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La non-contemporaneità
Temporalità plurale in Louis Althusser
Nel 1988, durante una conferenza dedicata a ciò che gli organizzatori chiamarono «L’eredità di Althusser», Étienne Balibar presentò una relazione intitolata La non-contemporaneità di Althusser. La distanza temporale tra il momento in cui si tenne la conferenza e la pubblicazione degli atti è significativa, a maggior ragione se si tiene conto delle ambivalenze di cui Balibar parla nella prima parte della sua presentazione: qual è il significato del termine «eredità» in relazione a un filosofo come Althusser il quale, se anche non produceva più testi filosofici come in passato, né ricopriva una posizione nei circoli accademici e politici, non era comunque morto?1
Certo, Athusser sarebbe morto prima della pubblicazione degli atti di quella conferenza, un fatto che rende le esitazioni di Balibar ancora più palpabili, come se la non-contemporaneità che Balibar individuava nel cuore del lavoro di Althusser potesse diventare visibile solo nella discrepanza temporale della stessa Eredità di Althusser, nel fatto cioè che la conferenza sarebbe arrivata troppo presto, e il libro troppo tardi. Trent’anni dopo (a cento anni dalla nascita di Althusser), nel mezzo di un rinnovato interesse per il marxismo e il lavoro del filosofo francese, siamo in grado di comprendere la potenza piena di questa non-contemporaneità. Il mio tentativo qui consisterà dunque nel far emergere questa forza considerandola come un momento di rottura che si produce nell’incontro tra la non-contemporaneità e un concetto fortemente problematico nel marxismo: la «determinazione in ultima istanza» ad opera dell’economia.
Il luogo in cui il problema della «determinazione in ultima istanza a opera dell’economia» viene esposto con maggiore chiarezza ed enfasi è Contraddizione e surdeterminazione, dove, alle ultime pagine del saggio, Althusser scrive: «l’ora solitaria dell’ultima istanza non suona mai, né al primo momento né all’ultimo»2. È impossibile non osservare la temporalità qui in gioco, anche se essa esiste solo a un livello letterario o metaforico. Dobbiamo essere consapevoli di questo fatto poiché, come afferma sempre Althusser, le descrizioni metaforiche di una teoria spesso bloccano lo sviluppo di quest’ultima, cioè le impediscono di produrre il suo concetto, e quindi prevengono una conoscenza autentica di esso3. In un certo senso, sarei tentato di affermare che proprio questo è ciò che si è verificato nel nostro caso. Il problema che qui viene posto verrà esaminato in modi diversi e da prospettive teoriche differenti (come il materialismo aleatorio del cosiddetto «ultimo Althusser»), ma sembra che Althusser non ritorni più sulla figura dell’ultima istanza in questo modo; come se, dopo averla posta in termini così straordinari – e aver incontrato numerose critiche – egli fosse stato costretto a ritrattare (anche se non abbandonò mai completamente il problema).
Tuttavia, bisogna riconoscere che questo fu conseguenza della sua stessa formulazione: la struttura del modo in cui il problema viene posto nel testo – ovvero, il modo in cui è posto in forma di soluzione – legittima interpretazioni differenti. Questo non tanto per una debolezza teorica da parte di Althusser, ma, piuttosto, per via del tentativo di pensare l’impensabile, ciò che qui io chiamo «non-contemporaneità dell’ultima istanza». La questione non è semplicemente che l’ora solitaria dell’ultima istanza non arriverà mai ma, come ha notato Warren Montag, che questa frase è inscritta nella nozione marxista ortodossa secondo cui l’economia è in effetti determinante in ultima istanza4. L’eresia qui consisterebbe nel fatto che Althusser ha sospeso il suo discorso su questo punto, nel fatto che la soluzione di questo sillogismo, se ne esiste una, rimane sospesa. Tuttavia, se in questo momento troviamo nel testo di Althusser qualcosa di sintomatico, esso ha a che fare con l’incapacità di Althusser di rendersi conto dell’aporia esistente nel cuore del suo testo, più che con la soluzione che egli non volle o non poté offrire.
