Su ironia e malinconia

A partire da Sylvia Plath

Giovanni-Anselmo-Entrare-nell’opera-1971
Giovanni Anselmo, Entrare nell'opera (1971).

L’ironia è la definizione positiva che il melanconico dà della propria solitudine
Susan Sontag,
Sotto il segno di Saturno

Claudio: Perché ancora così rannuvolato?
Amleto: No, mio signore: son fin troppo al sole
William Shakespeare, Amleto

 

Sylvia Plath e il doppio

Nell’opera di Sylvia Plath emerge un doppio della cupezza: un’amara ironia, o, più propriamente, una forma di sarcasmo. Per esempio, in una delle poesie scritte nel 1961 sul desiderio di morte, Plath introduce I am vertical con una beffarda affermazione: «I would rather be horizontal».

La più nota Lady Lazarus (1962) esordisce con «I have done it again/ One year every ten/ I manage it/ A sort of walking miracle». Continua poi come una nenia «The first time it happened I was ten./ It was an accident./ The second time I meant». Plath tentò il suicidio e poi, come noto, terminò la sua vita nel 1963, l’11 febbraio.

E ancora: «Dying/ is an art, like everything else./ I do it exceptionally well». Ho una vocazione («I guess you could say I’ve a call»). «A miracle! / That knocks me out / There is a charge/ For the eyeing of my scar there is a charge» e poi continua, insistendo sul voler «far pagare» la visione delle sue ferite e della sua storia, come se fosse una fiera in gabbia. «That knocks me out/», è questo che mi stende: non è sopravvivere, provare ancora, o guardare indietro e rimanere atterriti da quanto fatto a colpire, ma la reazione alla propria sopravvivenza da parte degli altri, «a miracle».

Nadia Fusini nota ricorrere nell’opera di Plath il tema del doppio, del doppelgänger a cui Plath dedicò la sua tesi di laurea. In Plath c’è il conflitto tra due personalità, un demone di morte e la poeta che cerca di fare un uso alternativo di quella spinta autodistruttiva. Al doppio è legato il tema dell’ironia, meccanismo fondato sulla multidimensionalità. L’ironia afferma ciò che nega e nega ciò che afferma. Scompone l’evidenza, ci gioca, la deforma per ridefinirla. Permette infatti di non aderire a se stessi o alle cose di cui si parla, o di farlo tenendola a distanza. L’ironia può restituire la complessità contraddittoria della realtà dando conto di opposte verità che, pur se divaricate e inconciliabili, coesistono. L’ironia crea distacco, da se stessi e dagli altri, anche per ciò che nasconde. In Plath il tentato suicidio, il desiderio di uccidersi è una ferita presente. Ma Plath la rievoca per affrontarla e trasformarla. Vuole morire ma vuole anche scherzare sulla expertise che ha sviluppato nel tentativo di farlo, nel frequente accarezzare la fine di sé e del proprio mondo.

L’ironia, tra le varie possibilità, le consente di rievocare qualcosa di passato, che si estende fino al suo presente per potergli porre fine. È la leggerezza di chi ha visto e continua a vedere il fondo, in un tentativo di controbilanciamento, di galleggiamento. È la levità di chi ha vissuto il peso di vivere. O la gravità di chi riesce comunque a non affondare, anche se con fatica. Come dare conto di questa ambivalenza? Forse attraverso una strategia di distanziamento e immersione che, in questo gioco di pesi contrapposti, le permette di tenere in precario equilibrio, sotto un relativo controllo, il doppio mortale che l’accompagna.

Ironia e distruzione

L’eroe malinconico per eccellenza, Amleto, vive di una doppiezza simile. Se prendesse sul serio la realtà, e cercasse vendetta, dovrebbe scegliere se uccidere se stesso o degli altri. Invece che agire, reagisce. Esita, e quale meccanismo migliore dell’indecisione è la battuta che scantona?

Anche per questo, per dare senso all’assenza di senso, Amleto risponde beffardo all’interlocutore. Letteralizza ciò che è metaforico. Metaforizza ciò che è letterale. Così da sollevarlo dal peso che imporrebbe prenderlo sul serio. Scherza su ciò che è inaccettabile per non accettare davvero. Distruggere è aprire diceva Benjamin. Ma anche deporre le armi, apre. Eroe malinconico è l’eroe moderno che, davanti al collasso delle certezze precedenti, scarta con un ghigno. Alla pallottola ancora più moderna che ci si potrebbe piantare in corpo, si preferisce l’aggressività sublimata della battuta. La battuta mette in mezzo l’altro e se stessi. Il bivio così, invece che vertere sulla scelta tra the bullet or the ballot, potrebbe diventare tra la pallottola e la battuta.

L’ arte e l’altro

Nella celebre descrizione di Melancholia I di Albrecht Dürer, Erwin Panofsky afferma che la donna corrucciata dell’incisione rappresenta una particolare malinconia, quella artistica, creativa. Chi crea vede ciò che c’è e ciò che manca, ciò che opprime e ciò che potrebbe forse liberare nella materia, come nella storia. Ma questo desiderio fa i conti con diversi limiti, propri e del mondo.

«Quella malattia chiamata uomo» (Nietzsche) è il titolo del primo capitolo di Norman O. Brown in La vita contro la morte sul rapporto tra psiche e storia. La storia porta dolore ma il materiale di cui è fatta, gli esseri umani, sono a loro volta segnati1. L’atto creativo, come lo studio, richiede anche una certa solitudine. Il rovescio della solitudine è anche il desiderio dell’altro. Come nota Giorgio Agamben in Stanze, la tradizione che associa «il temperamento malinconico alla poesia, alla filosofia e all’arte, attribuisce ad esso un’esasperata inclinazione all’eros».

L’altro non è sempre erotizzato. Vladimir Nabokov, nelle Lezioni sulla letteratura, scrive che l’intellettuale deve stare nella torre d’avorio ma che questa deve permettere di scendere di tanto in tanto per andare a mangiare o far salire un amico, all’occorrenza. Molti saturnini erano artisti e molti scrittori erano saturnini. Una delle strategie di sopravvivenza (temporanea) che è possibile contrapporre a quell’esperienza è l’ironia, come Plath mostra e nega. Per deflettere il proprio carattere distruttivo si può ricorrere all’ironia. Non a caso, Freud disse che ogni suicidio era un omicidio mancato.

L’impossibilità dell’ironia

William Styron, in Un’oscurità trasparente, fa un’asciutta cronaca, priva di alcuna enfasi, della propria esperienza depressiva, che descrive come un collasso delle proprie capacità. Nel testo non c’è traccia di ironia. Non è opera semplice raggiungere la capacità di distanziarsi da sé mentre si collassa e ci si confonde con gli oggetti intorno, perdendo ogni facoltà interpretativa – se non quella dilatata a dismisura contro se stessi –, per aderire alla mossa ironica. Se non nei momenti di tregua dalla disperazione, momenti che forse, talvolta, coincidono con l’atto creativo.

Note

Note
1La successione di sconfitte segna quella che Enzo Traverso ha chiamato malinconia di sinistra , l’equilibrio irraggiungibile tra la constatazione della distruzione alle spalle e la difficoltà di andare avanti con un progetto di liberazione, trasformando il titolo di un testo di Benjamin dell’inizio degli anni Trenta su alcuni intellettuali tedeschi che non apprezzava, a partire da un libro di poesie di Erich Kästner. Il testo omonimo di Traverso, non a caso, dedica diverse pagine a Le fond de l’air est rouge di Chris Marker, riflessione sulla sconfitta del ’68 globale, a cui non segue un abbandono del desiderio rivoluzionario.

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