Non posso respirare

Caos e poesia

Claire Fontaine, Ma l'amor mio non muore -Courtesy the artist and T293, Napoli Roma. Foto di Maurizio Esposito
Claire Fontaine, Ma l'amor mio non muore - Foto di Maurizio Esposito.

Arriva domani in libreria il volume di Franco Berardi Bifo Respirare. Caos e poesia (Luca Sossella editore, 2019). Ne anticipiamo qui un estratto, ringraziando l’editore e l’autore per la disponibilità. 

Forse per un sentimento di solidarietà asmatica mi fece tanta impressione il video che mostra l’assassinio di Eric Garner, un afro-americano sofferente d’asma che fu ucciso il 17 luglio del 2014 a Staten Island: un poliziotto lo afferrò alle spalle stringendolo alla gola fino a strozzarlo. Le ultime parole che ripeté otto volte prima di spirare sono state ripetute da migliaia di persone nelle strade delle città americane nei mesi successivi: “I can’t breathe”.

Quelle parole esprimevano il sentimento prevalente del tempo in cui viviamo: il senso di soffocamento predomina ovunque, nelle metropoli strangolate dall’inquinamento, nella condizione di milioni di rifugiati detenuti in campi di concentramento in tutto il bacino del Mediterraneo, nel sequestro di un milione di palestinesi isolati a Gaza dagli strangolatori israeliani, nella condizione precaria della maggioranza dei lavoratori sfruttati, nella pervasiva paura della violenza, della guerra, dell’aggressività.

Trump è l’imperatore perfetto di questo impero barocco dell’ipocrisia luccicante che si sovrappone alla sofferenza silenziosa dilagante. La respirazione è un punto di vista che può aiutarci a raccontare il Caos contemporaneo e per cercare una via d’uscita dal cadavere del capitalismo. Per questo voglio cominciare leggendo Friedrich Hölderlin. Hölderlin appartiene a quella dimensione del Romanticismo tedesco in cui i percorsi dell’idealismo prendono forma partendo dall’interrogazione ironica sull’essere. Il suo compagno di scuola negli anni di Tubingen, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, scelse il moderno bigottismo della Storia concepita come Divenire Reale della Verità. Hölderlin non era un bigotto e non seguì il cammino che conduce all’illusione storica, bensì quello che conduce alla consapevolezza ironica, che è irriducibile alla storia.

Un segno noi siamo
senza interpretazione
né dolore, e abbiamo quasi perduto il nostro linguaggio in terre straniere.
Hölderlin, Mnemosine

Mentre Hegel trova l’unità dell’umano nel concetto e nella realizzazione storica del concetto, Hölderlin non cade nella trappola dell’inveramento dialettico, non si lascia irretire dall’illusione della realizzazione dello spirito come fine necessario della storia. Non la storia (Geschichte) ma l’ispirazione (Begeisterung) è il piano su cui Hölderlin comprende la realtà. Hölderlin intuisce che l’intima tessitura dell’essere è il respiro: ritmo poetico. Intendo qui enfatizzare il significato ontologico del ritmo, e segnalare la forza fondativa di questo concetto: il ritmo non si riferisce soltanto all’emissione di voce, al suono della materia, ma anche alla stessa vibrazione del mondo.

Il ritmo è la vibrazione più intima del cosmo, e la poesia è un tentativo di sintonizzarsi con la vibrazione cosmica, con la vibrazione del tempo che viene e ritorna. Il misticismo buddhista distingue tra le parole shabda e mantra. Shabda è la parola ordinaria, il segno che denota oggetti e concetti nello scambio funzionale di significanti operativi. Mantra al contrario suscita immagini mentali e significati sensibili. Mentre shabda agisce sulle catene operazionali della comunicazione funzionale quotidiana, mantra agisce sul ritmo del corpo e sulla sua relazione con la semiosfera, che è la fonte del linguaggio umano. Consideriamo inoltre la coppia concettuale: AtmanPrana. Atman è il respiro singolare di ogni organismo sensibile e cosciente, mentre Prana è la vibrazione cosmica che percepiamo come ritmo.