Molto spesso nelle note a piè di pagina Althusser fa riferimento all’ultima istanza e ai saggi contenuti in Per Marx, ma in un modo che elimina dalla scena questa antinomia. Nel suo contributo a Leggere il Capitale, per esempio, precisamente nelle pagine in cui Althusser discute le differenze tra la totalità spirituale di Leibniz e Hegel e la totalità strutturata propria del marxismo, il filosofo francese inserisce una nota che rimanda il lettore ai primi saggi di Per Marx. In modo analogo, nelle prime pagine di Ideologia e apparati ideologici di Stato (che, come sappiamo ora, era stato inizialmente pensato come un manuale politico per rivoluzionari), troviamo una nota che rimanda a Per Marx e Leggere il Capitale. La cosa problematica qui non è il fatto che queste note rimandino il lettore ad altri testi e altri tempi, ma che lo facciano senza indicare possibili discrepanze tra loro, come se i lavori si susseguissero in modo lineare, evolvendo organicamente in un intero o una totalità. Althusser sembra consapevole di questo pericolo, e dovremmo, credo, prenderlo in parola quando presenta i suoi scritti come «schizzi», «abbozzi», spesso «appunti per una ricerca». Leggere Althusser in questo modo ci permette di osservare gli spazi vuoti, le assenze nei suoi scritti e, cosa più importante, di notare la presenza di rimpiazzi al posto di queste assenze. Voltiamoci verso uno di questi rimpiazzi: la surdeterminazione.
C’è qualcosa di sorprendente, perfino inaspettato – quantomeno per noi oggi – nel modo in cui Althusser introduce questa nozione nei saggi che ne portano il nome: «non tengo in particolar modo a questo termine surdeterminazione (preso a prestito da altre discipline), ma lo adopero, in mancanza di meglio, contemporaneamente come indice e come problema; inoltre, esso permette abbastanza bene di vedere perché abbiamo qui a che fare con qualcosa di completamente diverso dalla contraddizione hegeliana»5. Ciò che sorprende, qui dovrebbe essere ovvio: ovvero, che un termine così inestricabilmente legato al nome di Althusser appaia per la prima volta nel suo lavoro «in mancanza di meglio». Va anche osservato che, lungi dall’introdurre questo termine come concetto – la cui produzione è uno dei compiti maggiori del lavoro teorico secondo Althusser – egli lo presenta come «indice» e «problema». Dunque, non è sbagliato affermare che questo termine occupa nel lavoro di Althusser il ruolo di un rimpiazzo: ciò nonostante, questo rimpiazzo prende piede, si intrama nel tessuto del testo, e compare più di trenta volte nel solo testo Contraddizione e surdeterminazione. Il rimpiazzo, in questo modo, viene naturalizzato, nascondendo nel processo l’assenza originaria, il luogo del vuoto teorico (cioè, l’assenza di un concetto) che la surdeterminazione doveva inizialmente marcare; e nel suo radicarsi, devia l’attenzione da sé, prevenendo il bisogno di produrre un’altra nozione migliore.
Ciò nonostante, è la stessa nozione di surdeterminazione – come rimpiazzo preso in prestito da altre discipline – che dà ad Althusser il credito teorico necessario per marcare una linea tra la nozione idealista della dialettica e quella materialista. Infatti, come afferma Vittorio Morfino, questo problema si presenta ancora più forte nel contributo di Althusser a Leggere il Capitale, ma da una prospettiva differente: quella della temporalità5. Qui Althusser si occupa del tempo storico. Il suo problema è che i marxisti non hanno colto in profondità la rivoluzione teorica di Marx nel campo del tempo storico: secondo Althusser, Marx non ha semplicemente «storicizzato» l’economia politica, ovvero non ha solo reso visibile la natura transitoria e storica (dunque, non universale ed eterna) dei loro concetti, ma – cosa più importante – la sua critica dell’economia politica ha reso manifesti i problemi derivanti da una concezione lineare del tempo come quella espressa negli stessi testi dei marxisti. Questo è ciò che Althusser chiamerà la causalità espressiva di tipo leibniziano o hegeliano: una struttura in cui una causa, che esiste a priori dai suoi effetti, si realizza in questi effetti, tanto che ogni effetto o elemento esprime la sua origine. Ne consegue la possibilità di una sezione d’essenza in cui ogni taglio verticale nella continuità storica del tempo rivela la relazione ordinata e organica, o spirituale tra ogni piano in questo presente particolare.
