Per fiori agli altari
Una performance di g. olmo stuppia
«Odori, luci e ombre, brezze e uragani mi si propagavano in onde calme ed agitate nelle vene, nei muscoli, nel petto; al punto che il rumore del mio sangue il brusio delle cellule, tutto quel mistero che c’era in me, la vita, mi sembrava quasi di toccarlo nel cigolio del muschio sotto i miei piedi».
Recita così una donna immersa in un bagno caldo mentre si dedica ad una lettura ad alta voce. Un gesto quotidiano sprofonda in una cavità quasi uterina, isolata dal di fuori, e in grado di trasportarci in un universo intimo. In questa camera profonda le piccole azioni della figura femminile contribuiscono alla creazione di un mondo carico di tensioni e contrasti visivi. Guanti asettici devono essere indossati da chiunque intraprenda l’accesso nello spazio, precedentemente una stalla, dell’Ex Lanificio Borbonico. All’interno della Galleria Dino Morra, grazie al supporto e la produzione di NEA, la porta, dalla quale il visitatore si appresta ad entrare, è il varco per la prima personale dell’artista g. olmo stuppia. Nome d’arte, tutto in minuscolo. Proveniente dalla Digital Cultures (www.progettokoleos.com), nel contesto napoletano opera un’inversione poetica, tenera e site specific. Dopo nove mesi di studio sul territorio e derive tra il cimitero monumentale di San Michele a Venezia e alle Fontanelle di Napoli nasce un omaggio alle due città.
Per fiori agli altari è una performance tenutasi il 30 novembre 2017 e un paesaggio la cui bellezza si ibrida in un’immagine di difficile digestione. La donna, infatti, legge ad alta voce le parole di un testo, mentre piano piano la sua figura svanisce in una nuvola di vapore. L’acqua fumante e il fuoco domestico, il berciare degli animali mentre l’oscurità della notte cala. Il gusto kitsch dei fiori di plastica, adagiati a terra come sulle tombe dei defunti, si fonde con la decorazione della vasca che vede incollato al fregio ligneo un crisantemo. Kitsch è qualcosa di simulato, copiato e snaturato in un’imitazione di cattivo gusto. Un preciso repertorio di immagini traccia quindi un’estetica di dubbia qualità patinata. Una dicotomia tra autoptico e organicità sale poi in primo piano grazie alla presenza di corpi e luce al neon. Il ribaltamento da un polo all’altro si amplifica quando l’autopsia ha inizio nel momento in cui gli spettatori, con occhi curiosi, aggirano la vasca.
Tutto aggredisce i sensi travolti dalla putrefazione e della combustione. La forza magica e bizzarra della performance riconduce ad un’immagine alchemica. Athanor è una fornace che può funzionare all’infinito: il suo fuoco eterno è un microcosmo che brucia. Metafora del complesso mentale, spirituale e fisico, esso arde e conduce alla digestione privando i metalli delle loro impurità. L’oscura e immensa fabbrica riunisce insieme energie di diversa provenienza. Da un lato stampe in tnt, adagiate su aste dorate, si propongono come asciugamani che rimarcano la costruzione dell’ambiente domestico, dall’altro tre elementi di scultura continuano a comporre la narrazione. Acidi, colla di pesce, plastiche e gessi si uniscono al carattere partenopeo dell’atmosfera.
Lo spazio scevro da ogni decorazione amplifica poi la sua potenza grazie a odori e rumori che esplodono in un atto così pieno e strabordante da essere barocco. Attorniato da molteplici entità lo spettatore non può fare altro che sentirsi impreziosito da un’elegia amara e stregata. La conca, teatro d’ozio e piacere, conserva l’eros di qualcosa che continua a essere sospeso. I passi del pubblico procedono nello spazio espositivo attorno ai performer, siano essi umani o animali. Annusano il sapore di una pelle sporca e pulita dal sapone. Magnetico, con flussi aperti che sgorgano ovunque, così potremmo definire il progetto dell’artista. L’opera trasuda la spiritualità del mondo e lo statuto dell’immagine rallenta, recupera il suo spazio. Tutto si svolge in un tempo districato in cui si conserva ancora un momento per respirarsi, ascoltarsi e sciacquarsi.
condividi