Scrittori, Popolo, Italian Thought

Italia senza nazione

Claire Fontaine_ Stranieri ovunque (2012)
Claire Fontaine, Stranieri ovunque (2012).

Pubblichiamo qui un’anticipazione dal libro Italia senza nazione. Lingue, culture, conflitti tra Medioevo ed età contemporanea, a cura di Antonio Montefusco, appena uscito per Quodlibet nella collana Materiali IT.

Solo in apparenza può sorprendere, nel primo libro del Capitale, l’incappare nella citazione litteraliter delle parole di San Pietro nel Paradiso: «Assai bene è trascorsa / d’esta moneta già la lega e il peso / Ma dimmi se tu l’hai nella borsa» (Pd. XXIV. 83-85). Marx sta spiegando il rapporto tra merce e moneta, e attinge, in italiano, ai versi danteschi, riconoscendogli non tanto un’aura di allusione vagamente esotica, quanto un nocciolo di verità incontestabile. Anche la prefazione del Capitale si chiudeva stentorea su un’altra pericope – «Segui il tuo corso e lascia dir le genti», dalla seconda cantica, stavolta – che sarebbe diventata, nel periodo seguente, una citazione di e da Marx: un’appropriazione sorprendente solo per chi non conosce la confessione del filosofo di Treviri che proprio Dante colloca in testa a una confessione trovata tra le carte di Jenny, che elencava gli scrittori più amati (Eschilo, Shakespeare, Goethe, tra gli altri). Secondo un recente studioso, William Clare Roberts, Marx avrebbe modellato l’immagine del capitalismo sull’Inferno dantesco: un repertorio non solo di tropi ma soprattutto un modello governamentale di lettura che permette al suo autore di rivolgersi, come un moderno Virgilio, al suo lettore socialista, di offrirgli un percorso conoscitivo attraverso l’oltretomba sociale, di disegnare infine una teoria politica dotata di un progetto eminentemente didattico, che rompe con la tradizione della politica economica e che rende il Capitale un testo-chiave del repubblicanesimo radicale1.

Da questa ipotesi affascinante penso che si possa trarre l’idea che la Commedia non si limiti ad essere, per Marx, uno dei testi-chiave del canone romantico, ma che invece l’autore del Capitale abbia intravisto, soprattutto nella prima cantica, qualcosa di simile a una genealogia necessaria del proprio progetto. Facendo un passo ulteriore, ci si può chiedere se fosse già chiaro a Marx che Dante sia il primo rappresentante, per citare un sintagma caro all’Esposito di Pensiero vivente, di quell’eccedenza tipica della tradizione italiana, che proprio nel Dante infernale trova il suo «luogo costitutivo» e la «prima, insuperata, codificazione simbolica»2. Per dimostrare questa constatazione, Esposito indica nell’Inferno e nella sua strutturazione giuridica basata sul contrappasso, non solo una sproporzione tra pena e colpa, ma anche una continua revocazione in dubbio della stabilità della norma giuridica3. […] L’esempio mi serva a dimostrare come il disegno storiografico definito in Pensiero vivente nonché nel suo pendant europeo, Da fuori, può avere un produttivo ruolo di detonatore interpretativo anche in campi ravvicinati ma non coincidente con la filosofia4. […] Nell’individuazione ed enucleazione di una tradizione non tradizionale di pensiero, Esposito ritaglia uno spazio unico all’Italia su scala europea: «diversamente da culture filosofiche fin dall’inizio segnate dal rapporto con un’istituzione politica già forte e consolidata, come l’Inghilterra di Hobbes, ma anche la Francia di Cartesio; diversamente anche da tradizioni di pensiero impegnate nella costruzione di un sapere dello Stato, come la Germania di Hegel, l’Italia pensa la politica nella sua dimensione prestatale e anche, a volte, di resistenza allo stato»5.

Senza entrare nei dettagli della costruzione teoretica di questo paradigma, da quanto ho appena detto spero si comprenda l’aspetto e l’importanza anche del gesto ermeneutico, della rivoluzione epistemologica che esso può produrre soprattutto in chi si occupa e si interroga sulla cultura italiana. Essa nome e permette di unificare sforzi plurimi, anche talvolta nascosti nello specialismo, che debbono essere ricondotti allo scoperto e che consentono di dissezionare da vicino quella cultura italiana, che, se guardata da lontano – come nell’approccio dell’italianismo definito da Balicco – rivela la sua capacità di essere concretamente interdisciplinare e mai irrigidita nella gerarchia di saperi tradizionale6. Per uscire dal generico, voglio fare due esempi che possano parlare a chi frequenta i campi del letterario. Pensiamo a De Sanctis. Secondo Esposito il paradigma progressivo di intreccio tra esemplarità civile e sviluppo letterario che si dispiega nella Storia della letteratura dell’Italia unita è al contrario un racconto discontinuo e inquieto: più che una carrellata di ritratti, un continuo susseguirsi di contrasti nei quali la letteratura manca continuamente l’appuntamento con la vita. Lo sviluppo letterario italiano è il frutto di una lacerazione originaria7: di nuovo, cito, «Dante che dovea essere il principio di tutta una letteratura, ne fu la fine»8. Ciò che manca, continuamente, è un rapporto più stretto e profondo con la vita, che esiste soltanto laddove la poesia si estroflette, esce cioè fuori di sé (e questo avviene almeno per due volte, nella Storia della letteratura italiana, cioè, in Dante e Leopardi). Esposito ci ricorda: «Che Francesco De Sanctis sia professionalmente un critico letterario – il maggiore che l’Italia abbia mai avuto – […] costituisce ulteriore conferma, per il pensiero italiano, di adoperare un linguaggio diverso da quello tecnicamente filosofico per aprire una prospettiva in qualche modo eterogenea rispetto alla riflessione europea contemporanea»9.

