In caso di emergenza portatemi al cinema

«L'innocenza dei dinosauri» di Giovanna Ferrara

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Adriano Bascetta, «La barca dell'amore non si è spezzata» (2021). Courtesy l'artista.

Chiunque abbia attraversato uno stato di fragilità bisognoso di cura sa quanto sia forte la tensione alla rimozione, alla fuga nella dimenticanza per sopravvivere alle proprie e altrui paure, al senso di perdita di sé nel vuoto pneumatico non solo del corpo che detta che le sue proprie leggi, ma di un sistema che non riconosce nella vulnerabilità qualcosa di cui prendersi cura con tutto quello che questa parola significa: amore attenzione rispetto della persona qualunque sia la sua età e il suo stato. Ma il discorso potrebbe allargarsi al territorio, alle comunità viventi, a tutto quanto ha bisogno di cura e ormai è molto perché nulla e nessuno si cura da solo.

Vi è da chiedersi quindi, se non si conoscesse l’autrice, dove Giovanna Ferrara abbia trovato la forza per raccontare la sua vicenda, che intreccia, non a caso, con quello che lei definisce l’evento, riprendendo volutamente il termine da Annie Ernaux, per «l’epoca tetra, anno 2020». Epica la definizione, epico il lockdown per il Sars-covid 19 e le ripetute fasi di isolamento collettivo che ne sono seguite, pure se oggi è stato ormai ridotto a pura questione privata e personale per le persone fragili, lasciate a loro stesse proprio come narrato in questo libro, che bene mette in evidenza come un’epidemia collettiva sia stata rimossa da una collettività desiderosa solo di normalità. Come se la fragilità e la vulnerabilità non riguardassero tutti e non fossero da preservare collettivamente perché la loro gettatezza – così Giovanna definisce il corpo che si getta via – è la nostra, quella di tutti.

L’innocenza dei dinosauri (Fuorilinea, 2024) – destinati per questo all’estinzione e mai titolo fu più espressivo – sa infatti bene che l’emergenza, allora come oggi anche se la parola per questioni di governo non risuona più, ha cause profonde nel «pareggio di bilancio, i tagli strumentali, la riforma del lavoro». E che noi non siamo in realtà innocenti come i dinosauri, perché sappiamo bene da tempo che il capitalismo oggi così vincente chiede alle persone di «rinunciare alle cose più importanti: il diritto alla salute, all’istruzione, alla dignità di una vita che il ricatto della precarietà zittiva». Giovanna Ferrara sta raccontando il 2020 ma è storia precedente e ancor più contemporanea, perché non è che oggi vada molto meglio: l’allucinazione surrealista che il libro descrive è qualcosa che appartiene o può appartenere alla vita di chiunque, a partire da un qualsiasi pronto soccorso sovraffollato e affaticato da troppe richieste dovute alle lunghe liste d’attesa della sanità pubblica, dall’assenza di un servizio sanitario di prossimità e dalla mancanza di una assistenza domiciliare efficace ed efficiente. Quante e quante volte è accaduto, accade e accadrà? Ma la denuncia di Giovanna Ferrara, che a soli 40 anni si presenta al pronto soccorso di un noto ospedale romano perché solo lì può avere soccorso e non ve ne è altrimenti, delinea la discesa agli inferi dell’abbandono del corpo in mani che non ne hanno cura, perché non riescono ad averne più neanche per sé stesse.

Giovanna ha scritto «dall’angolo visuale di questo viaggio nei reparti tra emergenze e controlli, tra piani terapeutici, ottuse burocrazie, tecnicismi, diluizione dell’umanità nell’esasperazione»: nel corso di questo viaggio come di molti altri «il viso stesso della nostra società si mostra estraneo al tratteggio di lineamenti in cui i diritti essenziali trovano inveramento». L’innocenza dei dinosauri è così scrittura di molto appassionamento e insieme di generi diversi assai: pamphlet, narrazione, riflessione filosofica, denuncia, sguardo politico sul presente e le sue cause, ma soprattutto dono a chi legge di un percorso mai sopito di autocoscienza e di sorveglianza stretta dell’umano, sempre. Anche quando si vorrebbe solo girare lo sguardo altrove dal proprio corpo e da quelli altrui, anche quando si vorrebbe dimenticare «il mosaico di dolori e sintomi differenti», del «niente senza orizzonte» che si è vissuto abbandonati a sé stessi e alla propria malattia.