Il respiro dell’organismo singolare (atman) cerca la sintonia con il gioco cosmico (prana), e il mantra è il ritornello che cerca di concatenarsi sintonicamente con il ritmo dell’universo. In Ammerkungen zur Antigona Hölderlin oppone una logica poetica alla logica concettuale dell’idealismo emergente. Contro il panlogismo hegeliano, Hölderlin propone una sorta di pan-poetismo; ma non dovremmo intenderlo come un banale patetismo romantico: c’è un significato filosofico profondo in questo suggerimento hölderliniano.

La poesia in effetti, sulla linea dell’intuizione hölderliniana, può essere intesa come flusso semiotico capace di emanare una realtà nello spazio della interazione e comunicazione. “Was bleibet aber, stiften die Dichter” (Quel che resta è ciò che fanno i poeti). Respirazione e semiosi, questa è la coppia concettuale su cui voglio riflettere in questo saggio strano, per comprendere qualcosa del Caos. Caos e ritmo sono i temi principali di questo testo, che intende essere prima di tutto un libro sull’apocalisse che stiamo vivendo negli anni della seconda decade del ventunesimo secolo, quando la mente collettiva è invasa da flussi di infelicità e di violenza, e la scena sociale si oscura progressivamente, declinando verso il buio della demenza. Nella sua poesia, Hölderlin ha previsto il Caos della modernità e la difficoltà di respirazione cui la modernità era destinata. È un problema di misura, egli dice. Non c’è misura sulla terra, e la misura (il ritmo) sta solo nella proiezione del respiro, nella poesia. Per questo l’uomo vive poeticamente, anche se “pieno di merito”.

Possa l’uomo, quando la vita è dolore
guardare in alto e dire:
sì, fin quando l’amicizia
rimarrà ancora, pura, nel cuore
l’uomo non farà male
a misurarsi con la divinità… 

E cosa è l’amicizia di cui parla qui il poeta? È la condizione in cui ritmi singolari diversi (il ritmo del cuore e della pelle e della parola degli amici, degli amanti, dei compagni) possono sintonizzarsi, e respirare insieme.

Poesia come eccesso

Perché gli uomini hanno un rapporto poetico con le parole e i suoni e i segni visuali, perché scivolano oltre i limiti della semiosi convenzionale per interpretare il suono come fosse musica, e la parola come fosse poesia? Perché talvolta sottraggono i segni dal sistema stabilito dello scambio simbolico, ri-significando in maniera non convenzionale e singolare? Hölderlin risponde a questa questione:

Pieno di merito ma poeticamente
l’uomo vive sulla terra. 

Heidegger e altri filosofi hanno discusso questo testo di Hölderlin alla loro maniera, la mia intenzione qui è trovare una dimensione dell’atto poetico che si possa considerare in opposizione ai meriti dell’uomo. Cos’è il merito? Merito è la qualità dell’essere meritevole, la qualità di meritare un elogio o un premio, la qualità di essere all’altezza della misura (convenzionale) che concerne il valore (convenzionale) degli individui che si incontrano sulla scena sociale. Gli esseri sociali sono più o meno pieni di merito. Essi meritano riconoscimento perché scambiano parole e azioni in maniera meritevole, e ricevono una sorta di compenso morale, la comprensione reciproca, la conferma del loro posto nel teatro dello scambio sociale. Ma i meriti e i compensi morali e il riconoscimento sono parte della sfera convenzionale.

Quando gli uomini scambiano parole nello spazio sociale presumono che le loro parole abbiano un significato stabilito, e producano effetti prevedibili. Tuttavia noi siamo capaci di fare qualcosa con le parole che rompe la relazione stabilita tra il significante e il significato e che apre nuove possibilità di interpretazione, nuovi orizzonti di significato. Negli ultimi versi della poesia in effetti Hölderlin scrive:

C’è qualche misura sulla terra? Non ce n’è alcuna. 

