Neoprimitivismo digitale per tutti

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Marta Roberti, Don’t Worry, It’s Not Your Fault (Shower), 2017 - Foto di Giorgio Benni.

Il senso di un rimosso collettivo è sempre seduto al tavolino dei nostri bar, nella estate del 2020. È sdraiato sulle spiagge del mediterraneo, tra le montagne degli appennini, sosta nei nostri occhi confusi, nei nostri gesti ordinari, riformulati senza rumore per adeguarsi al non senso delle ordinanze regionali.

I dati sul coronavirus sono stanchi e accaldati quasi quanto lo siamo noi, che accettiamo come normale il fatto che non possiamo nemmeno pensare al futuro prossimo. Nessuno sa cosa accadrà a settembre, il dibattito si arresta sull’orlo del precipizio ogni volta che sbuca sui social la foto della sedie con le rotelle cui il governo sembra voler affidare il destino dell’anno scolastico. Tutti i film distopici sul futuro non assomigliano a questo presente. Erano apocalissi intelligenti e sinistre mentre questo ora assomiglia a un cabaret triste, a uno spettacolo grossolano e volgare. Ai registi e ai complottisti che si immaginavano la realtà come la fertile terra della società del controllo, bisogna rispondere: magari!

La tecnologia governativa si chiama Immuni, è difficile persino spiegare a questa app che non risiedi in uno stesso posto da quando nasci a quando muori, ma che spesso ti sposti. La mappa dei contagi è una mappa fissa, si muove a rilento, molto meno velocemente di quanto si muovano i corpi. Il progresso si è risolto in una medicina che non è in grado di prevedere una cosa cosi scontata come una epidemia. E peggio, che non è in grado di gestirla. Nessun farmaco e ospedali insufficienti, come se la malattia come entità fosse nata alla terra alla fine di gennaio del 2020 e non fosse, invece, quell’evento scontato dell’esistenza rispetto alla quale attrezzarsi non è atto di lungimiranza ma banale compito dell’uomo.

La Kultur die Kommunikation si sgretola come i bluff fatti a poker dal giocatore più ottuso, quelli cui non credi prima ancora di sentirli nominare. Il colossale tam tam mondiale, quella capacità di parlare con Kyoto e El Paso nello stesso momento a che cosa è servito esattamente se la notizia del virus è stata ignorata? Sappiamo ma ce ne freghiamo, dei virus come delle ingiustizie sociali, e allora la democrazia non sembra coincidere con la necessità di avere più informazioni, ma con la decisione (politica) di farne qualcosa.

Questi webinar maledetti sono l’illusione di una presenza ma non può essere taciuto al dibattito sul nostro divenire che la conoscenza che da un corpo è insostituibile. Sfibrati dal cattivo uso dei microfoni, dalle incongruenze di una banda che si prometteva larghissima e che si interrompe in estenuanti downloading, dai dispositivi che hanno sempre bisogno di esseri caricati, vediamo le strade piene zeppe di macchine inquinanti, le spiagge coi cancelli, gli sbarramenti di chi ti misura la temperatura un attimo prima di darti l’accesso al carnaio umano creato proprio dal numero chiuso. Una insensatezza terribile e feroce.

Costume e mascherina, una bandiera di demenza collettiva. La techne come mezzo per ottenere uno scopo cosa è se lo scopo non è quello implicito di salvare le vite di tutti e anche di renderle migliori? Non si tratta di determinare la creazione di una società finalizzata, ma di pensarsi come una società affermativa che ha come scopo il culto della vita stessa che non è vita se non è vita degna.

Esponiamo candidamente il fallimento del nostro pensarci esseri logici, la menzogna del crederci esseri razionali: lo Stato è lo stesso, è sia quello che ti vende le sigarette, sia quello che ti chiude in casa. Quello che respinge naufraghi in mare e quello che, in nome della salute, decreta la fine degli spazi pubblici.

È un neoprimitivismo questa epoca digitale, dove il lombrosianesimo ritorna nelle discriminanti delle app facciali e dove il più debole è quello che ha meno mezzi. Il mondo si sta organizzando per essere solo mondo dei ricchi. Il resto della società è nuda e inerme sotto la sua mascherina. Forse non è alla ragione che dobbiamo rivolgerci per creare un domani, ma al cuore, che d’estate è sempre stato un cuore di panna.

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