A 200 anni dalla nascita di Karl Marx alcune fondazioni e istituzioni culturali sono impegnate a ricordarne, rileggerne e farne conoscere l’opera e la figura con una serie di iniziative. La prossima >…
Un futuro presente
Utopia e non utopia
Pubblichiamo un estratto della relazione che verrà presentata al convegno 200 Marx. Il futuro di Karl, al Museo Macro di Roma, dal 13 al 16 dicembre. Qui il sito dell’iniziativa.
Ho scelto di parlare del tema dell’utopia in quanto, a mio parere, le vicende di questo concetto consentono sia di inquadrare il grande tema dell’alternativa (a partire da Marx ed Engels, lungo la storia del marxismo e in relazione alle possibilità dell’oggi); sia di tenere insieme quella dimensione interrelata di passato, presente e futuro tanto problematica quanto fondamentale nell’attuale condizione di imperante presentismo in cui il tempo del neoliberalismo ci continua a schiacciare. La questione dell’utopia ha inoltre un interesse storico sia per come interpretata da Marx ed Engels, sia per come si è sviluppata nelle diverse congiunture storiche del Novecento e degli inizi del nuovo secolo, allorquando essa è tornata a campeggiare quale sinonimo di un altro mondo possibile e reale.
Le tensioni di un concetto. Dal socialismo utopistico a Marx ed Engels
Quella dell’utopia è dunque la vicenda di «un concetto in gioco» (Capdevila, 2015), tanto problematico, quanto indispensabile nel suo alludere alla prefigurazione di un’alternativa rispetto ad un assetto dominante, percepito come oppressivo, oscuro, totalizzante, chiuso. Problematica nel suo significato polisemico (illusione, irrealizzabilità, funzione critica, sogno, progetto), nel suo controverso legame – ma anche nella sua distinzione – con il concetto di ideologia. Problematica se intesa nel suo far riferimento a costruzioni di mondi immaginari e indeterminati, non ancorati alle condizioni materiali della realtà (e dei suoi soggetti), e alle concrete possibilità della trasformazione/cambiamento.
Indispensabile nella sua funzione di contestazione – di «arma della critica» – capace «di infrangere la chiusura della realtà», nel suo potere, pari a quello delle finzioni, di ridescrivere quest’ultima (Ricoeur, 1994). Indispensabile se intesa come possibile orizzonte di processi storici reali, come «idea di un evolversi della storia verso un futuro…paradigmaticamente valido, nella sua immagine, a orientare l’agire presente» (Cacciari, 2016). Indispensabile nel suo fornire materiali per la progettazione di un mondo altro, nello specifico di una società non capitalistica. Indispensabile, infine, nel suo alludere a un Principio Speranza, come lo avrebbe definito Ernst Bloch, capace di proiettare il presente nel tempo aperto del futuro, del possibile-divenire. In questo ultimo senso, la concettualizzazione dell’utopia (nella sua forma novecentesca) diventerà per alcuni autori marxisti il modo di costruire uno spazio conflittuale di presa di posizione. Queste sfide del concetto di utopia sono innanzitutto presenti nei lavori di Marx ed Engels, che dedicano parte del terzo capitolo del Manifesto alla messa in discussione dei socialisti critico-utopistici, cogliendo due aspetti centrali della questione.
Il primo è quello presente nell’attacco ad autori, come Fourier, Saint-Simon, Owen i cui sogni del futuro finiscono per ingannare, per creare illusioni rispetto alla lotta matura del nuovo soggetto rivoluzionario: il proletariato. Il punto debole di questi autori sta nel fatto che, nonostante essi partano da un rifiuto del mondo borghese, tuttavia «non scorgono dalla parte del proletariato nessuna funzione storica autonoma, nessun movimento politico che gli sia proprio». Gli esponenti del socialismo utopistico fanno subentrare «la loro azione inventiva personale» alla «azione sociale»; le cosiddette azioni fantastiche al «posto delle condizioni storiche dell’emancipazione». È così che «un’organizzazione della società escogitata di sana pianta» subentra «al posto del graduale organizzarsi del proletariato come classe» (Il Manifesto).
