Storie senza distanza di sicurezza

La Portavoce. Racconti delle detenute di Solliciano

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Monica Sarsini, Alice, la guardia e l’asino (2022).

Amo stare vicina alle voci di chi è fermo, di chi naufragato in un’isola ha fede che le parole sgranate come un rosario lo riconducano a sua insaputa verso la terraferma. Facciamo così, incontro dopo incontro ci alleniamo a rilevare quelle che splendono come pietre luminose tra frasi  disoneste, inutili
Monica Sarsini, Io e Agnese

Il libro di Monica di Sarsini «La Portavoce. Racconti delle detenute di Solliciano» (Contrabbandiera Editrice, 2022) verrà presentato lunedì 6 marzo 2023 alle ore 17:30 a Bologna nella sala del Centro Sociale della Pace, via del Pratello 53. Con l’autrice discuteranno: Valerio Guizzardi (Associazione Papillon- Rebibbia), Vincenzo Scalia (docente di Sociologia della devianza- Università di Firenze) e Marco Marcuz, avvocato penalista.

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Sa. Delle altre, donne. Monica Sarsini – scrittrice e artista visiva – lo ripete più volte nell’Introduzione a La Portavoce. Racconti delle detenute di Solliciano, con la grazia colorata e sovversiva che hanno i personaggi dei suoi teatrini di carta velina, aperti a digressioni e deragliamenti. In questo spazio narrativo e visuale, Biancaneve diventa amica della strega o la Piccola Fiammiferaia piromane, trasgredendo le regole di una supposta correttezza politica in nome della consapevolezza di chi ha attraversato – secondo il monito di Goliardia Sapienza – l’atroce notte insonne dell’efficienza a tutti costi.

Nel panorama delle scritture biografiche femminili, l’Introduzione della Sarsini è solo la tappa più recente di un impegno accanto alle detenute del carcere fiorentino di Solliciano dove da anni si svolgono i laboratori di scrittura e lettura creative. Alice nel Paese delle domandine (2011), Alice, la guardia e l’asino bianco (2013), Racconti dalla casa di nessuno (2018) – pubblicati dalla casa editrice Le Lettere – e Io e Agnese (2019) – per Vita Activa, con un saggio di Ernestina Pellegrini – le altre preziose tappe di questa pratica che si fa politica perché esistenziale nell’incontro con soggettività femminili in transito verso la propria storia: donne affaticate dalla vita, in attesa di atti d’amore quando si ricevono violenza e delusione da uomini e figli, eccessive e chiassose ma poi piegate nel silenzio di parole che non hanno ancora trovato per dirsi, per raccontarsi.

Sa Monica di essere lei a curare le scritture e le ferite delle detenute, cercando di dare delle regole, di correggere i racconti o di batterli al computer la notte, richiamando un silenzio necessario per far sentire voci strozzate da una mancanza di possibilità, ma questa consapevolezza si costruisce soltanto nell’incontro con i sorrisi slabbrati, con i corpi rimaneggiati in abiti ricevuti per scambi di zucchero o sigarette o esclusi per abuso di farmaci e di solitudine. Sono vite messe di traverso, impossibili da dimenticare per chi ha già compiuto il percorso verso la ricerca del proprio narratore ferito. Il riferimento al saggio di Arthur Frank non è casuale se ci concentriamo sulla tripartizione delle narrazioni in caos, ricerca e restituzione.

Caotico come uno zoo è il carcere di Solliciano come caotico è lo spazio narrativo di chi è sopravvissuto: a se stesso, al dolore e che si sforza di vivere. Il perimetro dello spazio carcerario è costellato di altri muri, altri fili da dipanare che sono quelli della memoria, di una quotidiana ricerca di sé nel passato, nel tempo prima, del presente vuoto del carcere, grazie al grimaldello della scrittura. Sottraendo la funzione autore ma non la propria presenza narrativa Monica Sarsini rende visibili le storie di queste donne come atto di celebrazione di una dignità restituita in un legame a quattro mani con Cosetta Petreni: è lei la Portavoce del titolo che dipana i fili della propria storia nell’incontro con le vite al margine delle sue compagne, un margine continuamente disegnato e scritto in senso orizzontale e minuscolo secondo l’insegnamento di bell hooks, non soltanto luogo di privazione ma anche di resistenzaFata inconsapevole nel mondo metamorfico del carcere di Solliciano dove bellezza e orrore imparano a coesistere.

È nello spazio ristretto a loro concesso che Cosetta e le sue compagne fanno emergere le strategie di affermazione di sé, testimonianze attraverso la parola scritta che, come in un coro di singolarità senza garanzie – secondo la bella espressione di Ingeborg Bachmann – si fanno pratiche di un noi costruito da voci differenti, piccole, che sarebbero rimaste inascoltate e a cui abbiamo il dovere di rispondere. Cosetta anche lei lo sa, e noi fuori, quando leggiamo, assistiamo all’apertura di una storia non più chiusa a doppia mandata, alla lenta restituzione di spazi di libertà per se stessa e per le sue compagne. Al caos Cosetta risponde con la diligenza e precisione di una scrittura essenziale, asciutta, che ferisce gli occhi prima che il cuore con le descrizioni degli incontri con le sue compagne.

Il carcere, da un lato, soffocante come la vernice che rimane appiccicata sulla pelle o come un pezzo di vetro rimasto incastrato e l’impegno per cercare di sopravvivere in giorni di abuso e violenza, risse e puzza. Le detenute trans, trattate come ammassi di stracci sporchi senza alcun diritto se non quello dell’invisibilità, Svetlana che pensa al suicidio come tempo unico di consolazione, Alessia sempre delusa qualche uomo, che sia un figlio o un magistrato.

Storie di donne senza nessuna distanza di sicurezza, tra loro e noi che impariamo una nuova confidenza con la fragilità che siamo come occasione emancipativa. E di cui prende consapevolezza la stessa Cosetta che si sente forte della protezione delle guardie durante una visita all’ospedale, in quel fuori dal carcere che rimanda all’inizio della propria storia, al quotidiano di maltrattamenti e paure di un marito orco e di un figlio da proteggere e nel  laboratorio di scrittura, al sicuro dai pregiudizi, nel legame di sorellanza con Monica e le altre detenute. Fuori dal carcere, nell’esperienza di una casa famiglia, con il racconto di Giovanna, un atto d’amore e di gratitudine costruito insieme.

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