L’altro esempio che andrà fatto rileva, in verità, da un evidente rovesciamento della linea che da De Sanctis arrivava a Gramsci, ed è il volume di cui, da poco, è occorso il mezzo secolo di vita. Mi riferisco a Scrittori e popolo di Alberto Asor Rosa, che assumeva un punto di vista integralmente politico sulla letteratura dell’Italia contemporanea, travolgendo l’intero sviluppo letterario seguito al punto in cui si interrompeva l’affresco di De Sanctis fino all’epigono più problematico di quella tradizione, Pier Paolo Pasolini. La tesi è nota: la letteratura italiana è intrinsecamente populistica e ambigua, e in quanto tale incapace di essere all’altezza del grande modernismo europeo. Ne usciva profondamente eroso anche il mito di Gramsci, violentemente schiacciato sulle sue fonti risorgimentali10. Il metodo è preciso: «ci siamo sforzati indubbiamente di applicare ad un importantissimo aspetto della letteratura italiana otto-novecentesca quella critica di parte operaia, che costituisce l’obiettivo ultimo della nostra ricerca presente»11. Si tratta della proiezione storiografico-letteraria di un altro gesto, quello operato da Mario Tronti in Operai e capitale, del suo punto di vista antagonista: «La possibilità, la capacità della sintesi è rimasta tutta in mano operaia. Per una ragione facile da capire. Perché la sintesi può essere oggi solo unilaterale, può essere solo consapevolmente scienza di classe, di una classe»12.

Luciano Fabro, L’Italia rovesciata (1968) – Foto Archivio Luciano e Carla Fabro Milano.

Questa staffetta del ragionamento sull’italianismo, che si realizza in maniera significativamente contemporanea (del 1965 è Scrittori e popolo, dell’anno seguente Operai e capitale) ha un aspetto paradossale. Come si può vedere dallo stile di Tronti, in Operai e capitale si riscontra un percorso contrario rispetto all’estroflessione che nella tradizione letteraria italiana, in un Dante e in un Leopardi, portava dalla poesia alla filosofia. L’aver listato Operai e capitale nel Dizionario delle opere letterarie Einaudi, come, appunto, uno dei capolavori della letteratura contemporanea, mostra la retroversione di questo tragitto, che dalla filosofia si apre alla letteratura, in qualche modo imprigionando costituzionalmente il volume del 1966 nella differenza italiana che invece Asor Rosa voleva demistificare. Se questa tensione tra le due ricostruzioni esiste, è il paradigma storiografico di quest’ultimo che andrebbe integralmente ripensato, perlomeno cercando di liberarlo dell’apparato di giudizi e stroncature attuate sul corpo della letteratura italiana in nome della sua eterogeneità rispetto alla direzione della scrittura in Europa. In altri termini: uno dei possibili cambi di passo che ci impone l’Italian Thought è quello di soppesare e valutare il populismo della cultura italiana più o meno contemporanea come uno dei caratteri della sua eterogeneità. […]

Nel pensiero italiano si riscontra costantemente la presenza dell’evocazione di un’origine nel discorso sull’attualità, in una maniera che permette di interrogare il presente alla luce di una profondità storica13. La mia tesi è che sono le caratteristiche fondanti della letteratura italiana nel loro specifico contesto storico che impongono una narrazione differente e completamente disancorata rispetto all’orizzonte storico-concettuale dello Stato-nazione ed esigono un occhio di tipo «italianistico», cioè distanziato e non univoco, secondo la versione che ne dà Balicco14. Di quali caratteristiche parlo? Nella modernità letteraria, è sufficiente evocare il peculiare sviluppo del romanzo italiano per apprezzarne la mancata coincidenza con i processi di costruzione identitaria di altre tradizioni con il loro corollario di eroicizzazione dei protagonisti15. Se invece andiamo all’origine, non possiamo accontentarci di un’analisi e di un’indagine sulla letteratura iuxta propria principia. La vocazione genealogica della tradizione italiana, per essere compresa, deve includere le caratteristiche ambientali che hanno permesso lo sviluppo di questa differenza. Per provare a spiegarlo, faccio riferimento a uno studio fondativo di dieci anni fa, di Sylvain Piron ed Emanuele Coccia, che proprio nella età di Dante hanno mostrato l’affermazione di un tipo di intellettuale del tutto originale rispetto al contesto europeo. Questa originalità si può definire tramite tre elementi: lo scrittore non si specializza mai in un unico ambito disciplinare, ma mostra competenze e interessi in più campi di studio; è sempre in contatto con le istituzioni e mostra un diretto impegno politico; non è quasi mai legato alle istituzioni del sapere (come l’Università e la Chiesa)16.

