Un patto tra generazioni precarie

Wasted: Un inno alla vita con la regia di Giorgina Pi

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Si rimane commossi e sorridenti, entusiasti e consumati, incantatati e devastati da questa ora e venti che troppo rapidamente fugge via – come le nostre vite, ci faranno notare gli stessi protagonisti dal palco – assistendo a Wasted, della vulcanica poetessa, rapper, scrittrice, autrice teatrale, e molto altro ancora, Kate Tempest, nella regia meticolosamente incandescente di Giorgina Pi. Con la produzione istituzionale di Emilia Romagna Teatro Fondazione, affiancata dalla collaborazione di Angelo Mai / Bluemotion, cioè quanto di meglio si muove da anni tra gli spazi sociali e culturali indipendenti e autonomi di questa affaticata Roma, dove fino a domenica rimane questo spettacolo imperdibile, al redivivo e non più desolante e desolato Teatro India, finalmente dotato di un bar e di spazi accoglienti (e sia consentito toglierci uno sfizio e certo anche segnalare il nostro essere di parte, dalla parte giusta, una volta tanto: poco più di un anno fa, segnalando il bel Caffettiera blu, sempre portato in scena da Giorgina Pi, ma all’Angelo Mai, segnalammo appunto la desolazione del Teatro India e auspicammo una salutare contaminazione tra la scena indipendente e quella istituzionale, cosa finalmente avvenuta, certo già con il precedente Settimo cielo da Caryl Churchill, ora grazie anche alla consulenza artistica di Francesca Corona al Teatro India, voluta da Giorgio Barberio Corsetti, nuovo direttore del Teatro di Roma). E allora solo poche note per consigliare la visione e complimentarsi con l’intero progetto.

I protagonisti di Wasted sono il distopico uomo in carriera Ted (un trascinante, lisergico, Gabriele Portoghese), la determinata e, solo apparentemente, rassegnata insegnante Charlotte/Charlie (nella commovente, e come al solito potentissima, prova di Sylvia De Fanti), di cui è sbadatamente innamorato il bighellone musicista on the Dole – in sussidio di disoccupazione – di Danny (nella simbolica irrisolutezza di Xhulio Petushi). Si tratta di tre amici trentenni che si incontrano, parlano, suonano, scherzano, sorridono, piangono in una sorta di sala prove del tempo libero, ricordando nottate e feste passate, tra strumenti, fumo, alcol e sostanze psicotrope, dal tramonto all’alba, nell’anniversario della morte del loro comune, fraterno, amico. E per me, che ancora non riesco a trovare le parole per ricordare la recente scomparsa del nostro fratello di poco maggiore e compagno di mille avventure Ben, Benedetto Vecchi, giornalista culturale de il manifesto e intelligenza indisponente, è stata come una immersione catartica nel balsamo teatrale. Così, solamente ora, intendo fino in fondo quell’abbraccio insistito e quelle lacrime, trattenute o prolungate, che silentemente ci scambiammo proprio con Sylvia quella mattina, in occasione dell’ultimo saluto a Benedetto, negli stessi giorni in cui, adesso ripenso, lei era impegnata nelle prove proprio di questo, travolgente, emozionante, spettacolo.

Uno spettacolo e un testo che parlano quindi di noi, anche e soprattutto per altro in realtà, con l’accorta regia di Giorgina Pi che ha reso universale la città narrata da Kate Tempest, che è Londra, ma che qui potrebbe essere anche una qualsiasi, più o meno depressa, provincia italiana, nella quale si trovano intrappolati i tre, non più giovanissimi e certo non ancora maturi, protagonisti, ancora persi dietro a dipendenze e insicurezze, in ogni caso incapaci di vivere appieno le proprie esistenze e, perché no, di scappare via dalla città, come vorrebbe fare Charlie, per spiccare letteralmente il volo. Assistiamo a questa portentosa performance collettiva identificandoci nei dialoghi e nei monologhi che si alternano sul palco, quasi fossimo a fianco, con una mano sulla spalla, degli attori, o persi nei loro sguardi. A partire da quelli, sguardo e monologo, accorati e appassionati, di Charlie, su tutto ciò che non va nelle scuole dei nostri ragazzi, abbandonati da famiglie, insegnanti, società tradizionali, che li danno per spacciati, senza banchi di prova (dice uno di loro, romano, che conosciamo da tempo e ora diventato poeta e cantautore), nel deserto arido e fallimentare di insegnanti, famiglie e società tradizionali che spesso li costringono ad essere ragazzi madre e che Charlie vorrebbe proteggere, in quello che a noi suona come un possibile patto tra le generazioni precarie. E l’insofferenza per il lavoro, la noia della routine, l’anestesia delle passioni, l’incapacità – o forse la consapevole impossibilità – di cambiare le nostre vite è il comune, irato, scontento da cui partire per innescare quei cambiamenti auspicati, da fare insieme.

Perché Wasted è certo una (a tratti) straziante, epperò anche ironica, dolce e spigolosa discesa individuale e collettiva nella Terra desolata che abitiamo, sentendoci troppo spesso sprecati, dissipati, consunti, come a voler tradurre un termine polisemico come wasted, appunto, che sembra quasi tracimare in sterili, sciupati, inadeguati, quasi adatti. Come càpita di sentirsi, a volte, nella vita. Ma Wasted è anche inno alla vita: una sala prove per cambiare la propria esistenza e quella degli altri, per viverla più intensamente. Perché ogni istante, anche il prossimo, sarà il primo di una nuova vita.

Tanto la formidabile ambientazione sonora orchestrata dal Collettivo Angelo Mai, che aleggia in testa come una immemorabile melodia, quanto le luci orizzontali di Andrea Gallo che attraversano i volti per incontrare le illuminazioni screziate, spezzate, frammentate che piovono dall’alto sul palco, sembrano così invitarci ad afferrare quei mille attimi e brandelli quotidiani delle nostre vite, per dare insieme la scossa decisiva. Ce lo mostrano i bambini che eravamo, quelli che sono con noi e quelli che avremo. Andate a incontrarli sul palco del Teatro India, in questi giorni. Per diventare e restare sé stessi: Hold Your Own, ci dice Kate Tempest, a partire da Wasted.

WASTED

di Kate Tempest
traduzione di Riccardo Duranti
uno spettacolo di Bluemotion
ideazione e regia Giorgina Pi
con Sylvia De Fanti, Xhulio Petushi, Gabriele Portoghese
scene Giorgina Pi
consulenza ai costumi Gianluca Falaschi
musica, ambiente sonoro Collettivo Angelo Mai
luci Andrea Gallo

produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione
in collaborazione con Angelo Mai / Bluemotion

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