Evocazioni di sera

Una mostra di Gregorio Botta alla Fondazione Tito Balestra

pesepe botta luci
Gregorio Botta, Epifanie - Fondazione Tito Balestra, Longiano 2019.

A Longiano, negli spazi della Fondazione Tito Balestra, e precisamente nell’ex Chiesa Madonna di Loreto (spazio dedicato alle esposizioni temporanee del Castello Malatestiano), si è svolta una importante mostra di Gregorio Botta – a cura di Peppino Appella e in collaborazione con il Museo Internazionale del Presepio Vanni Scheiwiller di Castronuovo Sant’Andrea – che offre al pubblico un’atmosfera unica, determinata dal sapiente utilizzo di materie modellate e modulate con il sapere di rendere visibile l’invisibile, con il sapore caldo dell’evocazione, con il potere di sublimare il tempo e lo spazio. Tra queste materie il vetro invita a riflettere sulla trasparenza e a percepire quasi il segreto di accennare all’aria intesa come opera e all’opera elaborata come qualcosa di aperto che si completa nella sua estroflessione verso l’esterno, nella sua dematerializzazione, nella sua vaporizzazione, della sua inclinazione alla formula wagneriana di Gesamstkunstwerk.

C’è poi la cera, ingrediente indispensabile e accogliente, «materia così femminile, docile, veritiera, pronta ad accogliere ogni gesto, ogni segno che sia compiuto dal tempo, dal fuoco, dal caso, qualche volta persino dall’artista stesso; è un campo di energia atto a ricevere impronte, messaggi, e soprattutto è duttile, morbida, mi risponde», ha avvertito Botta in occasione di una personale organizzata a Napoli, negli spazi dello Studio Trisorio. Nel catalogo di questa piccola storia dei materiali offerta da Gregorio Botta seguono poi, e non sono mai in secondo piano, il ferro, il piombo, l’acqua che indica il movimento (ma anche la eventuale metamorfosi dallo stato liquido a quello gassoso o solido della materia) e la luce che trasforma ogni cosa e sposta continuamente l’ago della bilancia dai recinti dello sguardo agli sterminati orizzonti della visione dove tutto può farsi eterno e dolce, per dirla con Rilke. Siamo insomma nell’ambito di una mostra – il titolo è EPIFANIE. Il presepe installazione e altre opere di Gregorio Botta – dove ogni singolo elemento è rimando costante a qualcosa d’altro, è simbolo di un procedimento riflessivo, è allegoria di un pensiero che smonta i territori della scultura (della plastica, del modellato) per rendere tutto più nebuloso, soft, spettrale.

Corrono, lungo le pareti di questo lucido racconto, una serie di lastre (montate a volte su sottili piedistalli che sembrano paraste nate per sorreggere una invisibile architettura), di procedure linguistiche che volgono al di là della pittura, oltre una tela che è troppo stretta e che non permette di entrare nel campo più ampio dell’esperienza del muro, della pagina bianca e muta, del silenzio percepito in quanto flusso. Su ognuno di questi riquadri trasparenti (di questi ritagli di vento, di questi riquadri d’aria, di questi angoli di spazio) troviamo un ulteriore storia di materie: carte colorate, stoffe o affumicazioni estetiche che sono attese di luce, parvenze, lingue o bave di fuoco in cui tutto può apparire, prendere o perdere la voce, farsi volto o sguardo, mano sinuosa o orizzonte, corpo vibrante in una mente continuamente sollecitata, solleticata, spinta nell’infinito intrattenimento dell’apparizione.

Al centro dell’esposizione, come un pensiero dominante, si avvita il Presepe-installazione realizzato nell’arco del 2014 in cui Botta – non dimentichiamo che l’artista, anche se di stanza a Roma, è nato a Napoli nel 1953 e conosce eccellentemente l’orizzonte presepiale partenopeo – si sottrae alla linearità della tradizione per tradurre il triunvirato familiare in una serie di concetti legati alla luce etimologica della famiglia, al colore della natura, al calore del prendersi cura. Anche la «descrizione scenografica della capanna-mangiatoia» è trattata «in modo originale», puntualizza Appella: richiama alla memoria un nome della storia dell’arte italiana, Piero della Francesca, e con lui quel mantello della Madonna della Misericordia (1445–1462), quello della Madonna del Parto (1450-1455), infine la tenda nel Sogno di Costantino (1458-1466). Sotto la pelle leggera di questa tenda progettata da Gregorio Botta, dove lo spettatore è invitato a partecipare in prima persona al miracolo della nascita, un alone evocativo sospende il tempo e rende tutto metafisico, sovrageografico, sovrastorico.

Quando si è nuovamente fuori, l’impressione che se ne riporta è sensibilmente accecante: e lascia un piacevole gusto di calore negli occhi, un colore sgualcito dal ricordo. Di questa installazione, concentrati in una saletta, sono presenti anche tutti i disegni preparatori, interessanti per comprendere – o provare a comprendere – il processo che ha portato alla realizzazione dell’opera, i ripensamenti dell’artista, il suo lavorare su forme primarie, su figure oltre le quali c’è l’abisso del pensiero che pensa l’ultimo pensiero.

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