Il paradosso del comune
Che cos'è un'OperaViva?
Confesso di non avere mai ben capito cosa si intenda per attività in assenza di opera. Tantomeno quanto ciò riguardi il lavoro artistico contemporaneo, che a me pare più che altro produzione di cose inseparabili dal processo del produrre. Nessuna nostalgia dell’opera quindi: piuttosto lo sdoppiarsi continuo della convenzione, la proliferazione di differenze interne alla riproduzione, l’incepparsi del circuito di mercificazione, l’irrompere del conflitto nel cielo piatto degli algoritmi del capitale. Insomma, confesso: non riesco a pensare l’arte fuori dalla costruzione materialista del mondo.
Qualche anno fa Alessandro Dal Lago e Serena Giordano, avevano attirato l’attenzione sull’eccedenza di alcune nuove forme culturali rispetto ai luoghi tradizionalmente deputati all’organizzazione del mercato dell’arte e alle sue istituzioni: il museo (pubblico) e la galleria (privata). Ragionando di street art gli autori si chiedevano: come si può promuovere e diffondere l’arte contemporanea «cercando al contempo – cito – di salvaguardarne lo spirito rivoluzionario»? E rispondevano: «non si può, ecco tutto. Se emerge dalla clandestinità in cerca di riconoscimenti pubblici, il writing diviene tutt’altra cosa dalle intenzioni originarie».
Possiamo dire in prima approssimazione che tutta l’arte è insieme contestuale ed in tensione con il suo contesto (che può essere lo spazio urbano medesimo o altre volte il circuito di mercificazione dell’arte e i suoi linguaggi mainstream etc). In secondo luogo essa si genera in un meccanismo che nasce già completamente socializzato. General Intellect, lavoro senza nome e – per conseguenza – opere senza autore. La figura dell’individuo proprietario, la persona giuridica del cittadino liberale, cui vanno riconosciuti perciò i suoi diritti politici, civili, sociali ed economici, implode e si dissemina rivendicando un riconoscimento generale per forme di produzione diffuse e cooperative.
L’arte non può essere valorizzata dal mercato o dal circuito dei musei pubblici e tuttavia valorizza questo doppio circuito, mostra il contesto su cui agisce come fabbrica sociale. Ma si tratta di una fabbrica ben strana le cui merci cedono valore in un meccanismo di dispersione entropica. Prendiamo ad esempio il recente gesto di Blu, che cancella i suoi lavori da Bologna e Berlino. Parti dell’opera qui sono, insieme, la sua apparizione, la sua fruizione e la sua scomparsa: anzi, proprio questo terzo momento ne allarga il campo semantico, ribadendo il suo potenziale trasformativo. Il lavoro artistico si appropria per un momento dello spazio urbano, non lo lascia inalterato e si espone esso stesso ad ulteriori trasformazioni.
Questo è il paradosso dell’OperaViva, il paradosso della biopolitica, il paradosso del comune: «quando il capitale accumula il comune per privatizzarlo – scrivono Negri e Hardt – esso blocca la sua produttività. Il capitale per così dire, tiene il lupo per le orecchie: se ce la fa prima o poi sarà morso; se lo lascia andare il lupo se lo mangia».
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