Sovranità di Stato o solidarietà comune

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Gregorio Pampinella, Le space est a nous (2013) - Foto di Valerio Polici, MAAM Museo dell'Altro e dell'Altrove, Roma.

Ora che la morte è ovunque, si torna a sperare nello Stato. Nel 1978-79, Foucault parlava di biopolitica: a partire dal XVIII secolo, lo Stato moderno diventa il garante della vita, fa vivere e lascia morire, a differenza del vecchio sovrano investito dal diritto terribile di far morire. Potere di gestione della vita piuttosto che potere di disporre della vita. Oggi la popolazione si accorge, con terrore, dell’imprevedibilità criminale delle autorità pubbliche che, per risparmiare sui conti della serva, sotto la pressione del ministero dell’Economia e Finanza e della Corte dei conti, rigorose vestali delle norme europee, hanno deliberatamente ignorato i moniti dei ricercatori sul rischio pandemico. Lo Stato, d’altra parte, espone all’infezione gli operatori sanitari, chi quotidianamente lavora e tutti coloro i quali sono costretti, senza maschere di protezione, ad andare al fronte di produzione, per poi estendere l’esposizione all’intera popolazione, sostenendo che l’uso delle mascherine era riservato solo agli operatori sanitari e ai portatori del virus.

Lo Stato neoliberale degli ultimi trenta o quarant’anni rivela così violentemente il suo rovescio necropolitico, per dirla con Achille Mbembe. E scopriamo che incarna una nuova forma del potere sovrano di disposizione della vita. Si può parlare, dunque, di un’esposizione calcolata alla morte di interi settori della popolazione, cinicamente sacrificati alla logica del massimo profitto e della riduzione dei costi. In un’intervista a «Le Monde» pubblicata il 24 marzo1, Giorgio Agamben si rifugiava nell’argomentazione di «cospirazioni per così dire oggettive», fino ad appellarsi a Foucault per meglio giustificare di aver parlato a febbraio dell’«invenzione» di un’epidemia. È a Foucault che dobbiamo l’idea di una strategia «senza soggetto» o «senza stratega», il che fa sprofondare nella confusione più estrema la sua assimilazione a una cospirazione oggettiva. A questo deprimente cospirazionismo sfugge la sostanza: i governanti non hanno fatto di tutto per ingrandire artificiosamente il pericolo, ma, al contrario, per minimizzare la minaccia. Ciò che andava salvato, a ogni costo, era «l’economia» piuttosto che la vita, e non «sospendere la vita per proteggerla», come ha sostenuto Agamben.

Rispunta il vecchio fondo assolutista dello Stato

I neoliberali si affrettano a chiedere il ritorno dello Stato proprio mentre l’economia capitalista crolla. Non è una novità. Domani gli stessi si torneranno a lamentarsi: troppe tasse, troppi oneri, troppe spese pubbliche, troppi debiti. Li sentiamo già adesso. La questione, bruscamente occultata, è invece sapere a quale Stato ci si riferisca quando si parla di un suo ritorno. Chi può dire quale Stato si sta profilando nella crisi pandemica in atto? Se di certo dobbiamo auspicare un rafforzamento dello Stato sociale che gli consenta di far fronte alla sua funzione di protezione sanitaria, non dovremmo anche preoccuparsi dell’aumento del suo autoritarismo, tendenza tangibile ovunque, che nell’attuale catastrofe può trovare una nuova occasione per violare i diritti sociali e politici e le libertà dei cittadini?

Piccolo promemoria riservato agli smemorati amanti dello Stato: fino a ieri, chi era a smantellare l’organizzazione delle cure mediche? Chi voleva allargare la precarizzazione nella ricerca e nell’istruzione? Chi imponeva riforme della disoccupazione e delle pensioni che impoverivano i disoccupati di oggi e i pensionati di domani? Chi faceva provviste di cartucce per lanciatori di proiettili da difesa, di gas lacrimogeni e di granate anti-concentramento, invece di provvedere alle scorte di mascherine? Risposta: lo Stato, o più precisamente, i suoi rappresentanti nella persona dei suoi governanti, senza dimenticare i parlamentari e l’alta e media amministrazione che a loro hanno obbedito.

