Alieni in bicicletta
Un atlante tattico sull'ufociclismo
Per affrontare un testo che si presenta consapevolmente come «libro impossibile», cominciamo anche noi con una domanda impossibile: cos’è una città? Com’è possibile oggi definire una struttura urbana nei suoi codici architettonici, sociali, comportamentali?
Dall’antichità classica e fino a Leon Battista Alberti e oltre, la città, per indicarne l’omogeneità nella complessità, veniva definita, un organon, un corpo, la struttura urbana viene accostata ad una struttura razionale, struttura da un lato quasi metafisica, dall’altro perfettamente funzionale alla sopravvivenza di una società e di una cultura. Dunque, funzionamento come preservazione di un sistema che però, seguendo categorie freudiane, include elementi inconsci, e seguendo categorie hegelo-marxiste, cela elementi economico-produttivi. Se questa seconda ipotesi risulta ancora oggi plausibile, la città contemporanea, in parte ancora legata alle ideazione di Le Courbusier e dello Stile Internazionale, in parte legata alle elaborazioni postmoderne, deve le categorie del suo funzionamento psicosociale alle logiche, ancora quasi inesplorate, del capitalismo postfordista. Dagli anni Cinquanta, una disciplina paradossale come la psicogeografia si sviluppa, con il preciso scopo, in parte giocoso, in parte scientifico, di smontare queste logiche di funzionamento, di identificandole per sottoporle ad una precisa decostruzione, ad un’incessante e possibilmente infinita opera di debunking.
Ma cos’è davvero la psicogeografia? A questa domanda tentano di rispondere, in tono anche qui a metà tra il serissimo e il giocoso Daniele Vazquez e Cobol Pongide nel loro Ufociclismo. Atlante tattico ad uso del ciclista sensibile (Nerosubianco, 2018). Perché vogliamo istituire una polarità tra i termini serio e giocoso? Perché qui siamo nel campo di quella che Mario Perniola definì «L’ultima avanguardia del XX secolo» e l’avanguardia ha stabilito un rapporto serratissimo tra la logica concettuale, spesso ferrea, e le divagazioni ludiche del gioco. Ma, come si sa, il gioco è sempre cosa serissima, perché attraverso di esso il bambino, e poi l’uomo, smontano il funzionamento del mondo sociale, imparano a conoscerlo ed adattarvisi, ma anche a creare nuove possibilità di funzionamento ed abitabilità della società stessa.
L’antropologo e curatore Giorgio de Finis, nella sua introduzione al volume, sottolinea infatti che l’altrove non è affatto un luogo irraggiungibile insieme alla felicità, ma un elemento che si ritrova ogni volta che si inventino nuove pratiche comportamentali per l’incontro con qualcosa di sconosciuto, di alieno. E allora torniamo alla domanda: cos’è la psicogeografia? Una scienza sociale marxianamente intesa che prende a prestito anche da altre discipline come la fenomenologia e perfino la topologia matematica? Una pseudoscienza, termine che qui non è affatto svalutativo perché basato su un rigoroso smontaggio delle regole sconosciute che legano il funzionamento della scienza, non neutro, alle logiche del capitalismo della società dello spettacolo? Una disciplina a parte, con un proprio statuto e una sua precisa tassonomia?
Seguendo il labirintico ma preciso percorso di Vazquez e Cobol Pongide, possiamo dire che la psicogeografia è innanzitutto, in via della sua somiglianza con l’arte, un insieme di pratiche non del tutto riconducibili a veri comportamenti rigorosi, nonostante il tentativo di precisazioni del testo. Ovviamente la somiglianza con l’arte è più apparente che reale, visto che compito del Situazionismo non è tanto creare opere, ma come nelle più radicali formulazioni dell’avanguardia, trasformare la vita stessa in pratica estetica. Tra queste pratiche la principale, come già detto dallo stesso Debord fin dagli anni Cinquanta, è la deriva. Se la metropoli capitalista si basa su un insieme di percorsi rigidamente deterministici, la logica dello psicogeografo somiglia, ma non coincide, per via di una maggiore precisione materialistica, a quella del flâneur. Il suo percorso può essere ripetitivo, ma non preordinato, basato sulla sorpresa sull’identificazione di elementi emozionali e affettivi nei luoghi attraversati, a volte sulla casualità dei percorsi, vuoi per mettere in campo il discorso dell’inconscio, vuoi per mettere a fuoco e identificare elementi perturbanti all’interno di questi percorsi non definiti, secondo quanto teorizzato da Chtcheglov e Debord. Ovviamente il fine ultimo è quello di ricostruire una superiore e plurale esperienza urbanistica e architettonica, plurale e soprattutto, come sottolineano Vazquez e Cobol Pongide, di natura soggettiva, singolare.
Perché si parla però di Ufociclismo?. Qui risiede l’aggiunta del libro alla teorizzazione debordiana. La bicicletta diventa il mezzo deputato per ottenere, in questa operazione di vagabondaggio, sia un rapporto affettivo con gli altri, sia un rapporto con la natura e soprattutto con quell’alterità assoluta che è l’alieno. Ecco perché il testo si autodefinisce «atlante». La cartografia è l’elemento cardine con cui si confronta la psicogeografia ciclistica di questo volume. Essa crea delle mappe solo mentali, alternative a quelle ufficiali, per ricondurre i percorsi dell’umano ad un rapporto plurale e singolo con la natura e il cielo di cui l’alieno, gli altri pianeti, costituiscono la metafora cardine.
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