Mentre leggete queste righe
Lo sciopero umano e l'arte di creare la libertà
Testo da Claire Fontaine, Lo sciopero umano e l’arte di creare la libertà, DeriveApprodi (2017). In libreria dal 25 settembre.
I più ottimisti dicevano di aver barattato la libertà con la sicurezza. E si sbagliavano.
Da quando le minacce terroriste si erano materializzate in America nel 2001, la vita era cambiata in molti paesi. Eppure diventò chiaro da subito che le misure di sorveglianza non erano realmente efficaci contro gli attacchi che le giustificavano, mentre trasformavano gradualmente le nostre vite, sempre più governate, sempre meno libere.
La vita quotidiana ha una potenza illimitata e riesce ad annegare nella sua industriosità anche i pensieri più neri.
Solo che la casa e il lavoro, contenute come sono da sfere più grandi (il paese in cui viviamo, il suo governo, la politica internazionale), giravano a vuoto in cerca di un senso che in loro non riposa ma si produce
I giorni passavano, all’estero si facevano guerre (perché bisognava pur reagire), nelle prigioni lontane si torturava atrocemente, i soldati tornavano a casa con la sindrome post-traumatica. Da noi la repressione politica aumentava in nome dell’antiterrorismo: eravamo diventati un fragile gregge da proteggere, una massa di bambini produttivi che non hanno né il bisogno né la capacità di prendere delle decisioni al di fuori della loro sfera domestica e lavorativa. Solo che la casa e il lavoro, contenute come sono da sfere più grandi (il paese in cui viviamo, il suo governo, la politica internazionale), giravano a vuoto in cerca di un senso che in loro non riposa ma si produce, come una musica, nell’interazione con le sfere che le includono.
La famiglia diventava così un luogo di sopravvivenza asfittico, fatto di spesa, tragitti in macchina o nei mezzi di trasporto pieni di polizia, serate davanti agli schermi. Il lavoro, siccome l’economia andava male, era diventato un contesto pericoloso e molto competitivo; per i giovani una pura promessa di sfruttamento contro cui opporsi era impossibile, perché durante gli anni dell’anti-terrorismo tutte le manifestazioni di dissenso sociale erano state criminalizzate: per le strade doveva regnare l’ordine più assoluto nel quale sarebbe stato facile riconoscere i potenziali attentatori alla sicurezza di noi tutti.
Anche le conversazioni sul tempo che fa erano ormai velate da una paura quasi apocalittica, perché a causa del tipo di produzione che le industrie si ostinavano a non cambiare – nonostante gli studi, le prove scientifiche e gli allarmi degli specialisti – le stagioni si erano trasformate e non si capiva più in che periodo dell’anno ci si trovava.
Gli amici, se avevano un lavoro, erano talmente sfruttati che la sera si gettavano a letto col loro computer a rispondere alle mail o a mantenere delle amicizie fatte di lettere e fotografie spedite senza carta. Quelli che non avevano un lavoro non volevano più nulla e non avevano né i soldi né la forza per uscire di casa.
Persino gli stilisti d’alta moda e gli artisti di gran fama si suicidavano, ma i giornali trovavano sempre una spiegazione biografica e personale per questi atti. Un giorno un pilota di un aereo di linea decise di uccidere se stesso e tutto il suo equipaggio senza nessuna ragione: era depresso, disse il telegiornale.
I messaggi rassicuranti non mancavano mai; il mondo non era un posto terrorizzato, egoista, pericoloso, sovraccarico di solitudine e spazzatura, c’erano tante altre belle cose: i fiori, l’amore, i bambini, i gatti su youtube e oggetti straordinari nei negozi, compresi dei dispositivi elettronici con cui si può dimenticare la vita e comprare tutto quello che serve con un click.
Qualcuno nei paesi arabi intanto cercava ancora di ribellarsi alla dittatura, e se lo facevano, ci dicevamo, è che veramente stanno peggio di qui. La televisione chiamava queste rivolte «la primavera», come la stagione che era scomparsa dal calendario. Ma le insurrezioni si trasformavano in guerre e i criminali finivano spesso per riprendere il potere e sbarazzarsi dei rivoltosi nei modi peggiori. La Siria fu bombardata a tal punto che tutti i suoi ospedali erano sovraffollati, la gente era senza casa, i bambini, i giovani, i vecchi morivano, il sangue scorreva come un fiume in piena che presto ci avrebbe bagnato i piedi. Sembrava un massacro di un’altra era.
I sopravvissuti prendevano il mare e venivano da noi, a decine, a centinaia, a migliaia, volevano vivere, non sapevano ancora che da un pezzo qui non si vive più.
Non sapendo che fare di tutte queste persone disperate, ci si mise a costruire dei campi – e chi l’avrebbe mai detto che nel XXI secolo in Occidente si sarebbero costruiti di nuovo tanti campi per i rifugiati? Naturalmente, con la situazione che c’era da noi, gli stranieri che le onde non avevano ingoiato, arrivati esausti su imbarcazioni di fortuna, dopo aver sfiorato la morte, non erano accolti con compassione e ospitalità. La gente ne aveva anzi molta paura e alcuni governi chiesero loro persino di pagare per poter calpestare il loro suolo, come se le nazioni fossero degli alberghi. I paesi che non li volevano costruirono muri di filo spinato sotto i quali morivano anche conigli e caprioli ignari dei confini.
