Felicitazioni!
CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024: Un atto d'amore
È un atto d’amore, un amore controverso, ironico e pungente, ma pur sempre amore. Questo è il pensiero rapidissimo che mi attraversa non appena vedo l’affiche rouge di Felicitazioni, appesa alla porta di Palazzo Masdoni a Reggio Emilia. È il 13 giugno 2023, un martedì qualunque, a metà mattina il sole è già caldo, sto passeggiando con il naso all’insù percorrendo una via del centro città, solitamente immobile e noiosa. Mi avvicino incuriosito, sorridendo: Cosa succede? Vuoi vedere che…
L’improvvisa combinazione psicogeografica emiliana, anzi esclusivamente reggiana, o ancora di più, comunista e reggiana insieme, intrecciata, mi colpisce causando una vertigine non indifferente, che contagia in modo irresistibile la mia curiosità. Da lontano, la silhouette inconfondibile dei Vopos grigi in marcia, ordinati nel loro rigore di arte totalitaria, getta un ponte visivo immediato alla copertina di Ortodossia, il celebre debutto su vinile 45 giri di CCCP, anno domini orwelliano 1984. Felicitazioni fa parte del testo dell’inno punk Spara Jurij Spara, brano assai controverso presente in quella Ortodossia. D’altronde sono innanzi a Palazzo Masdoni, reggia imperiale e urbana del Partito Comunista Reggiano, da sempre serrato, o almeno dal 1991, per ristrutturazione perenne da quando è stato venduto a privati, subito dopo il crollo del cosiddetto Socialismo Reale e la svolta occhettiana del biennio 1990-91.
Il derma di Reggio Emilia e CCCP: psicogeografie esplosive o implosive?
Palazzo Masdoni è stato la sede rocambolesca della Federazione provinciale del PCI reggiano dal 1954 al 1991, dunque il centro di potere del popolo comunista di questa città. Se mai si può parlare di popolo comunista, di una comunità sia popolare che intellettuale, o di una comunità politica e di popolo, trasversale ai ceti, intergenerazionale, ebbene questo miracolo si è realizzato per davvero, soprattutto a Reggio Emilia dal 1945 fino al collasso storico del 1991. In termini concreti, Palazzo Masdoni è di gran lunga il palazzo di Reggio Emilia più grande, occupa un intero isolato, il volume è di oltre 5.000 mq con più di 100 stanze, due cortili interni, giardini, bassi servizi, alberi, piante, vetri e stucchi in gran quantità, quanto di meglio potesse offrire una residenza patrizia barocca del Settecento appartenente a una famiglia, i Masdoni, proprietari fino alle Repubbliche giacobine del 1796, e successivamente dei Toschi, e dall’Ottocento dei Rocca Saporiti. È in questo palazzo che sono passate decine di funzionari politici, deputati e senatori, leader locali e nazionali, a volte internazionali. Di qui sono passati Togliatti, Longo, Berlinguer, Natta. Nilde Iotti, qui di casa, da sempre, la taciturna Nilde da Cavriago, comune alle porte di Reggio Emilia, amante e poi compagna di Togliatti dal primo dopoguerra fino alla morte. Tutto questo affollamento di dati, sensazioni, ricordi, si affastellano in un lampo mentre sovrappongo, sempre nella precipitazione emozionale del collasso, punk e PCI, Togliatti e Zamboni, i Vopos e il servizio alle Feste dell’Unità, Nilde Iotti e Giovanni Ferretti, Lindo e Palmiro, Fatur e Benassi, già sindaco e poi senatore eletto a Reggio Emilia, grande fan dei CCCP, la sezione PCI di mio padre, in via Marsala e il primo concerto dei CCCP a cui partecipai, al Seltz nel 1983, e alla fine mi strappa un sorriso pensare a un gemellaggio d’antan, con sberleffo, tra Johnny Rotten e Stalin. Psicogeografie esplosive o implosive?
Comunismo come movimento fantomale, dalla parte del derma, contro la cenere.
