Una campagna di incentivo alla procreazione intitolata ai «giorni della fertilità» riannoda una continuità 2.0 con le parole e le immagini del fascismo. Ci ricorda che il governo della vita è il >…
L’indisponibilità delle esistenze
Cosa può un corpo è cosa che non può un governo
Quando sui social hanno cominciato a circolare le prime immagini della campagna di promozione del Fertility Day, l’impressione è stata quella di trovarsi di fronte a un fake. L’ennesima riuscita parodia prodotta dall’intelligenza collettiva: una paradossale battaglia per l’incremento delle nascite, in cui una grafica rozza ma vagamente credibile illustrava perfettamente slogan che facevano il verso al tono goffamente brillante, che vuole essere smart e suona patetico, di certe pubblicità a basso budget. Una donna mostra una clessidra e con l’altra mano si indica la pancia. Una buccia di banana vuota e afflosciata. Gocce d’acqua che con una figuralità degna di un cinepattone alludono allo sperma come bene comune. Troppo squallido per essere vero: avrebbero potuto esserci dietro gli autori di Boris. C’è voluta qualche ora per capire che invece il committente era davvero il Ministero della Salute.
Questa esitazione è significativa, non solo perché rivela il regime di incertezza semiotica nel quale ci costringe l’ambiente digitale. Ma perché dice che con questa campagna il governo ha infranto il già desolante orizzonte di attesa cui ci ha abituato. Dal punto di vista delle politiche economiche e sociali siamo rassegnati ad aspettarci più o meno di tutto dal renzismo, qualunque ricaduta reazionaria e destrorsa. La funzionalità integrale della sinistra «di stabilità» alla conservazione dell’assetto politico-economico attuale e dei suoi squilibratissimi rapporti di forza ormai è sotto gli occhi di tutti, e ha rinunciato da tempo anche a ogni parvenza di volto umano.
Sul fronte dei diritti e delle libertà individuali, tuttavia, il governo Renzi fino a qui ha dimostrato di sapersi abilmente rivestire di una patina liberal, darsi una rappresentazione in linea con l’inclusività (sempre parziale e funzionale alla governamentalità) praticata in Europa dall’area socialdemocratica. Rispetto a questa adesione al politically correct, la campagna sulla fertilità, che è di fatto una campagna per la natalità, sembrerebbe un arretramento, un ritorno verso posizioni più tradizionalmente centriste, filocattoliche e apertamente conservatrici. Il che chiaramente è coerente con l’estrazione politica della Ministra Lorenzin.
Come se il controllo ravvicinato e violento dei corpi, la loro presa in ostaggio da parte del potere, fosse un problema degli altri, e non un fenomeno che si manifesta continuamente, ovunque, in forme anche più complesse e raffinate, e quindi più efficaci, nelle nostre società libere
Eppure l’apparente contraddizione rivela la cattiva coscienza delle nostre democrazie, il grande rimosso dei regimi di libertà garantiti dagli Stati occidentali. Che possono sempre tornare ad assottigliarsi, a seconda delle esigenze economiche o politiche del momento, a seconda delle alleanze variabili con le forze che li sostengono. L’individuo, le sue scelte, i suoi orientamenti, i suoi desideri, possono in qualunque momento essere schiacciati in nome di qualche interesse superiore, che sia economico, geopolitico, oppure ideologico. Nel caso specifico, il Fertility Day ci ha ricordato che i nostri ovuli e i nostri spermatozoi non ci appartengono, appartengono alla comunità (per non dire allo Stato). Il vostro utero non è vostro: è uno spazio pubblico sul quale è possibile, e lecito, costruire delle politiche. E sarebbe comico, se non fosse tragico, che un messaggio così profondamente invasivo e illiberale sia stato concepito da uno Stato occidentale a poche settimane dalla confusa, ipocrita e a tratti puerile polemica sul burkini. Come se il controllo ravvicinato e violento dei corpi, la loro presa in ostaggio da parte del potere, fosse un problema degli altri, e non un fenomeno che si manifesta continuamente, ovunque, in forme anche più complesse e raffinate, e quindi più efficaci, nelle nostre società libere.
È quasi superfluo ribadire tutti i motivi per cui la campagna era offensiva, discriminatoria, violenta: tante e tanti lo hanno fatto nelle ore e nei giorni successivi allo sciagurato lancio. Probabilmente è vero quello che qualcuno ha provato a obiettare all’ironia e all’indignazione che dilagavano in rete: evocare le campagne per la natalità ideate dal fascismo è fuorviante; non perché estremistico, ma perché non consente di cogliere l’aggressività strisciante di questa operazione. Un’operazione che scarica integralmente sugli individui la responsabilità dei processi di disintegrazione sociale, che va a stanare ogni singola donna e ogni singolo uomo, li sorprende nelle pieghe delle loro esistenze complicate, precarie, instabili, molecolari, e li convince che di questa instabilità sono loro i responsabili, i colpevoli, a causa del loro rifiuto egoistico dei legami impliciti nella procreazione e nella costruzione della famiglia.