Come è stato di recente osservato, il salto compiuto da Marx ed Engels sta nel loro parlare «il vero linguaggio del reale» rimosso o forcluso da tutti altri teorici socialisti. Si tratta cioè del «linguaggio della lotta di classe», che consente loro di «parlare da dentro il reale stesso». La critica di Marx ed Engels è parte di una «postura negativa» che è «indissociabile dalla tematica della lotta di classe come guerra civile». Rivolgendosi «sia contro il discorso dei dominanti, sia contro quello dei dominati», questa critica «strappa il discorso rivoluzionario al terreno dell’ideologia dove tutti gli altri risiedono, per farlo sorgere contro di loro», portandolo «sul terreno del processo reale» e presentandolo «come fosse la voce anonima di quest’ultimo» (Balibar, 2018). La politica di classe viene così situandosi su tutt’altro terreno rispetto a quello dell’utopia e così il socialismo scientifico rispetto al socialismo utopistico, al quale infatti corrisponde uno stadio embrionale del movimento operaio.
Il secondo aspetto colto da Marx ed Engels rispetto a questi autori e ideali – che rispecchiano i primi impulsi verso una trasformazione generale della società di un proletariato non ancora pienamente sviluppato e pertanto incline a rappresentarsi in modo fantastico – risiede in una loro funzione propulsiva. Essi, scrivono, che gli autori cirtico-utopistici «Attaccano tutte le fondamenta della società attuale. Per questo hanno fornito del materiale di enorme valore per illuminare gli operai» (Il Manifesto). A ben guardare, «le loro affermazioni positive sulla società futura» rifluiscono nello stesso progetto di una nuova società alternativa a quella capitalista e lo stesso «testo del Manifesto è un vero e proprio “palinsesto”, che incorpora nelle sue formulazioni innumerevoli parole e frasi riprese dai socialisti e comunisti critico-utopistici» (Balibar, 2018). Sembrerebbe qui risiedere una sorta di paradosso, forse proprio dello stesso significato controverso dell’evocato concetto di utopia: la sua funzione critica, il suo alludere a un progetto alternativo alimenta il desiderio comunista della trasformazione.
Nelle osservazioni finali riservate ai critico-utopistici emerge il nocciolo della questione. Per Marx ed Engels a qualificare infatti la natura di certa letteratura socialista resta la classe sociale di riferimento. È la borghesia in questo caso a nascondersi dietro i discepoli di questa forma di socialismo, i quali in opposizione al progressivo sviluppo storico del proletariato e della lotta di classe, continuano a costruire castelli in aria, facendo «appello alla filantropia dei cuori e delle tasche borghesi». È dunque l’individuazione di un soggetto adeguato l’elemento fondamentale della «formulazione di un progetto comunista», in assenza del quale anche le formulazioni politiche comuniste (degli utopisti) appaiono a Marx ed Engels dannose. Lo scopo principale del Manifesto è dunque evocare un soggetto in grado di «sovvertire la società capitalistica», così come di costruire un mondo nuovo. Il proletariato è installato da Marx ed Engels «al centro della politica rivoluzionaria come soggetto reale». Esso è il nuovo «soggetto che scrive la storia della lotta di classe anti-capitalistica nella modernità e che al tempo stesso delinea i contorni di un futuro» liberato (Hardt, Mezzadra, 2018). Qui risiede la forza politica (originaria e incessante) del Manifesto e al contempo il gesto di rottura compiuto da Marx ed Engels nei confronti dello stesso socialismo utopistico. Rottura anche nei confronti della forma moderna dell’utopia, quale prefigurazione di un ordine armonico, teso a neutralizzare le contraddizioni e a imbrigliare il conflitto.
Nell’ultima rivoluzione vista da Marx, l’ultima rivoluzione nel cuore dell’Europa ottocentesca, la classe operaia aveva sperimentato la «forma politica finalmente scoperta nella quale si poteva compiere l’emancipazione economica del lavoro». Il «possibile comunismo» si era realizzato nell’esperienza della Comune di Parigi. Qui si era manifestata la forza politica della classe operaia, del soggetto rivoluzionario consapevole che a «realizzare la sua propria emancipazione» non erano «utopie belle e pronte da introdurre par décret du peuple», ma «lunghe lotte» e processi storici capaci di trasformare «le circostanze e gli uomini». La classe operaia, scriveva perentoriamente Marx «non ha da realizzare ideali, ma da liberare gli elementi della nuova società dei quali è gravida la vecchia e cadente società borghese» (La guerra civile in Francia). E d’altra parte la stessa questione della transizione (del passaggio alla nuova società liberata) profondamente legata a quella dell’utopia, sarà delineata in termini antiutopistici nella Critica del Programma di Gotha.
