La voce del padrone

Dalle meccaniche divine a Young Battiato

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Franco Battiato, Dervisci (1996).

Un anno dopo la sua morte fisica, Franco Battiato è ancora, e per sempre, qui tra noi. E per una settimana sarà anche sul grande schermo dei cinema italiani. Dal 28 novembre al 4 dicembre esce infatti Franco Battiato – La voce del padrone, un film documentario per la regia di Marco Spagnoli (produzione RS productions e Altre Storie con ITsART, la piattaforma streaming per l’arte e la cultura italiana, promossa nel 2021 dal Ministero della Cultura con Cassa Depositi e Prestiti e Chili Spa e la cui esistenza è assai travagliata, sin dal suo primo anno).

Meccaniche divine

L’occasione è data dalla volontà di Stefano Senardi, produttore musicale, amico di Battiato, di festeggiare il quarantennale dell’undicesimo disco del Nostro, La voce del padrone (EMI, 1981), riunendo la band di quel meraviglioso capolavoro – con un Alberto Radius in grande forma – e intraprendendo un viaggio che lo porta da Milano alla casa siciliana di Milo, dove il grande artista è morto il 18 maggio dello scorso anno. Il film documentario sembra così essere una sorta di viaggio personale che Senardi intraprende incontrando ed evocando tutta una serie di personaggi e artisti che hanno incrociato Franco Battiato: da Vincenzo Mollica al Nanni Moretti che ricorda la mitica tribuna politica di Palombella Rossa, al canto di questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine, da Willem Dafoe al Morgan che suona il Nostro in presa diretta. E in mezzo alcuni passaggi formidabili, dagli sketch in bianco e nero anni Sessanta tra Battiato e il suo caro amico Giorgio Gaber, al compianto Giorgio Masotti che ricorda il lavoro sulla foto di copertina de La voce del padrone, con Battiato sospeso tra volta celeste e palmizi del deserto. Quindi una versione dal vivo all’Arena di Verona (1982) di Cuccurucucù perfettamente restituita, con una batteria dall’incedere in contro-tempo accelerato da sembrare quasi proto-jungle: uno spettacolo!

Un Bowie ottimista

Poi, a un certo punto, un’illuminazione rischiara il tutto: non ci eravamo accorti di avere «un Bowie ottimista», ecco la grandezza, quasi senza paragoni, del Battiato sperimentatore e pop, mediterraneo e metropolitano, levantino ed elettronico, sinfonico e new-waver. Di una continua innovazione durata oltre mezzo secolo, che avemmo la fortuna di incontrare personalmente nell’intera giornata del 26 luglio 1991, a Fermo, dove ci fece assistere alle prove del suo monumentale concerto serale in piazza del Popolo, tra lieder e L’ombra della luce. Certo in questo documentario non vengono quasi neanche evocate due persone come Giusto Pio e Manlio Sgalambro che a noi esaltati esegeti del Maestro sembrano figure determinanti di due fasi storiche ed emblematiche della carriera del Nostro, anche e soprattutto nel dialogo intergenerazionale che plasticamente mostrava. Come dimenticare il violino di Giusto Pio che con l’Era del cinghiale stravolse musica pop e colta, anche nella dimensione nazional-popolare di Domenica In, in un uggioso pomeriggio invernale della nostra infanzia 1980?

Stranizza d’amuri

Eppure il film documentario merita già solo per l’introduzione e il post-finale. Perché inizia con una mirabile intervista al produttore musicale Pino Pinaxa Pischetola che ci conduce nell’ascolto delle diverse sovraincisioni di Centro di gravità permanente, dalla voce di Battiato ai cori dei Madrigalisti milanesi, agli archi dell’orchestra: formidabile. Eppoi mi raccomando, non vi alzate prima della reale fine del film documentario, perché vi accompagnerà, tra le vostre lacrime, una versione struggente di Stranizza d’amuri cantata, sussurrata, intonata da Carmen Consoli in una sorta di trance musicale da pelle d’oca.

Young Battiato

Così Battiato rimane sempre di più tra noi. E come duratura testimonianza di questa indimenticabile nostra storia musicale collettiva, ecco il legame intergenerazionale tra artisti che tuttora attraversa sonorità musicali che anche i più accorti analisti sociali riducono spesso a banalizzazioni sociologiche. Per questo voglio ricordare un protagonista dell’attuale scena musicale italiana, sospeso tra trap e nuovo cantautorato, quel Tutti Fenomeni, che qualcuno definisce da tempo Young Battiato, e che quel 18 maggio 2021 con questo post volle omaggiare Franco Battiato:

E a conclusione dell’ultimo, potente, disco di Tutti Fenomeni (Privilegio raro, 42 records, 2022) c’è Porco (Outro) con la citazione Ma l’animale che mi porto dentro/non mi fa vivere felice mai neanche un momento (da L’animale di Battiato, in Mondi lontanissimi, 1985), per aprirsi alla lettura di Sulla strada esco solo di Michail Lermontov che era il verso citato nel post per per ricordare Battiato le cui parole continuano ad accompagnarci

Sulla strada esco solo.
Nella nebbia è chiaro il cammino sassoso.
Calma è la notte.
Il deserto volge l’orecchio a Dio
E le stelle parlano tra loro.
Meraviglioso e solenne il cielo!
Dorme la terra in un azzurro nembo.

Cosa dunque mi turba e mi fa male?
Che cosa aspetto, che cosa rimpiango?
Nulla più aspetto dalla vita
E nulla rimpiango del passato,
cerco solo libertà e pace!
Vorrei abbandonarmi, addormentarmi!
Ma non nel freddo sonno della tomba.

Addormentarmi, con il cuore
Placato e il respiro sollevato.
E poi notte e dì sentire
La dolce voce dell’amore
Cantare carezzevole al mio orecchio
E sopra di me vedere sempre verde
Una bruna quercia piegarsi e stormire.

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