La logica neoliberale del there is no alternative e l’idea della «fine della Storia» hanno costituito, in questi decenni, una cappa ideologica de-politicizzante. Per uscire da questo blocco, è forse utile riflettere >…
Separare il popolo da sé stesso
Ernst Bloch e le contraddizioni del populismo
Scatole cinesi
Per comprendere il populismo è necessario interrogarsi sul concetto di «popolo», su quale valenza assuma questo termine nel cui significato generale emerge come preponderante la dicotomia rivoluzione/reazione. Nella storia europea, il concetto di «popolo» ha assunto una o l’altra declinazione a seconda di dove si siano orientate teoria e pratica politica in relazione a questi due termini. Il popolo, però, non funziona come elemento a sé stante, ma si accompagna a un altro fattore: lo Stato-nazione. Il fatto che il richiamo alla «patria» sia un elemento centrale nel discorso politico tanto delle destre quanto delle sinistre populiste dimostra che il legame popolo-nazione esiste a prescindere dalla declinazione del primo nella dicotomia rivoluzione/reazione1.
Il nesso popolo–Stato-nazione si completa con l’adozione di un terzo termine in grado di contenere i primi due: sovranità. Elemento centrale della modernità, la sovranità si manifesta come un campo di battaglia in tensione perenne: la lotta per la sovranità si denota come battaglia per i confini, a maggior ragione in un momento in cui il continuo incedere del processo di globalizzazione preme precisamente su questi confini e su questa organizzazione giuridico-politica.
Confine fa rima con identità. In ultima istanza, quindi, possiamo ricondurre la forma politica del populismo alla pretesa identitaria, alla rivendicazione di esistenza e di contrapposizione nei confronti di un’alterità. Il popolo si muove contro qualcosa che non è – o non considera – popolo; si sente minacciato dall’interno (dai suoi rappresentanti politici, colpevoli di tradirlo e di svendere il potere popolare alle istituzioni trans-statuali) e dall’esterno (dalle migrazioni che minacciano la sua identità), non riesce più a definire i contorni della sua sovranità, a capire se essa abbia ancora valore e dove risieda. È a questo punto che rivendica precisamente questi confini: la battaglia populista si presenta, allora, come lotta per la sovranità, da riconquistare, definire e difendere.
È singolare che la rivendicazione sovranista si manifesti in Europa in questa congiuntura di crisi, e sia diventata terreno di battaglia politica e discussione teorica tanto delle destre quanto delle sinistre (più o meno istituzionali o movimentiste). Ma di che terreno si tratta? Dove si collocano e che posizione assumo populismo e rivendicazione sovranista nella forma contemporanea del modo di produzione capitalistico? L’ipotesi che qui si avanza è che si tratti di un terreno «non-contemporaneo».
La non-contemporaneità per Bloch
Il concetto di «non-contemporaneità» è stato tematizzato da Ernst Bloch per analizzare la crisi europea a cavallo delle due guerre. Nel saggio La non-contemporaneità e il dovere di renderla dialettica (1932), pubblicato nel 1935 in Eredità del nostro tempo, Bloch si serve del concetto di «non-contemporaneità» per analizzare formazione e ascesa del nazionalsocialismo nella Germania di Weimar. Si tratta di un concetto centrale, attorno cui il filosofo tedesco articola tutta la sua argomentazione. La società tedesca, afferma Bloch, è attraversata da strati differenti di temporalità: non si tratta di uno spazio omogeneo e permeato da un unico tempo, ma di una serie di faglie sovrapposte e intarsiate che danno origine a un complicato intreccio.
In ogni spazio, continua Bloch, convivono temporalità differenti, diverse sia da un punto di vista soggettivo, sia da uno oggettivo (torneremo su questa differenziazione): «il modo in cui un uomo vive il tempo dipende dal luogo in cui esso si trova in carne e ossa e soprattutto dalla classe alla quale appartiene»2. Nella società tedesca degli anni Trenta, osserva Bloch, la contemporaneità è rappresentata dal proletariato operaio e dal grande capitale, mentre nella schiera non-contemporanea risiedono i giovani borghesi (impossibilitati a replicare le orme sociali dei padri a causa della crisi economica), i contadini (possessori dei mezzi di produzione ed estranei all’alienazione produttiva) e il ceto medio impoverito (che svolge un ruolo da intermediario nel processo produttivo). I gruppi sociali non-contemporanei sono presentati come la spina dorsale dell’ascesa hitleriana: «niente è più pericoloso di questa capacità di essere un tempo ardente e miserabile, contestatario e non-contemporaneo»3. Essi rivendicano un’eccedenza rispetto alla contemporaneità (anche capitalistica), ma la rivendicano per reazione.
