.Y. erano legati al committente americano medio, lontani dai grattacieli di Manhattan e più vicini ai colletti bianchi degli impiegati della down-town. Gli interessava l’aspetto umano, psicologico, dei bisogni dei suoi committenti, la versatilità dell’abitare contemporaneo. Nessun romanzo! Questo era il suo credo. Via la pesantezza delle decorazioni romantiche. Si voleva e si otteneva un’architettura popolare esteticamente valida, a basso costo. I mobili erano quelli che continueranno ad affascinarlo fino ai giorni di Memphis e oltre: steelcase dalle campiture di colore piatto e brillante, «la bellezza di materiali artificiali mai visti» anche per l’architettura in grande scala. Dopo il primo forte impatto con New York, Sottsass torna in Italia e si occupa dei progetti per Ina Casa. Seguirà la collaborazione con le grandi case industriali (Olivetti, Poltronova, Arredoluce, Bitossi, e il progetto per Grandi Ceramiche esposto alla Galleria Sperone nel ’65 – ’67), gli storici allestimenti per la XI e XII Triennale di Milano. Seguiranno soprattutto la Birmania, l’India e, perciò, le ceramiche tantriche.
Tutto ciò che Sottsass pensa in questi anni, tutto quello che sperimenta, tutto il processo che c’è dietro ogni suo vaso, macchina da scrivere, tappeto e tovaglia, allestimento Triennale e architetture private e pubbliche, tutto quello che c’è dietro ogni progetto grafico di copertine per case editrici tra cui Orma e Universale Einaudi, perfino dietro i progetti per gli esami universitari, compresi quelli di scenografia e compresa l’irriverente e spassosa Vita dello studente – una sorta di graphic novel che si inventò in quegli anni – , tutta la sua idea di paesaggio domestico e tutta la visionarietà che lo invade negli anni Settanta quando «pensava, disegnava, scriveva, aveva voglia di scappare»7, compresa l’esperienza della fanzine Room East 128. Chronicle, tutto questo, fino al ’79, anno della donazione, è conservato e accuratamente esposto nelle sale dell’Abbazia di Valserena, ossia nella sede CSAC di Parma.
A completare questo quadro interviene l’archivio privato Bonanni Del Rio che raccoglie 43 stampe originali delle Metafore e ne espone 30. Grazie alla generosità dei due collezionisti, nel loro spazio Bonanni Del Rio Catalog (Borgo delle Colonne 28, a Parma) fino all’11 marzo sarà possibile vedere gli scatti in bianco e nero che Sottsass ha immaginato come installazioni nei paesaggi attraversati tra il 1972 e il 1978 e che lui raccolse in gruppi di osservazione e percezione: Disegni per i destini dell’uomo, Disegni per i diritti dell’uomo, Disegni per le necessità degli animali, Fidanzati, Decorazioni.
Il merito della mostra e della pubblicazione curate dallo CSAC è quello di aver messo ancora una volta a disposizione di curiosi e studiosi un percorso completo, non addolcito, né eccessivamente ammiccante, di un grande artista e pensatore del Novecento; di aver soprattutto aperto al pubblico lo scrigno di materiali e documenti inediti e considerati minori, marginali, ma che, invece, sono tasselli che completano la conoscenza di una autore poliedrico e così complesso, consentendo di entrare nel germe della sua dinamica progettuale, fondamento del suo pensiero e della sua estetica. Sottsass lascia gli U.S.A. quasi consumato dalla sua frenesia, senza ripudio alcuno si porta dietro quello che ha assorbito. Lì tornerà e da lì ripartirà ancora. Nel 1987 si congeda dalla Grande Mela in una conferenza tenuta al Metropolitan Museum usando la grande ironia e intelligenza che gli appartenevano: «Come direbbe un buon italiano: La commedia continua. È già da molto tempo che recito la mia parte nella commedia. Possiamo fare un intervallo e incontraci magari il prossimo anno? Potrei dirvi il contrario di quello che ho detto oggi»8.
Note
↩1 | B. Radice, Ettore Sottsass, 1993, p. 22. |
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↩2 | E. Sottsass, Scritto di notte, 2010, p. 16. |
↩3 | E. Sottsass, ivi, p. 54. |
↩4 | E. Sottsass, ivi, pp. 90-91. |
↩5 | E. Sottsass, ivi, p. 146. |
↩6 | E. Sottsass, ivi, p. 148. |
↩7 | M. Carboni, B. Radice (a cura di), Metafore, Skira. 2002, p. 9. |
↩8 | E. Sottsass, Vague Notes on Italian Design, conferenza al Metropolitan Museum di New York, dattiloscritto, ora in M. Carboni, B. Radice (a cura di), Scritti 1946-2001, Neri Pozza (2002), p. 345. |
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