Ciò che contribuiva a rendere grottesca la campagna per la fertilità, era proprio il fatto di riproporre una versione sciattamente attualizzata di un modello sociale integralmente disattivato dal movimento reale dell’esistenza
Senza nemmeno nascondersi dietro il pretesto della prevenzione e dell’informazione, il Ministero ha esortato alla procreazione facendo leva su un immaginario stereotipato, su una rappresentazione che volutamente ignora ogni tentativo di pensare le relazioni, i rapporti tra i generi, i sentimenti, e la procreazione stessa, fuori dai vincoli delle spinte ricompositive che tentano la restaurazione della famiglia tradizionale. Nelle ambiguità del Fertility Day si può osservare in azione la dinamica classica delle spinte e controspinte prodotte dal capitalismo, che mentre ha dissolto i vincoli tradizionali inducendo la polverizzazione della società, tenta di ricostruirla per via ideologica come argine fittizio allo spappolamento sociale, e addirittura di rinaturalizzarla, collegandone subdolamente la necessità alle esigenze biologiche degli individui. Ciò che contribuiva a rendere grottesca la campagna per la fertilità, era proprio il fatto di riproporre una versione sciattamente attualizzata di un modello sociale integralmente disattivato dal movimento reale dell’esistenza, e dalle stesse trasformazioni che il sistema capitalistico ha promosso e alimentato.
Eppure l’elemento grottesco è stato anche quello che ha generato il maggiore fraintendimento nel movimento dell’indignazione generalizzata. La risposta maggioritaria alla campagna infatti si è fondata su una rivendicazione economico-sociale: dateci stipendi, sostegno, strutture, agevolazioni, e noi torneremo a fare figli e a costituire famiglie. I nostri ovuli e i nostri spermatozoi sono a disposizione: aiutateci a farli fruttare. Siamo disponibili a raccogliere i frammenti delle nostre esistenze e a rimetterli insieme per ricostruire il feticcio della famiglia. Sulla base degli stessi argomenti anche Renzi si è dissociato dalla campagna. Anche per lui il modello tradizionale sarebbe restaurabile attraverso politiche pubbliche di sostegno alla natalità.
È un corpo che fissa con angoscia le clessidre che segnano il tempo del lavoro, delle relazioni, delle scelte. E un corpo così spaventato è, virtualmente, sempre a disposizione dei poteri che vogliono impadronirsene e sfruttarlo
Dalla maggior parte delle reazioni sono rimaste fuori rivendicazioni sulle scelte individuali, sul diritto di disporre dei propri corpi, sulla inammissibilità della procreazione come imperativo pubblico, sul rifiuto di mettere i propri desideri a disposizione della società. La campagna del Fertility Day fa male proprio perché rivela che il corpo che è andata a colpire, il corpo sociale formato dai corpi degli individui, è un corpo fragile, inquieto, esposto. È un corpo che subisce una pressione contestuale intollerabile, che affonda non solo nell’intimità della sfera emotiva e delle scelte esistenziali, ma perfino nella profondità della dimensione biologica. È un corpo che fissa con angoscia le clessidre che segnano il tempo del lavoro, delle relazioni, delle scelte. E un corpo così spaventato è, virtualmente, sempre a disposizione dei poteri che vogliono impadronirsene e sfruttarlo.
Il Fertility Day potrebbe essere archiviato come una irrilevante e anacronistica pagliacciata, ma ha avuto il merito, si fa per dire, di rendere evidente ancora una volta che se c’è una possibilità di rompere lo stato d’assedio in cui viviamo, di incrinare i rapporti di forza penalizzanti e depressivi, passa proprio attraverso l’affermazione dell’indisponibilità integrale delle nostre esistenze in quanto agglomerato di esperienze, relazioni, impulsi, immaginazioni. Indisponibilità di fronte ai poteri che vogliono estrarne profitto: le nostre vite continuamente producono valore, e di questo valore dobbiamo riappropriarci. A prescindere dalle scelte individuali, dentro una moltitudine di pratiche diverse, dobbiamo strappare la nostra sostanza vivente alla schiavitù di tutte le clessidre, sottrarla al ricatto sociale permanente, per provare ad usarla come strumento di libertà.
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