D’oro e di spine
La vita o la morte del cibo nell’opera di Vettor Pisani
Autore visionario e interprete originale dei retroscena più insidiosi della postmodernité, Vettor Pisani, fin dall’esordio nel mondo dell’arte, si rivela figura unica, totale e centrale nel panorama artistico italiano. Il suo operare è un alchemico catalizzatore di forze universali che attraversa e invade, sconvolgendoli, tutti gli ambiti dell’arte e della vita. Posizionandosi all’interno del cosmo creativo dell’artista e rivendicando lo status di frammento della sua grande opera d’arte totale – R. C. Theatrum1 – la mostra Vettor Pisani. Il cibo interpretato, curata da Mimma Pisani con il supporto dell’archivio Vettor Pisani, accende un riflettore sulle «valenze metaforiche» assunte dal cibo nella produzione dell’artista. Per l’occasione e fino al 2 aprile il Museo Carlo Bilotti diviene il boccascena di un percorso articolato in diversi spazi, dove si avvicendano oltre quaranta installazioni, sculture, stampe digitali, collage, video e disegni.
Il sentiero delle sculture costituisce un primo nucleo di otto opere che, poggiate su piedistalli disposti in parallelo, dialogano tra loro richiamandosi vicendevolmente in un labirintico sistema di rifrazioni, opposizioni e accostamenti dissonanti, dove il cibo, sottratto al contesto quotidiano, diviene viatico felice di una galassia popolata da conoscenze, memorie, saperi storici e filosofici di epoche diverse che, concretizzandosi nell’opera – in ogni singola opera – riflettono la frammentarietà del mondo postmoderno, all’indomani della fine delle «grandi narrazioni»2. Il voto di sfiducia al nuovo inteso come superamento e distruzione del vecchio, si traduce nel saccheggio felice e trasversale che caratterizza il suo modus operandi, rendendo Vettor Pisani un tragicomico «pensatore debole»3, in grado di riconoscere l’instabilità e la pluralità. In particolare è nei collage e nelle stampe digitali che l’artista riproduce la frantumazione contemporanea dell’Io. Non sfugge infatti ad un’attenta analisi che l’apparente disordine formale è in realtà parte di una magistrale impresa citazionista – e auto-citazionista – rendendo l’opera d’arte un elaborato pastiche linguistico e visivo alla deriva: nei suoi teatri immaginari, come la Santa Teresa del Frigorifero o L’ala di Mercurio nel carrello, non esistono infatti centri o certezze che non possano essere intimamente contraddetti, talvolta nei modi più ironici e dissacranti. Eppure il suo procedere errante è pervaso da un’ansia di conoscenza, di verità – o meglio, della verità – dai tratti oscuri e profondi, accessibile solo attraverso un immaginario composto da riti iniziatici, formule alchemiche, simboli esoterici e rosacrociani4.
Le opere Madonna Anoressia Bulimia, Edipo e la sfinge, o l’installazione Siberia Sinfony, sono esempi che mostrano come l’intero universo alimentare diventa bersaglio del vagabondare enigmatico dell’artista, dove il corpo umano, la figura femminile, l’erotismo, i disturbi alimentari, la violenza, l’orrore, il cannibalismo e la morte, in un continuo rinvio ad altro da sé, si trasformano negli indecifrabili protagonisti di una teatralità totalizzante e assoluta volta a «mostrare l’indicibile». E nello stesso gioco crudelmente ironico di capovolgimenti e di riflessi, rientra anche la performance Orazione che, con testo e regia di Mimma Pisani, il 9 febbraio ha inaugurato la mostra, la cui essenza più profonda sembra giacere nel sacrale cammino di liberazione dalla fisicità corporea come arma per sconfiggere, in ultima istanza, persino la morte.
Note
↩1 | L’opera R. C. Theatrum viene presentata per la prima volta dall’artista alla Biennale di Venezia del 1976 e poi riproposta negli anni successivi in diverse versioni, tra cui Il Teatro di Edipo, Il Teatro della Vergine, L’Isola Azzurra, Il Teatro della Sfinge, Il Teatro di Artisti e Animali, Il Teatro di Cristallo, Virginia con i pesci rossi [N.d.A]. |
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↩2 | J.F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere (1981), Feltrinelli 2017, p.32, 69. |
↩3 | Per ulteriori approfondimenti sulla questione legata alla teoria del «pensiero debole» si veda almeno: Rovatti e Vattimo, Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 1983. |
↩4 | Le prime storie sul leggendario ordine dei Rosa Croce fanno riferimento alle res gestae di Christian Rosenkreuz e iniziano a circolare in Germania nel XVII secolo, quando compaiono anche i primi riferimenti alla misteriosa Società dei Rosa Croce. I rosacrociani si identificano nei simboli della rosa e della croce e basano le proprie credenze su una commistione tra religione cristiana, misteri egiziani, pratiche alchemiche, occultismo, misticismo ed ermetismo. Circondato dal mistero, il movimento gode di largo sviluppo nei secoli e dal XVIII secolo la sua storia si intreccia con l’origine della massoneria. Per Vettor Pisani la simbologia rosacroce indica, a livello concettuale, un’ideale fusione di molteplici interessi e forme culturali, in linea con il progetto di arte totale che ingloba tutti i saperi [N.d.A]. |
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