L’originario e l’originale
Un libro di Mimma Pisani
Questo nuovo libro di Mimma Pisani non è soltanto la conferma di un corpo a corpo con la scrittura che l’autrice porta avanti da anni, ma anche la rivelazione di «strati d’animo» che si affacciano sullo spago della memoria per descrivere luoghi e occasioni del tempo, per fuorviare in alcuni casi dai binari rigidi della realtà e perdersi tra le immagini di quella che realtà non è.
Scritto nell’arco di sei anni, tra il 2001 e il 2016 (ripreso, ad onor del vero, dopo una parentesi riflessiva che ha gonfiato le pagine di sospensioni e considerazioni sull’arte d’oggi), Muraglia (Laruffa editore, 2018) è un lungo racconto ambientato tra gli odori e i colori di una Puglia riletta in tutte le sue dolci e crude sfaccettature cromatiche, in tutte le sue linee d’orizzonte che si dileguano nell’infinito intrattenimento della vita, in tutte le sue vie di fuga che volgono verso una «fantasia senza fili», in tutte le sue gioie e le sue ataviche disperazioni. È l’analisi lucida e spietata di «un carnaio tragico e festoso» dove tutto accade per gioco e si riversa tra le parole di una scrittura gialla, di sabbia (soprattutto quando sopravanza la forma vernacolare, la lingua delle madri), che mescola la purezza alla spietata corsa verso l’abisso, verso la fine, verso una corruzione fisica e mentale, verso la liquida «presenza del Male».
Come delle scatole cinesi o delle matriosche che portano a un finale aspro e dolce (e non è forse ogni finale sempre aspro e dolce?), l’articolazione del romanzo appare disegnata geometricamente, con salti e vertiginose verticalità che spezzano volutamente la narrazione per presentare tragitti visivi sempre più cubici, spigolosi. Si tratta di un meraviglioso viaggio scandito da una doppia linea, da un «doppio magma» che, se da una parte attraversa con eleganza la letteratura (sfilano via via i nomi di Giacomo Leopardi, di Paul Celan, di Stephan Mallarmé, di Antonin Artaud ecc.), dall’altra crea un compasso riflessivo sull’arte moderna e contemporanea.
Già nelle prime, primissime pagine, Mimma Pisani prende infatti per mano il lettore e lo traghetta in un labirinto di forme e colori, in un diario intimo della pittura dove si inciampa, ad esempio, sui quadri di Giuseppe De Nittis. «Camelia Martini», madre di Tauro, personaggio attorno al quale ruotano a ritmo febbrile tutti gli avvenimenti narrativi, «nata a Barletta, adorava i quadri del conterraneo Giuseppe De Nittis» si legge in una pagina chiara. «Conosceva la sua opera pittorica molto bene. Era per lei come una guida splendida. Passava il tempo a contemplare le immagini rare dei pittori pugliesi pubblicati sulle riviste culturali che si faceva spedire da Parigi. La attraeva il paesaggio assolato di un quadro che nulla toglieva alla leggera vaporosità delle dame. Le due donne con l’ombrellino passeggiavano tra i campi di grano sotto un cielo rarefatto. Il quadro che più la affascinava era Colazione in giardino». Basta questa elegante descrizione di questo personaggio amante della pittura a far comprendere quale e quanta importanza abbia l’arte nell’andatura narrativa disegnata da Mimma Pisani: un’andatura che non smette di stupire («Immaginò i cassetti come lo stagno di Monet, baluginanti e festosi» è un paragone, uno dei tanti, che punge lo sguardo) e che si fa feroce analisi delle poltiglie contemporanee legate al moskenesstraumen del mercato che inghiotte tutto e tutti, che corrompe, che anestetizza e devitalizza in alcuni casi finanche le correnti e i pensieri migliori.
C’è una scena, un riquadro ambientato a Venezia che si apre come una ferita e che invita il lettore a riflettere sul tempo presente dell’arte, sul suo scenario, sulle sue presenze. Minni, uno dei tanti personaggi che cercano di allontanarsi dal «narcisismo ingordo» e luciferino del decadimento morale, parla di modernità – la modernità è il fuggitivo, il transitorio, il contingente ha avvertito in tempi non sospetti Baudelaire – con la sua amica Arianna: «la modernità è ben altro, dalle superficiali e quotidiane decorazioni del nulla che ci propinano. La modernità è saper entrare nel mito con forza e rapire al mito il suo enigma. Le opere dovrebbero contenere un’energia originaria e originale. Non bisogna ubbidire a correnti artistiche imposte a cercare di galleggiare sul mare ripetitivo della vacuità».
Qui Mimma propone una squisita analisi, una riflessione dalla luce vitrea e abbagliante che chiama in causa Vettor Pisani, compagno di una vita. «Nulla è più reale nell’arte, del sogno, del piacere, del trauma, della meditazione sulla morte, della ricerca della verità nascosta, della salvezza attraverso la creazione. Questa vertiginosa esposizione delle innumerevoli diversità dell’essere è ben espressa dal linguaggio moderno della frantumazione, dell’ironia, della follia, della costruzione di un’arte totale che contiene progetto e caso, femminile e maschile, deviazione e derivazione, ibridismi e illuminazioni. Un’arte diversa dai codici surgelati del pensiero globale».
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