Davanti all’affiche rouge di Felicitazioni, rimugino e sorrido: Ha proprio ragione Marx, il comunismo è pur sempre un movimento fantomale nella sua essenza, un crocchio di fantasmi che si aggirano per le strade d’Europa, ieri come oggi. Fantasma della Reggia Rossa, doppio fantasma della Reggio rossa, triplo fantasma del Punk Rosso. Tutto crollato tra l’89 e il ‘91. Perfino i CCCP hanno gettato la spugna nel 1990. Tutto morto, tutto sepolto, o cova ancora la cenere? La cenere è giusta, come sostiene Derrida, perché non lascia traccia alcuna. Sono passati 33 anni dal funerale dei CCCP, 32 anni dalla chiusura del Palazzo Rosso, quasi 32 alla capitolazione burocratica dell’URSS. I sintomi di questa decadenza erano sparsi dappertutto. Restiamo imprigionati ancora in una mitologia deteriorata? I segni non appartengono più ad una logica razionale di ciò che è stato, ma rimandano al derma. Derma di Reggio Emilia. Derma del comunismo. Derma del comunista reggiano. CCCP contro la cenere, tengo traccia. Risalgo di traccia in traccia, ad un itinerario di senso, personale e collettivo. Meglio ancora, l’affiche provoca processi di identificazione che innescano fenomeni di interiorizzazione che contestualmente diventano pratiche di decostruzione dell’Io. Il fantasma prende corpo, acquista una sua corporeità e fisionomia. Cerca un suo tempo, lungo, di ristoro, al riparo dal binomio asfittico di realtà e finzione. Viro ben presto nel negativo. Siamo così sicuri che questo fantasma incarnato ancora ci diverta, ci incanti? E se fosse come il Barone Sabato del vudù, un non vivo che imbarazza, che tifa pericolo? Oppure si tratta solo di un’apparenza nociva, un simulacro che nasconde la realtà soggiacente, o ancora peggio un simulacro che non occulta più, ma rende parvenza qualsiasi realtà soggiacente. Non riesco a mettere a fuoco. Ancora: ma che succede?
Affinità e divergenze
Il poster evidenzia il titolo Felicitazioni, CCCP 1984-2024, quarant’anni di punk filosovietico e musica melodica emiliana. Si tratta di una mostra, organizzata dalla Fondazione Palazzo Magnani. Ma palazzo Masdoni? Come entra in questa psicogeografia fantasmata? Mi accorgo che non sono più solo davanti all’affiche, silenziosamente si sono radunate alcune persone alle mie spalle. Aspettano. Decido di aspettare anch’io, non so cosa. Arriva una ragazza, piglio e passo deciso. Mi attraversa come fossi trasparente e batte alla porta con vigore. L’effetto straniante si ripete: la porta si apre e una ragazza scandisce: «La conferenza stampa di Felicitazioni inizia tra dieci minuti. Aspettate qui fuori, apriremo la porta al momento opportuno per salire a Palazzo». Che faccio? Rimango, è ovvio, anch’io sono contro la Cenere, a favore del Derma. Il crocchio diventa piccola folla. Ormai è chiaro che alle spalle ho un nugolo di giornalisti e comunicatori. Non appena la porta del Palazzo si apre, il portoghese che è in me ha il sopravvento, e dichiaro l’appartenenza a una fantomatica associazione, peraltro esistente, e spiego la mia partecipazione alla conferenza stampa come improvvisa, per questo non sono nella lista. Mi credono, lascio con malcelata soddisfazione le mie generalità, e salgo gli ampi scaloni perfettamente ristrutturati, ma non ancora offerti alla vista pubblica. Spettacolo inatteso della cultura architettonica barocca. La conferenza è locata nella meravigliosa Sala della Musica del Palazzo, particolare raffinato di tutta l’operazione, ma il godimento puro arriva con la presenza inaspettata del tavolo ottagonale in legno pregiato, vero simbolo del potere, che troneggia alla fine della sala.