A questo punto un’ondata di nuovi attentati si produsse, malgrado le strade infestate da polizia e militari, malgrado la nostra prudenza, così ben assimilata che era diventata tristezza, centinaia di persone cominciarono a morire sotto i proiettili di assassini che non avevano neanche una rivendicazione o un progetto politico comprensibile, in nome di un dio esotico e certamente crudele. Molti morirono nell’esplosione di umani trasformati in bombe, che morendo facevano volare insieme a lame e chiodi, pezzi del loro corpo e dei loro organi, come succedeva spesso in Israele – e chi avrebbe pensato che sarebbe successo a un concerto a Parigi, nel metrò a Bruxelles, in aeroporto, allo stadio, in un bar?
Ancora una volta privati di libero arbitrio dallo stato d’eccezione ci sentivamo tornare bambini (anche se a fare a meno del senso della nostra vita ci eravamo un po’ abituati)
Mancava il senso di tutto questo e ancora una volta privati di libero arbitrio dallo stato d’eccezione ci sentivamo tornare bambini (anche se a fare a meno del senso della nostra vita ci eravamo un po’ abituati) e quando per esempio vietarono di manifestare a Parigi durante la conferenza mondiale sui cambiamenti climatici, tutti obbedirono a parte qualche gruppuscolo che fu spazzato via e messo in prigione. D’altronde perché manifestare se dicono che è pericoloso? Sapranno meglio loro, e poi chi siamo noi per voler decidere delle nostre vite e chiedere di non essere uccisi, noi e i nostri figli, dall’inquinamento? Mica possiamo cambiar vita o rinunciare a qualcosa. Come uomini primitivi, come fedeli di una vaga religione, le persone accendevano candele e portavano fiori ai morti degli attentati che veramente non c’entravano nulla con queste violenze mostruose e spesso erano giovani. Nelle foto delle vittime sui giornali alcune donne portavano in braccio dei bambini piccoli, sprofondati nella nebbia dei pixel. Che guerra volevano portarci a casa questi assassini? Quella sanguinaria che si combatteva lontano, creatrice di profughi e massacri, o quella sorda che vivevamo a casa nostra, che aveva tolto la gioia dai nostri occhi e cambiato le stagioni?
Siamo lo spettacolo della nostra vita per dei guardoni autorizzati
A ogni modo, mentre leggete queste righe il governo ne prende nota, Edward Snowden scrisse questa frase in un testo spedito dal suo esilio in Russia simultaneamente a diversi giornali al principio di giugno 2015 – uno dei mesi più aridi degli ultimi dieci anni. Snowden aveva rivelato due anni prima che tutti gli orifizi elettronici che usiamo per farci vedere, sono buchi della serratura da cui il governo ci spia. Insomma che forse siamo così soli perché soli davvero non lo siamo mai. Siamo lo spettacolo della nostra vita per dei guardoni autorizzati. Da allora doveva far vita clandestina perché rivelare questo tipo di verità costituiva una minaccia per lo Stato. Anche se lo scandalo era stato così grande che le leggi dovettero cambiare, lui restava ricercato: un pericolo per la democrazia.
Alcuni si dissero che poco importava essere sorvegliati se non si aveva nulla da nascondere. Ma non era tanto il fatto di essere sorvegliati che poneva problema morale, quanto quello di poterlo essere. Cosa cambia nel nostro comportamento quando il potere ci guarda? Che cos’è la vita privata per noi che abbiamo perso ogni vita pubblica? Ci si chiedeva. Per esempio il centro del panottico può essere vuoto, ma il sorvegliante osserva non visto, il suo potere sta nel poter a ogni istante guardare, non nel fare uso continuo di questo potere. Il panottico poi si trova in un luogo determinato, mentre la nostra attività telematica è ubiqua, il nostro telefono cellulare e il nostro computer portatile ci seguono ovunque, con i loro GPS che ci aiutano a trovare la strada e ci rendono reperibili, con le loro telecamere che ci fanno vedere e ci rendono visibili. Quel che di noi è registrato è nostro ma non ci appartiene, sono parole volate via su fogli di sconosciuti mentre le scrivevamo o rapite da orecchie indiscrete appena pronunciate.
L’infanzia potrebbe ridiventare una corsa verso la gioia, la giovinezza un’ebbrezza senza fine, la maturità il tempo della pace e della condivisione, la vecchiaia il tempo della riflessione, della contemplazione appassionata
Il fatto è che non si sorveglia un adulto, se non per punirlo quando contravviene alle regole. Nessuna sorveglianza, una volta usciti dal guado dell’infanzia, è una protezione. La sola cosa che potrebbe proteggerci sarebbe ricostruire la società, mettere il lavoro al servizio della vita, rifiutare la guerra, riprendersi le strade, riconoscere i passanti, parlare con la gente, vivere ogni momento e ogni stagione intensamente: l’infanzia potrebbe ridiventare una corsa verso la gioia, la giovinezza un’ebbrezza senza fine, la maturità il tempo della pace e della condivisione, la vecchiaia il tempo della riflessione, della contemplazione appassionata. Perché il tessuto della realtà è fatto di persone, non di cose, il mondo è fatto di pensieri e sentimenti, non di paura e di leggi speciali: le rivoluzioni inventano la libertà al posto della miseria, sconfiggono la paura, cambiano le leggi, la storia lo racconta.
Le democrazie avevano promesso di proteggere il diritto di dissentire e, in nome del male che altri ci fanno, ce ne hanno privato. Chiedetevi: se non vi fossero garantite la prigione e la miseria come contropartita di ogni protesta giusta, cosa fareste?
Se sentite un disagio mentre leggete queste righe, è perché sapete che forse il governo ne prende nota.
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