Ushabti

Che cos'è un'OperaViva?

Claire Fontaine Untitled (Paris 11 April 2006) 2006
Claire Fontaine Untitled (Paris 11 April 2006), 2006.

Ushabti – i rispondenti – è il nome delle figurine, intagliate nel legno o modellate nella faience, che, in Egitto, accompagnavano il defunto nel viaggio nell’Oltretomba. Schiere di ushabti, allineati in cassette e teche degne del mattoide acquartierato in Utopia Parkway, vegliavano allo sfaccendamento perpetuo, all’ufficio postremo. Incongrui, faraonici playmobil avrebbero, caricandosi di ogni lavoro e di ogni mansione, di tutti i sudori già sudati e ancora da sudare, esonerato il defunto da ogni opera assicurandogli così la vita beata.

Gli ushabti esorcizzano l’opera oltre le soglie della psicostasia 

Raccolti in squadre, esattamente ripartiti nel numero dei giorni dell’anno e secondo le corvé cui attendere, coordinati da microscopici capi-squadra, gli ushabti esorcizzano l’opera oltre le soglie della psicostasia. Fine dell’opera: assolta e trascorsa nella molteplicità innumerevole di operine minuscole e parodiche e finte. Piccole protesi archeo-fordiste in attesa della chiamata di Osiride. Gli inanimati nani dell’opera, muti garanti dello sciopero ultimo e primo e della scioperatezza di ieri e di domani, fanno silenziosamente segno a una modesta operazione cosmologica: traslocare i campi Aaru dall’aldilà dell’attesa all’aldiquà del presente. Qui dove ciascuno è l’ushabti di questa terra, ushabti sabotatore dell’opera, ushabti senza padrone, minuscolo ushabti di se stesso.

Essi hanno tramutato la scioperatezza in un altro modo della produzione, essi incarnano la singolare energia della vita comune 

A cosa rispondono e che cosa attendono gli ushabti mondani se non alla chiamata, già avvenuta, della cooperazione. Affaccendati a sfaccendare, maldestri teurgi, gli ushabti di quaggiù hanno stretto un tacito patto risolvendo altrimenti il loro rapporto all’opera: essi hanno tramutato la scioperatezza in un altro modo della produzione, essi incarnano la singolare energia della vita comune, essi cooperano perché non congiurano che alla realizzazione della felicità che li attende. Ushabti è perciò l’impronunciabile nome di una forma di vita. Quella che allaccia singolare e comune nell’improprietà di un’impresa affollata e imponderabile. Quella che accade quando la qualsiasi musica di sottofondo si impone come colonna sonora esattissima e aleatoria della nostra vita pensata.

È già con altri, confuso e preso nell’avventura comune che la vita gli ha prescritto, nel disfarsi di tutte le opere e nella deposizione di tutte le identità 

Allora, quando anonimia e biografia, rumore e senso, concentrazione e indolenza, urtano fino a confondersi, allora sarà accaduta quella che l’ushabti non può che continuare a chiamare, malgrado se stesso, politica. La politica dell’ushabti che non teme di perdere il nome e la faccia, perché è già con altri, confuso e preso nell’avventura comune che la vita gli ha prescritto, nel disfarsi di tutte le opere e nella deposizione di tutte le identità. Sa l’ushabti, per averlo letto e poi per averlo vissuto, che se ogni opera è un viaggio è solo perché essa è anche un concerto. Quel progetto finalmente compiuto, cioè disdetto, nel momento in cui, allo specchio di una vita, avrà saputo riconoscere la materia delle parole nella forma dei corpi.

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