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Sette doppio
A/traverso e dietro lo specchio
Il movimento del Settantasette lo si pensa di solito come un Giano Bifronte: una specie di essere a due teste, dove da una parte stanno gli scontri di piazza, la violenza di alcune frange dell’autonomia operaia organizzata, e dall’altra l’ala creativa e spensierata degli indiani metropolitani. Ma «si fa presto a dire indiano», come scrissero Franco Berardi Bifo e Angelo Pasquini in risposta a Umberto Eco, che sull’Espresso si chiedeva in quale misura le complicate teorie semiotiche messe in campo dalla parte dada-surrealista del movimento potessero trovare una coerente corrispondenza con la violenza diffusa di alcuni gruppi dell’ultrasinistra.
In effetti, resta ancora da sciogliere questo nodo, resta ancora da capire come pratiche così differenti di resistenza attiva potessero coesistere e anzi entrare in competizione: basta dare un’occhiata alle foto dei murales di quegli anni per avere una timida idea di quanto il discorso antagonista fosse un coacervo indistricabile di poesie improvvisate, formule magiche di paradossi e nonsense e, allo stesso tempo, di minacce assertive e senza esitazioni, di slogan che inneggiavano esplicitamente alla violenza. Quel movimento è stato l’esplosione gioiosa e irrefrenabile del desiderio di cambiare la propria vita, di tentare un’ultima e radicale alternativa al sistema imposto dal capitale, oppure la necessaria premessa per il tracollo terroristico? Il doppio rimane, Giano non può liberarsi della sua natura anfibia e ambigua.
Al di là di queste contraddizioni oggettive, tuttora difficili da sbrogliare, a quattro decenni esatti da quell’anno fatidico è necessario ricordare che quelle stesse scritte non derivavano solamente da un semplice bisogno di espressione di strani studenti, ma anche da una più vasta e stratificata riflessione nata in seno a una parte importante del movimento, quella di matrice bolognese. È in questo senso che una rivista come «A/traverso», foglio che riprende la lezione delle avanguardie storiche e con la sua grafica sporca e spezzettata anticipa le fanzine punk anglosassoni, si pone come il fulcro di una piccola rivoluzione nella rivoluzione. Distruggere il linguaggio codificato per rifondare il mondo conosciuto. Forzarne i limiti per vedere cosa si nasconde al di là della realtà che si spaccia come l’unica possibile. Vedere cosa c’è dietro lo specchio di Alice: questo era il sogno degli animatori del giornale.
Ed è proprio da «A/traverso» e da quel miracoloso microcosmo bolognese (lo stesso del primo Dams, per intenderci) che, per esempio, nacquero la leggendaria Radio Alice e gruppi come Skiantos e Gaznevada; è da lì che presero forma alcune pratiche falsificatorie rese poi immortali dal «Male»; è lì che scrittori e artisti come Tondelli, Palandri, Pazienza e Claudio Piersanti derivarono alcuni temi delle loro prime opere; è soprattutto sullo stampo di «A/traverso» che si modellarono quelle centinaia di piccole testate nate nell’anno fatidico del doppio sette. Numerosissimi furono infatti i fogli trasversali che fiorirono in Italia in quel periodo: riviste antagoniste stampate in proprio con macchine off-set sulle cui pagine la dissacrante, programmatica e iperbolica ironia del dadaismo già veniva a smantellare gli assiomi del credo leninista, ne rivelava le più profonde contraddizioni con un sorriso beffardo.
Ma anche qui non si può semplificare troppo: dietro quel sorriso già si preparava uno scarto essenziale, antropologico, che avrebbe poi trovato compimento con l’arrivo degli anni Ottanta. La politica classica, quella che aveva caratterizzato gran parte del secolo breve, lasciava spazio a un nuovo motore della Storia: il corpo compatto della politica veniva sostituito da quello scontornato e liquido dell’economia finanziaria. E anche in questo caso, nonostante le loro contraddizioni, i fondatori di «A/traverso» avevano avvertito qualcosa prima d’altri: avevano capito che il dominio si sarebbe spostato su un piano molecolare, che sarebbe proliferato nel campo della comunicazione e dell’informazione, della tecnologia e dell’informatica. Avevano compreso che quello era il nodo da sciogliere, che lì stava ancora una possibilità di liberazione, poi andata in frantumi. Come Penthotal, ma al contrario. Credevano fosse uno sprazzo, era invece un terribile inizio.
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