La non-contemporaneità può essere sia soggettiva, sia oggettiva. Soggettivamente, essa prende la forma del rifiuto sordo del tempo attuale, e si manifesta come collera repressa; oggettivamente, implica un residuo di epoche precedenti, e si incarna nella sopravvivenza di rapporti e forme di produzione del passato. La non-contemporaneità dà luogo a due tipi di contraddizioni: la prima è quella tra non-contemporaneità e capitale, la seconda tra non-contemporaneità e marxismo. Infatti, nonostante la sua rivendicazione di eccedenza, la non-contemporaneità non è di per sé pericolosa per il capitale, che, anzi, se ne serve per spostare il fuoco dalle sue contraddizioni attuali e contemporanee: «la contraddizione non-contemporanea è dunque il contrario di una contraddizione motrice ed esplosiva, non sta dalla parte del proletariato, la classe oggi decisiva, non sta sul campo di battaglia tra il proletariato e il grande capitale in cui si gioca la lotta oggi decisiva»4.
La non-contemporaneità (soggettiva e oggettiva) diventa visibile proprio perché assume questa precisa posizione e si pone in contrasto con la contraddizione contemporanea, che si esprime soggettivamente nel proletariato e oggettivamente in ciò che Bloch definisce «futuro impedito». Per riassumere questo schema con le parole dello stesso Bloch, diremmo che «la contraddizione soggettivamente non-contemporanea è la collera repressa, la contraddizione oggettivamente non-contemporanea è il passato non ancora esaurito; la contraddizione soggettivamente contemporanea è l’atto rivoluzionario libero del proletariato, la contraddizione oggettivamente contemporanea è il futuro impedito contenuto nel presente, i benefici della tecnica bloccati, la società nuova bloccata di cui quella vecchia è gravida nelle sue forze produttive»5.
Che cosa fare, dunque, in questa congiuntura? La risposta di Bloch consiste nell’adottare una dialettica a molteplici livelli, pluritemporale e plurispaziale, che sia in grado di «separare gli elementi della contraddizione non-contemporanea che sono suscettibili di avversione e di metamorfosi, ossia quelli che sono ostili al capitalismo e in esso non trovano accoglienza, e nel rimontarli dando loro un’altra funzione in un contesto diverso»6. Compito del proletariato – ovvero, della contraddizione contemporanea – è strappare la non-contemporaneità alla reazione, lavorare sulla sua eccedenza per portarla nella rivoluzione, che si gioca, si badi bene, su un terreno necessariamente contemporaneo.
La non-contemporaneità per noi
Che cosa può significare oggi, in Europa, non-contemporaneità? Proviamo ad assumere lo schema blochiano e ritorniamo sulla questione della rivendicazione sovranista e dei populismi e nazionalismi europei. Gli elementi di cui abbiamo bisogno per definire una non-contemporaneità sono, essenzialmente, due: a) collera repressa (non-contemporaneità soggettiva) e b) passato non ancora esaurito (non-contemporaneità oggettiva). Che in Europa esistano sacche sempre più estese di collera repressa è pressoché indubitabile, i risultati elettorali dei partiti xenofobi e di ultra destra, le cui campagne elettorali sono imperniate sulla costruzione di un nemico interno (i migranti) ed esterno (le istituzioni europee) – spesso considerati parte di uno stesso grande complotto – stanno lì a dimostrarlo.