Altrimenti usciti da lì, si andrebbe a bruciare le macchine, peccato che non se ne abbiano le forze. Lontani i tribunali del malato nati dalle lotte degli anni Settanta che non si occupavano di risarcimenti ma di diritti, Medicina democratica un tempo bene comune condiviso tra medici, infermieri, operatori sanitari e pazienti (non utenti!) che tanto ha significato per la salute pubblica, dei cui lacerti sparsi ancora vi sono i frutti pure se dispersi e frammentari. Lontano il Manifesto di Ventotene, da Giovanna studiato per la sua tesi per il dottorato il cui conseguimento la Sapienza le ha riconosciuto, ancor più lontana la Commissione europea durante il Covid, prima e ancor prima con il diktat alla Grecia di Tsipras, e dopo.

Si può «morire per l’invisibilità che assegnano a 90 persone che stanno male o malissimo» in quello e altri pronto soccorso, in quello e altri ospedali, pubblici e convenzionati, non c’è differenza. Il pianto disperato della voce narrante di Giovanna con il poco respiro che le rimane diviene «pianto che spezzava quell’oceanica indifferenza. Pianto per me, per tutti, per la signora vicina col femore rotto che vedeva dei ragni sul soffitto, pena per quelle infermiere stravolte da una cattiveria confezionata come risposta ai turni massacranti, al fetido della manutenzione. E poi pianse la signora dei ragni e poi pianse quella accanto a lei, e pianse con le mani sul capo il vecchio che vedeva oltre e sembrava un quadro di van Gogh e poi pianse il ragazzo, e poi piansero i muri, gli intonaci, le porte, le cartelle da compilare. Pianse il mondo. E dopo un attimo qualcosa svegliò tutti».

Quella volta Giovanna ce l’ha fatta, poi non più. Il libro che oggi abbiamo tra le mani si deve alla cura amorevole del marito Donato Ferdori che scrive la postfazione che ne racconta il dopo, e dell’amica cara Graziella Durante – la filosofa antilope del libro –, ma soprattutto a lei che ha continuato a scrivere fino al giorno in cui è entrata per non uscirne più nella terapia intensiva di Padova, ma ha partecipato con gioia, feroce determinazione, e lucida allegria a quella che lei definisce «la danza dell’immedesimazione», dell’opera viva di cui scrive anche nel libro, alla quale le istituzioni non partecipano più da tempo, che si tratti di sanità pubblica, di scuola, università, lavoro.

È una questione politica, «perché la politica sta tutta in questa risposta: quanti hanno accesso alle cure adeguate, alle diagnosi precoci, alla sanità di eccellenza? La risposta è sconcertante», scrive Giovanna. Che fantastica perciò di portare al collo, qualora le accadesse qualcosa, una medaglietta con sopra incisa la scritta «in caso di emergenza portatemi al cinema». Ecco, mi piace pensare che Giovanna sia al cinema, pronta ad uscirne per ridere e soprattutto scrivere ancora di tutto quello che ha amato dopo aver scritto un libro così bello, arrabbiato, gentile e fermo, da leggere e far leggere per pensare insieme a come rivoluzionare dalle fondamenta tutto questo, senza essere arresi.

Lei non lo è stata, perché dovremmo arrenderci noi? Lo scrive lei stessa «la forza da attivare è quella che presiede la profondità delle vite di ciascuno, quell’impulso a esistere che ci fa alzare dopo esperienze orribili e dolori illacrimati» ed è l’essenza del politico. La sua vulnerabilità e la sua forza sono le nostre, da tenerci strette tra le dita e all’animo per continuare a pensare e a fare politica nel modo di Giovanna e delle tante donne e uomini che abitano questo libro, le molte persone amate, incontrate, interrogate, questionate per quella rivoluzione umana di cui scrive e che rendono lei e il suo libro unici.

***
«L’innocenza dei dinosauri» di Giovanna Ferrara (Fuorilinea, 2024) sarà presentato alla Libreria Feltrinelli di Salerno il prossimo 17 gennaio alle ore 18.00 e il 1 febbraio, sempre alle 18.00, nell’aula consiliare di Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni.

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