Qual è la concezione marxista del tempo che Althusser rivolge contro la concezione lineare e contemporanea? Qui entra in gioco un tipo di non-contemporaneità: la concezione marxista del tempo è definita come «incrocio» o «intreccio» di strati differenti di tempi, diversi ritmi e interruzioni, il cui concetto resta da costruire. Dunque, sono chiamate in causa la stessa «categoria ontologica del presente» e, con essa, la possibilità di afferrare una sezione d’essenza:
Di questa realtà specifica del tempo storico complesso dei livelli del tutto, si può fare paradossalmente esperienza tentando di applicare a questo tempo specifico e complesso, la prova della «sezione d’essenza», prova cruciale della struttura della contemporaneità. Una sezione storica di questo genere, anche se la si effettua sul taglio di una periodizzazione consacrata dai fenomeni di mutazione maggiore, nell’ordine economico o nell’ordine politico, non isola mai alcun «presente» che possieda la cosiddetta struttura della «contemporaneità», presenza corrispondente al tipo di unità espressiva o spirituale del tutto. La coesistenza che si constata nella «sezione d’essenza» non scopre alcuna essenza onnipresente, che sia il presente stesso di ciascuno dei «livelli»6.
Prosegue Althusser: «il presente di un livello è, per così dire, l’assenza di un altro e questa coesistenza di una presenza e di assenze non è che l’effetto della struttura del tutto nel suo decentramento articolato»7. Non si può ignorare l’intreccio di variazioni del termine «presente» in questo passaggio: variazioni che riguardano non solo la sua forma, ma anche il suo significato. Stiamo parlando del presente come avverbio o sostantivo? E se è un sostantivo, stiamo parlando del «presente» o della presenza, l’esserci spaziale e temporale di qualcosa? Il gioco interno a presente/presenza ci permette di cogliere la non-contemporaneità del presente a se stesso. Althusser pare da sempre consapevole di questo: pensiamo al modo in cui titola l’introduzione a Per Marx: «Oggi». Salvo avvisarci immediatamente del fatto che i saggi che compongono questo libro, e la congiuntura alla quale essi rispondono, appartengono già al passato. Ma dobbiamo fare attenzione, poiché se seguiamo alla lettera Althusser dobbiamo ammettere che qualsiasi nozione corrispondente a qualcosa come un tempo lineare, un tempo con un prima e un dopo – continuo o discontinuo – per quanto rassicurante possa essere rimane, se non semplicemente illusorio, un impedimento alla pratica e alla teoria rivoluzionaria. Presenza e assenza, tuttavia, non sono gli unici termini che Althusser utilizza qui. Concatenati a essi, vi sono visibilità e invisibilità:
Diciamo anche, per andare ancora più lontano, che non bisogna accontentarsi di riflettere in questo modo l’esistenza di tempi visibili e misurabili, ma bisogna, di necessità, porre la questione del modo d’esistenza di tempi invisibili, di ritmi e scansioni invisibili nascosti sotto le apparenze di ogni tempo visibile. La semplice lettura del Capitale ci mostra che Marx è stato profondamente sensibile a questa esigenza, facendoci vedere, per esempio, che il tempo della produzione economica, se è un tempo specifico (differente secondo i differenti modi di produzione) e, come tale, un tempo complesso non lineare, è un tempo di tempi, un tempo complesso che non si può leggere nella continuità del tempo della vita o degli orologi, ma che bisogna costruire a partire dalle strutture proprie della produzione. Il tempo della produzione economica capitalistica, che Marx analizza, deve essere costruito nel suo concetto8.