Il secondo punto è, probabilmente, più interessante, ancorché strettamente legato al primo. L’idea di una persistenza nel presente di un passato non ancora esaurito può assumere diverse sfaccettature, tra cui quella teleologica sottesa alla concezione lineare del tempo storico, implicita nell’idea di un «ritorno del passato». In realtà, qui la si vuole assumere in modo del tutto diverso: non si tratta tanto di un «ritorno», quanto di una sovrapposizione. Ciò che oggi persiste e tenta di sovrapporsi alla contemporaneità da una posizione non-contemporanea è la rivendicazione di una sovranità dello Stato-nazione come essa è stata costruita e concepita nella modernità. Gli Stati-nazione si trovano oggi inseriti in una trama di relazioni, siano esse politiche o economiche, tali da determinare pressioni sulla, e mutazioni della, loro sovranità.
Rivendicare la sovranità degli Stati-nazione in un contesto in cui questi sono parte di architetture istituzionali, giuridiche, economiche, politiche che eccedono precisamente quella forma di organizzazione significa porsi su un piano non-contemporaneo rispetto al capitale, che ha dimostrato di sapersi muovere agilmente – e con maggior profitto – su scala globale, oltre le architetture nazionali. Se ritorniamo allo schema blochiano, notiamo come la non-contemporaneità sia innocua per il capitale, il quale, al contrario, se ne serve per i suoi scopi; quale elemento meglio della sovranità moderna può ricoprire oggi questa funzione? Pensiamo ai confini – elementi centrali della sovranità – e a quale ruolo svolgono nella contemporaneità globale: essi sono diventati flessibili, modulabili, permeabili per la circolazione mondiale del capitale, mentre si sono stratificati, moltiplicati e fortificati contro i movimenti migratori.
In cosa consiste, oggi, la contraddizione contemporanea? Se «elemento fondamentale della contraddizione oggettivamente contemporanea è il conflitto tra il carattere collettivo delle forze produttive dispiegate nel quadro capitalistico e il carattere privato della loro appropriazione»7, allora essa si sviluppa oggi come contraddizione tra le molteplici forme del lavoro vivo (ivi compresa la vita in senso proprio), la loro interconnessione globale e i processi di sussunzione al capitale che esse subiscono. E la contraddizione soggettivamente contemporanea rimane l’atto rivoluzionario libero del proletariato, a patto di estendere la categoria di «proletariato» oltre la sua definizione sociologistica per comprendere la complessità dei soggetti sui quali poggia la valorizzazione del capitale.
Il discorso populista, allora, dal momento in cui assume come centrale per la sua articolazione la questione dello Stato-nazione e della sovranità senza operarne una critica, si colloca su di un piano di non-contemporaneità sia rispetto al capitale, sia nei confronti della contraddizione contemporanea. Verso quest’ultima, infatti, tramite il concetto di «popolo» avanza una pretesa identitaria incapace di dare conto fino in fondo della molteplicità di differenziazioni in cui si esprime, oggi, la contraddizione contemporanea. In questo modo, la sua declinazione nella dicotomia rivoluzione/reazione pende interamente dalla parte della reazione.
Data la scivolosità e pericolosità della contraddizione non-contemporanea, non è consigliabile inseguirla sul suo terreno, ma nemmeno ignorarla. Seguendo Bloch, essa va smontata e rimontata in un contesto diverso, poiché «la situazione rivoluzionaria in cui la contraddizione finalmente si concentra in un unico punto e, operando un salto, trova il suo scioglimento, non può dunque nascere che in seguito a contraddizioni contemporanee»8. Fuori, dunque, da pretese sovraniste e nazional-populiste: strappare il popolo alla reazione significa rompere il nesso popolo-sovranità, ovvero separare il popolo da sé stesso.
Note
↩1 | Non a caso, secondo Laclau, principale riferimento teorico del «populismo di sinistra», il populismo può funzionare politicamente nel momento in cui gioca la sua battaglia per la presa (verticale) del potere nell’ambito dello Stato-nazione. |
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↩2 | E. Bloch, Erbschaft dieser Zeit, in Werkausgabe, Bd. 4, Suhrkamp, 1962; trad. it. L’Eredità del nostro tempo, Il Saggiatore, 1992, p. 82. |
↩3 | Ibidem. |
↩4 | Ivi, p. 95. |
↩5 | Ivi, p. 98. |
↩6 | Ivi, p. 99. |
↩7 | Ibidem. |
↩8 | Ivi, p. 95. |
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