Ci avete tolto tutto

Ok Boomer?

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Il nuovo documentario di Andrea Gropplero e Gianfranco Pannone «Ok Boomer» è stato presentato in anteprima al Torino Film Festival, e poi al Nuovo Sacher di Roma e alla Cineteca di Bologna, insieme a Franco Berardi Bifo e Stefano Bonaga.

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Non poteva che debuttare al Nuovo Sacher Ok Boomer, il documentario di Andrea Gropplero e Gianfranco Pannone, che innesta su un girato dell’89 a Berlino, riflessioni, speranze e implosioni, confronti con i nuovi soggetti della storia (qui interpretate dalle loro figlie) e con i vecchi mestieri lontani dalle logiche massacranti degli estrattivismi da piattaforme.

Dialogo dentro la storia, dialogo di immagini, repertorio e lockdown, masse accalcate su un muro che cadeva «mentre non venivano costruiti ponti» e passeggiate nel deserto dell’emergenza pandemica. Un nuovo Caro Diario, un altro Caro Diario di due protagonisti di quel desiderio collettivo che ha sempre spinto sul reale con una militanza politica ininterrotta, declinata in manifestazioni, assemblee, lungometraggi, cene, riunioni. Tutto il menu a disposizione di chi cerca di usare la vita per costruire un mondo. Però.

Però nella dolcezza e nella leggerezza, nella commozione di questa vicenda che ci riguarda un po’ tutti, sono anche tante le domande scomode, le posture involontarie che irritano. Una certa inclinazione all’esaltazione apocalittica, posta a metà strada tra la profezia e l’analisi geopolitica. Un reducismo che relega il possibile in una bolla chiusa. Sembra che la forma monologo qui sia solo un po’ più allargata, ma che resti tale. Come resta da indagare e da far esplodere quel combinato disposto di atteggiamenti che concorrono, bisogna che ce lo diciamo, a questo clima immobile, alla tristezza dei liceali di oggi. Perché da un lato tessiamo lagnanza e, dall’altro, arroganza (non pensiamo in fondo che loro non sono bravi come noi, non dicono mai rivoluzione, si occupano del clima senza occuparsi di classe, non sono comunisti, non creano le armi dell’insorgenza?). E così finiamo per essere ingombranti, per non saper vedere e nemmeno immaginare il nuovo che pure è disseminato nelle canzoni che sentono, quando dicono che si sentono pellaria, perché non hanno certezze e noi li giudichiamo riducendoli a un silenzio che è risposta al nostro egocentrismo.

Il documentario è preziosissimo, per quello che smuove che è la questione politica più importante. Trovare dal nostro repertorio qualcosa che possa essere usato come giavellotto verso il nuovo. Un nuovo che non ci ricomprende, forse, ma che può ambire a sognare e a creare realtà meglio di quanto abbiamo fatto noi. È stupendo il montaggio a firma di Marzia Mete e Fulvio Molena. Un artigianato dolcissimo che fa molto dell’atmosfera leggera e profonda al contempo, con degli innesti magnifici. Lo chef Guevara (Andrea Gropplero) che ci propone tre piatti a soli tre euro, consumandoli con Maurizio Acerbo che apre una bottiglia di vino imbottigliata nell’84. Se non è buona ne faranno brasato invece di berla. Ecco diciamo che questo è già un metodo interessante.

 

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