Invocando lo Stato in quanto entità metafisica protettrice, sorta di Padre politico che ci salverà, si dimentica che quest’ultimo è, innanzitutto, una macchina amministrativa fatta per dominare una popolazione nazionale, una macchina presieduta e costituita da governanti che, una volta eletti, fanno a loro piacimento, o piuttosto fanno ciò che l’ordine del mondo gli impone, dominato a sua volta dalla logica del capitale globale. Al contrario, ciò che la popolazione si aspetta è uno Stato che stimoli, coordini e finanzi la solidarietà, uno Stato dei servizi pubblici, uno Stato che tenga conto degli interessi vitali della popolazione, uno Stato di cittadini fatto per i cittadini, uno Stato di operatori sanitari, di operatori ecologici, di insegnanti, di assistenti sociali, uno Stato che garantisca l’approvvigionamento alimentare, che si prende cura degli anziani, dei senzatetto, dei più poveri e dei disoccupati che si moltiplicheranno. L’esatto contrario dello Stato neoliberale, insomma. Eppure, la situazione che si sta profilando è quella di uno Stato autoritario ridipinto con i colori nazionali, uno Stato violento, liberticida, iperverticista, uno Stato costruito contro la sua popolazione, contro i cittadini e i loro diritti civili, sociali e politici.

Basta prestare attenzione alle parole usate dal presidente francese Macron – ma che valgono per la bocca di molti altri dirigenti – per sentire risuonare il Sovrano portatore della spada con tanto di richiamo ai volontari e ai lavoratori al sacrificio per la patria nella «guerra contro il virus», all’eroismo degli operatori sanitari che va, di pari passo, al disprezzo più cinico per il vero senso del loro lavoro. Sono molti i motivi per temere, come fa François Sureau22, che le «circostanze eccezionali» siano, come ieri la «guerra contro il terrorismo», il pretesto per la restrizione delle libertà, per aumentare il controllo sugli individui e degradare in modo duraturo il diritto del lavoro2.

Basterà, ancora una volta, integrare nel diritto comunitario le norme in deroga dello «stato di emergenza sanitaria», la cui legislazione ha violato la costituzione… con il consenso del Consiglio costituzionale3! È sorprendente constatare che il primo istintivo riflesso dei dirigenti dello Stato – invece di favorire lo slancio di solidarietà riferendosi al senso sociale più elementare – è stato quello di dispiegare i metodi più punitivi, facendo piovere multe, minacciando la reclusione, non esitando a colpevolizzare i francesi che, il giorno delle elezioni amministrative, si sarebbero recati nei giardini pubblici. Si è detto che questo zelo di sovranità in materia di sicurezza è stato messo in atto per nascondere le mostruose carenze dello Stato in materia sanitaria. Forse è vero, ma c’è qualcosa di più profondo.

Lo Stato Repubblicano, lo Stato Sociale o lo Stato Educatore sono forme politiche che sono effettivamente esistite e che permangono in modalità più deboli, ma che non hanno mai cancellato il principio di sovranità o, per dirla alla maniera degli antichi giuristi: il principio del supremo dominio dello Stato sui suoi sudditi. Il vecchio Stato assolutista è ancora ben vigile dentro i ministeri, le prefetture e i commissariati. Ed è proprio tale aspetto che, a ogni crisi, torna al galoppo. Il minore dei capi di Stato, anche il più infimo, indossa i panni di un maresciallo della Prima guerra mondiale che dispone i propri soldati al fronte. Il 13 aprile, Trump afferma che l’autorità del Presidente degli Stati Uniti è «totale» e gli dà il diritto di opporsi ai governatori che rifiutano di far ripartire l’economia, tanto da prendere in considerazione la sospensione del Congresso per imporre le proprie nomine. Quanto al sinistro Viktor Orban, ha appena abolito con un tratto di penna le garanzie democratiche più elementari attribuendosi i pieni poteri per una durata illimitata.

Il fallimento del sovranismo di Stato

Nel corso dei secoli, il principio di sovranità dello Stato ha due volti indissociabili: quello interno, il dominio sulla popolazione, e il suo lato esterno, la difesa dell’«interesse nazionale», all’occorrenza attraverso la guerra agli altri Stati. Ma come possiamo intenderlo oggi? Nel discorso del 31 marzo, Macron ha affermato di «ricostruire la nostra sovranità nazionale ed europea», aggiungendo subito dopo: «abbiamo cominciato a farlo prima della crisi attraverso riforme che permettono al nostro paese di essere competitivo». In altre parole: noi lo abbiamo fatto attraverso le riforme neoliberali (in particolare lo «shock di competitività» che permette alle imprese di beneficiare di miliardi di regalie fiscali). Questa ammissione fa luce sull’annunciata «ricollocazione» della produzione del materiale sanitario. Lo stesso termine «ricollocazione» è ingannevole. Può certamente significare la priorità delle filiera diretta in materia di produzione/consumo per ridurre l’impronta ecologica e favorire il controllo dei cittadini sulla finalità della produzione (la soddisfazione dei bisogni). Ma può anche significare la creazione di condizioni ottimali nella guerra economica internazionale. Il gruppo farmaceutico Sanofi ha già annunciato il rientro in territorio francese di alcune delle sue unità di produzione. In questo risiede il senso della sovranità proclamata da Macron: le grandi imprese private devono produrre sul territorio francese, alle spalle di uno Stato che gli garantisce condizioni che le renderanno competitive sul piano internazionale.