Marxismo come utopia concreta: Ernst Bloch
Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento il concetto di utopia trova uno sviluppo decisivo, sul piano filosofico, negli scritti di Bloch, dinnanzi agli orrori della Grande Guerra e alle speranze della rivoluzione d’Ottobre. È in Bloch che si dà la messa a punto di un significato innovativo dell’utopia, riformulata nel tempo rispetto a Marx quale utopia concreta e intesa come principio di lotta che rimanda a quanto del nuovo è rimasto ancora inesplorato. Nel tentativo di formulare una concezione filosofica comprensiva il più possibile del reale, l’utopia è da subito il centro teorico dell’elaborazione di Bloch, intento a qualificarla come la categoria filosofica del Novecento. Tensione al futuro, recupero del senso perduto, incontro con il sé ma soprattutto concetti come la tenebra dell’attimo appena vissuto e come il sapere non ancora conscio costituiscono gli elementi principali di questa prima concettualizzazione dell’utopico. Nello specifico, a tenere insieme questi concetti che sono perifrasi dell’utopico, è la categoria del Non-ancora che entra nei sogni a occhi aperti di noi tutti. Il sogno diurno, ben diverso da quello notturno si riferisce al Non-ancora che ha tuttavia anche un essere: è un Non-essere-ancora. Lo stesso significato di una vita migliore – di regno della libertà – benché non ancora presente, può essere inteso e manifestarsi in una tendenza e latenza. L’utopia di una vita migliore è stata, a suo parere, da sempre rivoluzionaria. La relazione con Marx e il marxismo si costruisce all’interno di questa traiettoria. Il marxismo non è una non-utopia, ma il novum di un’utopia concreta (di un’utopia cioè che viene rimessa sui piedi). Espressione questa contenuta nel successivo capolavoro blochiano, Il Principio speranza.
Il ritorno dell’Utopia
L’utopia torna a essere protagonista nelle riflessioni e nelle analisi di molti autori marxisti contemporanei, come replica all’anti-utopismo della fine del XX secolo, ma soprattutto come reazione alla corrente fredda della ragione economica neoliberista, come istanza di riappropriazione di un futuro assorbito e abolito dall’imperante «presentismo» (Traverso, 2016), come appiglio per la progettazione di un’alternativa al capitalismo. Negli ultimi decenni del XX secolo, dinnanzi all’ascesa del neoliberalismo e alle nuove ingiustizie dell’ordine globale numerosi intellettuali radicali affrontano in modo nuovo la sfida del cambiamento sistemico (da Williams, a Gorz, a Bahro, ad Arrighi e Wallerstein). Dopo la crisi del 2008, l’orizzonte di un’alternativa al capitalismo torna nuovamente ad essere centrale, sostanziandosi spesso di richiami utopistici, più o meno fondati. Rispetto a un capitalismo sempre più distruttivo, rispetto a una sinistra spesso incapace di pensare l’alternativa e le condizioni dell’emancipazione, Real utopias sono state chiamate proposte concrete di cambiamento, nuove forme non capitalistiche di organizzazione della vita economico-sociale (Wright, 2010). In una prospettiva diversa, ma altrettanto incline a riqualificare l’utopia si muovono altri critici marxisti intenti a indicare in questo concetto la possibilità di uno spazio di pensiero e di un laboratorio filosofico-politico necessari storicamente alla progettazione di una realtà informata da nuovi principi, come anche da inedite strategie di senso. In un tempo come quello attuale segnato da tentativi di colonizzare il futuro, deprivandolo della sua «esplosività», neutralizzandolo o annettendolo «come nuova area di investimento» capitalistico, la forma utopica – che è «di per sé una significativa riflessione sulla differenza, sull’alterità radicale» – torna a mostrare tutta la sua spendibilità. A fronte delle sue ambiguità strutturali, della sua stessa inaffidabilità, ma anche della sua concretissima funzione politica la proposta è allora quella di una «rivendicazione dell’anti-anti-utopismo» (F. Jameson, 2005).