Su quel tavolo si è decisa a più riprese la storia di Reggio Emilia; era utilizzato solo nelle riunione ristrette del Comitato Federale del PCI reggiano e la storia oggettiva del tavolo ottagonale può rivaleggiare con la stessa storia di Palazzo Masdoni, tanto è avvolta nel mito politico del comunismo reggiano. La leggenda vuole che Togliatti stesso, al tavolo ottagonale, nel lontano settembre 1946 tenne la riunione segreta, a porte chiuse, con il Federale provinciale del PCI, il giorno successivo al celebre discorso passato alla storia come «Ceto medio ed Emilia Rossa». Il PCI di allora, in netta ascesa tra le masse contadine e operaie, tra i partigiani e gli intellettuali, era già un centro di mediazione politica senza precedenti. Ma l’operazione di strategia nazionale riguardante l’alleanza tra classi operaie e contadine e i ceti produttivi del paese, suonò per molti come una istituzionalizzazione del Partito che non teneva in giusto conto la realtà del territorio. Realtà dura, sanguinosa, nella quale lo scontro era stato così cruento da generare rancori profondi e pre-politici, difficili da domare con la semplice strategia politica nazionale. Una parte del PCI reggiano, soprattutto l’ala militare, partigiana, filo-soviet, ancorata saldamente al territorio e a una rete segreta di alleanze granitiche tra iscritti forgiata dalla guerra di Liberazione, non gradì quel discorso modernista. Se il consenso neo-togliattiano, di puro conformismo, del gruppo dirigente PCI era cosa scontata, le migliaia di cellule comuniste operanti sul territorio rimasero profondamente anti-togliattiane per anni, ancora sul finire degli anni Cinquanta. È da qui che bisogna risalire a quelle affinità e divergenze con il compagno Togliatti, album targato 1986, che tanto fece discutere i più in merito all’effettivo senso del titolo così articolato. Il contro-modernismo dei CCCP anni Ottanta è già tutto lì, intorno alla figura controversa del comunismo istituzionalizzato di Togliatti, e intorno alla Realpolitik, oggi si direbbe intorno al Realismo Capitalista, che tutto mastica, ingoia e rende innocuo, compreso il rapporto sociale e produttivo. La contraddizione era già tutta lì, nel partito di lotta e di governo, nell’organizzazione politica di rivoluzioni e repressioni.
Emilia di notti ricordo senza che torni la felicità
Cosa rimane del Comunismo reggiano se non un Simulacro innocuo intorno al quale non rimane che cenere? Non è scioccante, dunque, che oggi intorno a quel tavolo, costruito da maestranze operaie per il Partito fascista negli anni Trenta (poi catturato come trofeo nel dopoguerra), siano seduti non solo i rappresentanti delle istituzioni locali e delle fondazioni, ma pure i CCCP Fatur, Annarella, Giovanni Lindo e Massimo, cioè i rappresentanti delle arti locali. Nel tempo che fu, le arti erano ancillari alla Rivoluzione incombente. Oggi l’Arte si può permettere di tendere la mano al vuoto di Potere. Passaggio di poteri? Si tratta di una svolta storica, della quale ancora non siamo consapevoli. La nemesi dell’arte contro i fantasmi del potere. Non sarà ancora cenere, ma il tavolo ottagonale oggi è tirato a lucido, prestato all’occasione dalla ditta locale che l’ha comprato nel 1991. Tempi di liquidazione, mi vien da pensare, l’età del Simulacro Rosso si è concretizzata in un volger d’anni. Per fortuna i CCCP non sono immateriali, hanno un corpo, magari appesantito dagli anni, ma almeno loro non hanno tramutato la rivoluzione nell’esistenza celeste delle merci, il denaro.
Traccia dopo traccia, strato di derma su strato di derma, contro la cenere, forse un itinerario di senso si può ancora costruire: un’appartenenza, una venerazione, un’emozione sempre più indefinibile, foss’anche una memory-card. Giocano con i simulacri da sempre, i CCCP, sono contro il Giorno, dalla loro nascita. Anti-moderni si nasce. Iper-moderni si diventa. Forse è qui la chiave delle loro contraddizioni, tra iper-fenomenologia del Collasso e archivio dinamico dello Spirito.
condividi