Lo svilupparsi della letteratura italiana nel suo intreccio con la definizione della differenza del pensiero italiano resta inestricabilmente legata a questo momento di genesi: non solo a causa della naturale inerzia che si porta con sé la tradizione letteraria, in specie sul piano formale e stilistico, quanto perché è insito a quella differenza, come ha mostrato Esposito, un continuo «ritorno all’origine». Pensiamo al rapporto che la cultura italiana intrattiene con Dante. Sarebbe una grande banalizzazione interpretare questo rapporto legandolo univocamente alla canonizzazione che del poeta faranno gli esuli politici (non ultimo, Foscolo), garantendogli poi una solida fortuna nell’Italia post-unitaria. E tuttavia trasformare Dante in un «padre della patria» è stata una delle operazioni più antistoriche del Risorgimento italiano, perché ne ha depotenziato le caratteristiche più sperimentali. Non basta, però; bisogna aggiungere che l’intera opera e l’intero pensiero di Dante presenta diversi punti di resistenza rispetto alla letteratura europea, a causa della sua radicalità, linguistica, teologica e ideologica, e della sua posizione storica.

Note

Note
1W. C. Roberts, Marx’s Inferno: The Political Theory of Capital, Princeton, NJ: Princeton University Press, 2017.
2R. Esposito, Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2010, p. 141.
3Ivi, pp. 136-149.
4R. Esposito, Da fuori. Una filosofia per l’Europa, Torino, Einaudi, 2016.
5R. Esposito, Pensiero vivente, cit., p. 22.
6D. Balicco, Made in Italy e cultura. Indagine sull’identità italiana contemporanea, Palumbo, Palermo, 2016.
7R. Esposito, Pensiero vivente, cit. p. 131.
8F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, a cura di N. Gallo, intr. di G. Ficara, Torino, Einaudi- Gallimard 1996, II, p. 974.
9R. Esposito, Pensiero vivente, cit., p. 123
10A. Asor Rosa, Scrittori e popolo. Scrittori e massa, Torino, Einaudi, 2015, pp. 162-176, soprattutto 171-172, dove si notano le «analogie impressionanti» con Gioberti.
11Ivi, p. 6.
12M. Tronti, Operai e capitale, Roma, DeriveApprodi, 2006, p. 14.
13Questa particolarità ha profondamente influenzato la storiografia letteraria più avvertita e originale, che ha tentato di sfuggire alla ricostruzione progressiva e manualistica (pure oggi tornata in auge) preferendo individuare piuttosto dei nodi, talvolta marginali, di costruzione della tradizione letteraria. Se dovessi fare un esempio che attinge alla filologia, mi viene in mente soprattutto il rosminiano-crociano Gianfranco Contini, che conferisce un’importanza centrale per l’interpretazione di Dante a un testo laterale, minore, e infine di non sicura attribuzione dantesca: e cioè il Fiore, traduzione toscana del Roman de la Rose. Con quel testo Contini riesce a fare una doppia operazione: riesce a spiegare la continua compresenza nazionale / internazionale – il Fiore è la versione italiana di un best-seller europeo – e diacronia / sincronia – il Fiore è l’emergenza originaria, continuamente presente, di una linea plurilinguistica che viene ricostruita a ritroso, partendo da Gadda. Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma a mio parere sarebbe un errore limitare il problema a una questione di paradigmi di storiografia né tantomeno di ermeneutica. Contini, Un’idea di Dante, Torino, Einaudi, 1965.
14«L’italianismo potrebbe essere infatti definito come il campo di studi che approfondisce la trasformazione dell’immagine simbolica dell’Italia, in questi ultimi quarant’anni. Un campo di studi ancora mancante che potrebbe analizzare come, a livello internazionale, la storia culturale del nostro paese si sia progressivamente condensata in alcuni settori produttivi d’esportazione (moda, design, cibo, musica, cinema, teoria) per poi ricomporsi in una totalità nuova.» Balicco, Made in Italy e cultura, cit., p. 8
15S. Jossa, Un paese senza eroi. L’Italia da Jacopo Ortis a Montalbano, Rome-Bari, Laterza, 2013.
16E. Coccia, Emanuele – S. Piron,  Poésie, science et politique. Une génération d’intellectuels italiens (1290-1330), in «Revue de Synthèse», 129, 2008, pp. 549‐586.

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