La misura è solo una convenzione, un accordo intersoggettivo che è condizione di merito, cioè di riconoscimento sociale. La poesia è l’eccezione che rompe il limite e che sfugge alla misura. L’ambiguità della parola poetica è la sua over-inclusività semantica. Come lo schizo, il poeta non rispetta i limiti convenzionali della relazione tra significato e significante e rivela l’interminabilità del processo di attribuzione di senso. L’eccesso è la condizione di questa rivelazione. Quello che noi chiamiamo “mondo” è l’effetto di un processo di organizzazione semiotica della materia pre-linguistica. Il linguaggio organizza il tempo lo spazio e la materia in maniera tale che il tempo lo spazio e la materia divengono riconoscibili alla coscienza umana. Questo processo di emanazione semiotica non è un dato naturale, ma piuttosto un continuo spostamento, una continua ricontestualizzazione.

La poesia può essere definita come la sperimentazione di questo continuo scivolamento dei modelli semiotici. Ho detto che la poesia può essere definita? L’ho detto ma debbo ricredermi: in verità l’atto di definizione che ho appena compiuto è arbitrario e illecito perché la domanda “cos’è la poesia?” non ha risposta. Non posso dire cosa sia la poesia perché in effetti la poesia non è niente. Possiamo tentare di dire cosa fa il poeta. L’atto di comporre segni (visivi, linguistici, musicali e così via) può aprire uno spazio di significato che non esiste in natura né è fondato su una convenzione sociale. L’atto di linguaggio funzionale alla comunicazione si svolge grazie allo scambio di segni che hanno un significato convenzionalmente stabilito, un senso che ha le caratteristiche dell’inter-soggettività. L’atto poetico, invece, è l’emanazione di un flusso semiotico il cui significato non corrisponde ad alcuna convenzione prestabilita. Il significato nasce invece dalla condivisione di un ritmo, da una vibrazione comune che getta sul mondo la luce di un senso che non è garantito da alcuna convenzione.

L’atto poetico è un eccesso semiotico che mira a intuire quel che vi è al di là del limite del significato convenzionale, e al tempo stesso è la rivelazione di una sfera di esperienza possibile ma non ancora esperita (l’esperibile). L’atto poetico agisce sul limite tra consapevole e inconscio così da spostare questo limite: aree diverse del panorama inconscio (l’intima terra straniera, Innere Ausland) ne sono illuminate o distorte e risignificate. Ciò detto non ho detto niente, o molto poco. In effetti la poesia è atto di linguaggio che non può essere definito, poiché definire significa porre un limite, e la poesia è per l’appunto eccesso che va oltre il limite del linguaggio, che è anche il limite del mondo. Solo una fenomenologia degli eventi poetici ci permette di cartografare le possibilità della poesia.

C’è una misura sulla terra?
Non ce n’è alcuna
perché i mondi del creatore
non possono trattenere
il corso del tuono. 

Dimentichiamo la misura, e quindi la capacità tecnica, la competenza sociale e la perfezione funzionale. Queste qualità misurabili hanno invaso il panorama mentale moderno e hanno accelerato il ritmo dell’infosfera fino all’attuale psico-collasso e tecno-fascismo conseguente. Cerchiamo di pensare al di fuori della sfera della misurabilità e della misura. Cerchiamo una maniera di evolvere ritmicamente con il cosmo. Usciamo dal secolo della misura per ritrovare un respiro comune. Hölderlin parla qui della stessa cosa cui Guattari si riferisce con la parola “Caosmosi”: il processo di riequilibrio tra mente e Caos.

L’intelligenza meritevole, che è competenza sociale e capacità funzionale, ha inquinato il panorama mentale moderno accelerando il ritmo dell’infosfera fino al collasso psichico cui ci ha portati il tecno-fascismo contemporaneo. Né possiamo pensare di allontanarci, di rallentare. Possiamo soltanto cercare un ritmo della relazione fra organismi in vibrazione per uscire dal dominio dell’accelerazione macchinica. Hölderlin parla della poesia come vibrazione linguistica, oscillazione e ricerca di un ritmo in sintonia con l’evoluzione Caosmotica che coinvolge insieme la mente e il mondo.

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