Una temporalità in cui presenza e assenza, visibilità e invisibilità si intrecciano e si interrompono una con l’altra: non ha forse Althusser introdotto nella sua discussione del tempo storico le nozioni tramite cui egli descrisse le dimensioni spaziali del campo teorico nell’introduzione di Leggere il Capitale? Comprendere questo significa capire che la temporalità che qui troviamo al lavoro è allo stesso tempo un’esistenza spaziale, in cui invisibilità e assenza non sono più definite come negative, ma piuttosto come la traccia, e dunque la pienezza di un’assenza, come il mistero di una presenza allo stesso tempo svelata e nascosta sul campo teorico:
ciò che l’economia politica classica non vede, non è ciò che essa non vede, è ciò che essa vede; non è ciò che le manca, è ciò che non le manca; non è ciò che essa si lascia sfuggire ma ciò che non si lascia sfuggire. La svista è allora non vedere ciò che si vede, la svista riguarda non più l’oggetto, ma la visione stessa. La svista è una svista che riguarda il vedere: il non vedere è allora interno al vedere, è una forma del vedere, dunque in un rapporto necessario con il vedere9.
Non troviamo forse queste sintesi disgiuntive al lavoro nella figura del rimpiazzo? Esso è il luogo sul campo teorico in cui l’assenza, non più definita come negativo o come una mancanza, si inscrive essa stessa nella presenza; in cui l’invisibilità, non più concepita come quella cosa che deve essere portata alla luce tramite un’operazione ermeneutica, si inscrive essa stessa nella visibilità. Il rimpiazzo non è semplicemente l’indicazione di un’assenza che aspetta di essere riempita, ma una condensazione materiale del presente stato di cose in cui avviene la lotta. Il rimpiazzo è il luogo dell’attacco, il punto in cui si verificano i cambiamenti decisivi.
Qui possiamo tornare all’inizio, cioè all’ora solitaria dell’ultima istanza: questa affermazione non significa che il momento della determinazione economica è rinviato all’infinito, rinchiuso della prigione dell’«a-venire», ma che l’ultima istanza è già qui, presente sì, ma presente nella sua non-contemporaneità, presente nella sua assenza, nel suo status di rimpiazzo, presente nella presenza. Far esplodere questa unità, che sia nei testi dell’economia politica o in quelli di Althusser stesso, significa mandare in frantumi gli ostacoli che hanno fatto si che sul piano teorico lo scontro tra forze volgesse a nostro sfavore. Non è questo il significato dell’essere marxisti in filosofia?
Note
↩1 | E. Balibar, The Non-Contemporaneity of Althusser, in The Althusserian Legacy, Verso 1993, p. 2. Ovviamente questo non ha impedito a qualcuno come Alex Callinicos dal pronunciarsi nella stessa conferenza su Che cosa è vivo e che cosa è morto nella filosofia di Louis Althusser. |
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↩2 | L. Althusser, Per Marx, Editori Riuniti p. 93. |
↩3 | L. Althusser, Ideologia e apparati ideologici di Stato |
↩4 | W. Montag, The Last Instance: Resnick and Wolff at the Point of Heresy, in T.A. Burczak, R.F. Garnett Jr, R. McIntyre (a cura di), Knowledge, Class and Economics: Marxism Without Guarantees, 2008, p. 174. |
↩5 | V. Morfino, On Non-Contemporaneity: Marx, Bloch, Althusser, in P.D. Thomas, V. Morfino (a cura di), The Government of Time: Theories of Plural Temporality in the Marxist Tradition, 2018, p. 139. |
↩6 | L. Althusser, Leggere il Capitale, Mimesis 2006, p. 190. |
↩7 | Ibidem. |
↩8 | Ivi, p. 188. |
↩9 | Ivi, p. 23. |
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