Siamo avvisati. Il giorno «dopo» somiglierà al giorno «prima», non fosse che per la concorrenza che si farà ancora più spietata. Le considerazioni politiciste, l’ossessione di Macron di imporre la riforma delle pensioni, ma soprattutto il ristretto animo nazionalista della burocrazia di Stato, ci hanno reso ciechi di fronte alla necessità di prepararsi il più rapidamente possibile per evitare l’ecatombe. Eppure, l’OMS, a oggi sul banco degli imputati, aveva avvertito i governanti della gravità e del carattere mondiale della pandemia, e sono molti tra questi, a cominciare da Trump, che hanno reagito troppo tardi. Ancora oggi, è il nazionalismo degli Stati a impedire di istituire un vero e proprio direttorio sanitario mondiale d’emergenza. Si lascia ogni paese da solo di fronte alla pandemia, come se ci fossero 197 epidemie nazionali. Peggio ancora, i paesi più ricchi, a partire dagli Stati Uniti (America first!), sono scesi in guerra contro tutti gli altri per impadronirsi delle produzioni disponibili di mascherine, test, respiratori. Sono tornati i tempi dei corsari. Che uno come Macron abbia potuto, con un decreto di requisizione, bloccare le scorte di 4 milioni di mascherine di una multinazionale svedese per oltre un mese (dal 3 marzo al 4 aprile), mentre la metà era destinata alla Spagna e all’Italia duramente colpite dalla pandemia, dice abbastanza sulla pratica del banditismo di Stato.

Lacerata dagli egoismi nazionali, l’Unione Europea offre un’immagine pietosa: chiusura delle frontiere, denigrazione delle politiche messe in atto dagli altri, e soprattutto, strategie contraddittorie, come se la «vittoria» nella «guerra» contro il virus globale non potesse essere che nazionale. E che dire della mancanza di una risposta coordinata al crollo economico che riguarderà tutti i paesi europei, senza eccezione alcuna? Non appena si è parlato di mutualizzazione dei debiti (i coronabond), abbiamo visto rispuntare, come ai tempi dell’annientamento della Grecia da parte della Troika, l’indecente arroganza dei paesi nordeuropei, dei Paesi Bassi e della Germania in testa, nei confronti dei paesi meridionali europei accusati di spese improprie, proprio quando gli obitori improvvisati continuavano a riempirsi di bare, a Milano o a Madrid. La disgregazione istituzionale ha raggiunto il suo apice: il Parlamento sembra entrato in letargo, la Commissione ha rinunciato a qualsiasi iniziativa. Di conseguenza, prevale esclusivamente il puro ambito interstatale, nella forma del Consiglio dei capi di Stato e dell’Eurogruppo, sottratto a qualsiasi controllo. Il velo sta cadendo. La sovranità dello Stato-nazione è l’indispensabile veicolo della concorrenza tra Stati, attraverso la creazione delle migliori condizioni che facilitino i flussi transfrontalieri di capitale. È su questa concorrenza che poggia la costruzione dell’Unione Europea e, con uno spietato contraccolpo, è proprio l’esistenza dell’Unione Europea a risultarne minacciata.

Più in generale, la crisi deve essere l’occasione per rivedere la questione della sovranità statale. Con Foucault, troppo spesso si è avuta la tendenza a contrapporre sovranità e razionalità economica. La realtà è che la sovranità dello Stato non scompare affatto quando si assume la responsabilità di tale razionalità. La tutela del capitale globale è la nuova ragione di Stato. Lo si vede chiaramente nel modo con cui, senza più imbarazzi di fronte alle cautele degli esperti, Macron ha deciso di sanificare le scuole per far ripartire al più presto l’economia, su espressa richiesta degli ambienti economici. Alla formula macroniana del 31 marzo «sovranità e solidarietà», non c’è che un’alternativa da contrapporre: «sovranità di Stato o solidarietà del Comune».

Traduzione dal francese di Ilaria Bussoni e Viviana Vacca

Questo articolo è originariamente apparso sulla rivista AOC, il 20.04.2020.

Note

Note
1Intervista di Nicolas Truong, Le Monde, 24 marzo.
2Cf. François Sureau, Sans la liberté, Gallimard, 2019.
3Jean-Baptiste Jacquin, Coronavirus: L’état d’urgence sanitaire ouvre des brèches dans l’Etat de droit, Le Monde, 28 marzo 2020

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