La scrittura del potere
Due mostre di Antonio Della Guardia
Recentemente il lavoro di un artista salernitano, classe 1990, ha riportato una certa attenzione su quelle dinamiche essenziali fra soggetto e lavoro, da cui dipende l’ordine stesso di una società. Nel percorso fra due mostre, una a Napoli e l’altra a Lecce, si è andato definendo un ritratto della società attuale in cui il controllo sociale si insinua fino nelle pieghe più intime dell’essere finendo per ingabbiare l’individuo in una griglia di riferimenti valutativi da cui dipende la soddisfazione di ogni sua possibile aspirazione.
Grafologia, simbologia, linguaggio sono gli elementi su cui si è basata La luce dell’inchiostro ottenebra, la prima delle due riflessioni in forma di progetto espositivo realizzate da Antonio Della Guardia. La scuola grafologica morettiana, ovvero la scuola italiana, evidenzia come sia possibile comprendere la personalità di un individuo, finanche nel suo aspetto somatico, sia dal punto di vista morfologico sia da quello espressivo, dal semplice gesto grafico della scrittura. Ma che utilizzo si fa di questi studi nell’epoca contemporanea? È probabilmente questa una della domande che si è posto l’artista nell’articolazione della ricerca presentata presso la galleria Tiziana Di Caro, a Napoli. La mostra, rigorosa e lucida, è un percorso che legge ed esamina il tempo che viviamo, le sue pressioni e i suoi movimenti, attraverso una costellazione di opere che accordano un discorso sulla filosofia del potere. Credendo nell’inscindibilità tra etica ed estetica, la ricerca dell’artista penetra nel cuore della politica e, quindi, nel tessuto sociale, offrendoci una lettura del peso e dell’applicazione che alcuni gesti e simboli hanno nello spazio del quotidiano.
Il primo dato che svolge l’artista nel suo percorso attraverso le sale della galleria è legato ai segni grafici appartenenti alle firme dei più influenti politici di questo secolo, 26 per l’esattezza, i quali compongono un alfabeto sinistro, inquietante. Questa scelta rende manifesta una cavità scavata nell’intimo di questi personaggi per conoscerne «natura e qualità», come afferma il primo trattato pubblicato nel 1622 sulle qualità dello scrittore, del letterato Camillo Baldi. Ma dal ‘600 a oggi le indagini volte allo sviluppo della ricerca grafologica sono andate avanti, e anche il loro utilizzo. I risultati di queste indagini sono consultati in larga parte da manager aziendali, e applicati nella selezione del personale. Da questo dato attuale procede la riflessione che nella seconda sala genera un’installazione composta da 285 fogli sui quali si consuma un’esercitazione durata un anno, nel quale due performer si sono allenati nel ricopiare la Divina Commedia per assimilare, attraverso di essa, una nuova calligrafia. Destrutturando e ricostituendo completamente il gesto scrivente e i caratteri di cui è portatore, l’artista ha indotto le due cavie ad assumere calligrafie nuove che potessero inquadrarle in schemi attitudinali favorevoli rispetto alle valutazioni in cui sarebbero incorse nel perseguire i loro obiettivi nel mondo del lavoro.
Dal linguaggio passiamo alla simbologia entrando nella terza stanza della galleria. Qui l’artista si allinea a un’estetica più tradizionale, mostrando i ritratti di quattro manager italiani intenti a esibire la loro personale penna stilografica. L’elemento di spicco è l’animale-simbolo (il lupo, l’aquila, il cavallo, la tigre) inciso sull’oggetto come riferimento caratteriale del proprietario. L’identificazione dell’individuo in un animale è una pratica antica, legata al bisogno di riconoscersi in un alter ego esente da ambiguità, un valore sacro, un punto di forza, un’ispirazione negli intenti.
L’ultimo passaggio della mostra, infine, gioca su una doppia prospettiva. È uno spazio della galleria normalmente chiuso, una piccola stanza con affaccio sul cortile interno del palazzo. Usualmente è lo studio della gallerista, che in questa occasione contiene soltanto una poltrona da ufficio, rivolta verso il balcone aperto. Osservando dalla sala antecedente sembra uno sbaglio quell’ufficio aperto, ma la nudità, che ancora una volta ricorre, e l’asciuttezza dello spazio, creano uno smottamento della percezione. Valicando la camera spoglia, ci si accorge della peculiarità della sedia: è stata modificata sostituendo i piedi con la struttura inferiore di un dondolo, creando un ibrido portatore di un’oscillazione macabra e minacciosa. È con questo vago picco di terrore che si conclude la mostra, cadenzata da un ritmo calzante e ben equilibrato, testimonianza di una formalizzazione matura e un’estetica del reale ben digerita all’interno di un linguaggio visivo immediato e leggibile. Una mostra dai toni sicuri che restituisce una immagine chiara del mondo contemporaneo, indicando lucidamente gli effetti della politica, sia essa aziendale o amministrativa, sulla società e sui singoli individui.
A Lecce, presso Studioconcreto – appartamento di un palazzo dell’Ina Casa in cui è stato attivato un progetto di congiunzione fra pratiche estetiche e vita quotidiana – Della Guardia torna sul rapporto fra corpo individuale e sociale. Nella mostra Index è l’estrema precarietà fra questi due termini a costituire il corto circuito fra tre opere che affrontano a diversi livelli la pressione che il contesto può esercitare sull’essere umano. Sono, in questo caso, lavori già noti, come la banconota da cinque euro su cui l’artista ha stampato figure che rompono la compostezza monumentale dell’immagine architettonica, inserendovi elementi che richiamano un possibile disagio, o l’immagine iconica di un incidente sul lavoro, riprodotta secondo una prospettiva classica, che allude un po’ a Michelangelo e un po’ al cinema di Elio Petri, o, ancora, riproposto come lavoro site-specific, il grafico della «sindrome generale di adattamento» di Hans Selye che viene riletto dall’artista ribaltando la curva sulla resistenza che la società civile si trova ad affrontare. Precarietà, sfruttamento, resistenza; sono queste le parole chiave di un percorso artistico che Della Guardia sta portando avanti attraverso un dialogo strettissimo con un sentimento collettivo proprio di questo tempo e che qui viene approfondito negli snodi funzionali, negli ingranaggi della grande macchineria del presente.
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