Le prospettive dell’alternativa
Ciò che dunque oggi sembra più mancare è la dimensione progettuale, la capacità di pensare l’alternativa rispetto all’attuale riorganizzazione del capitalismo. È il futuro che va riconquistato, è la prefigurazione che va riposta al centro dell’agire dopo anni vissuti nel segno della distopia: la concreta utopia (nel suo medesimo paradosso) per dirla con Bloch propria al pensiero di Marx. Occorre tuttavia precisare questo punto fondamentale: in Marx l’utopia non c’è o se c’è è solo a patto di interpretarla non nel segno di un sogno romantico, bensì di immaginazione di una società alternativa – l’autogoverno dei liberi produttori associati – che decide collettivamente dei sistemi di produzione, riproduzione, appropriazione e di distribuzione per soddisfare i propri bisogni in relazione alle proprie forze e capacità produttive. A dispetto di qualsiasi formulazione messianica o spiritualista di cambiamento, in Marx c’è «l’idea di pratica, o di liberazione come trasformazione», a partire dalla produzione e dalle sue condizioni (Balibar, 1994). Contro interpretazioni evoluzionistiche della filosofia di Marx, al contrario nel suo pensiero vi è un rinvio costante all’imprevisto, alla molteplicità (ed eterogeneità) dei processi, alla stessa rottura rivoluzionaria. Nello scrivere la sua più importante opera, Marx fu ossessionato dal comprendere non solo le leggi e i principi del capitalismo, ma anche le tendenze future, dove cioè il capitalismo aprisse alla rivoluzione, come fosse possibile uscire dal capitalismo (è il tema dell’anticipazione). Nel Capitale vi è non solo la critica scientifica del capitalismo, ma è altrettanto presente la politica e la lotta di classe. Tale compresenza si dà proprio a partire dalla convinzione marxiana secondo cui il capitale «non è una cosa, ma un rapporto sociale tra persone mediato da cose». Formulazione questa alla base del nuovo materialismo di Marx e che recentemente ha consentito di recuperare la problematica della produzione di soggettività. Il termine rapporto implica infatti tanto le «condizioni di assoggettamento»; quanto l’apertura alla «sovversione e trasformazione» sul terreno stesso della valorizzazione del capitale su cui si «esprimono le contraddizioni e gli antagonismi che segnano il modo di produzione capitalistico – base materiale per la rottura della continuità della sua storia» (Mezzadra, 2014).
Ciò che è presente nel Capitale, è un’idea della tendenza e della sua contraddizione interna. Detta ancora in altre parole, «si tratta della contraddizione crescente tra due tendenze: la socializzazione della produzione e la tendenza alla parcellizzazione della forza-lavoro, al supersfruttamento e all’insicurezza per la classe operaia» (Balibar, 1994). Qui le lotte (intersezionali), la stessa lotta di classe hanno un ruolo decisivo, a partire dal protagonismo delle soggettività politiche capaci di muoversi sulla scia di una logica socializzante dello sviluppo delle forze produttive per realizzare di volta in volta le proprie nuove conquiste. E proprio sulla base di un processo di liberazione pensato in questi termini, è allora oggi possibile riformulare il tema dell’anticipazione. Così formulato esso non ha nulla a che vedere con il rinvio al mondo dei sogni. Al contrario, la possibilità di trasformare il mondo presente proviene dalle potenzialità del conflitto, dalla capacità di espandere la democrazia, di re-immaginare e riarticolare il nesso tra libertà/uguaglianza, tra universalismo e differenza (riformulando l’universale a partire dalla differenza); proviene dai processi continui di soggettivazione, dall’agire stesso dei soggetti immersi nella logica dinamica del cambiamento, in un futuro che è già presente.
Bibliografia
N. Capdevila, N. Équivoques et tourments de l’utopie. Un concept en jeu, Publications de la Sorbonne (2015)
S. Mezzadra (2014), Nei cantieri marxiani. Il soggetto e la sua produzione, Manifestolibri (2014)
M. Hardt, e S. Mezzadra, Il soggetto del Manifesto, in K. Marx, F. Engels, Il Manifesto comunista, a cura di C17, Ponte alle grazie (2018)
E. Balibar, La filosofia di Marx, Manifestolibri (1994)
F. Jameson, Il desiderio chiamato Utopia, Feltrinelli (2005)
E. Bloch, Il principio speranza, Garzanti (2005)
–Thomas Münzer teologo della rivoluzione, Feltrinelli (2009)
– Spirito dell’utopia, Rizzoli (2009)
– Marx: camminare eretti, utopia concreta, in Id., Karl Marx, Punto Rosso (2013)
M. Cacciari, e P. Prodi, Occidente senza utopie, il Mulino (2016)
P. Ricoeur, Conferenze su ideologia e utopia, Jaca Book (2014)
E. Traverso, Melanconia di sinistra, Feltrinelli (2016)
I. Wallerstein, The Capitalist World-Economy, Cambridge University Press (1979)
– Utopistics Or, Historical Choices of the Twenty-first Century, The New Press (1998)
R. Williams, Towards 2000, The Hogarth Press (1983)
E.O. Wright, Envisioning Real Utopias, Verso (2010)
R. Bahro, The Alternative in Eastern Europe, Verso (1978)
– From Red to Green, Verso (1984)
G. Arrighi, The Long Twentieth Century. Money, Power, and the Origins of Our Times, Verso (1994)
A. Gorz, Les chemins du paradis. L’agonie du capital, Galilée (1983)
– Misères du présent, richesses du possible, Galilée (1987)
condividi