Nel freddo dell’astrazione
Una mostra alla Fondazione Menna di Roma
L’avventura di Antonio Passa nei territori dell’astrazione fredda nasce dalle ceneri dell’informale e attraversa gli habitat sotterranei del linguaggio pittorico per insinuarsi nelle sue cavità più profonde e analizzarne, con gli strumenti stessi del fare, gli elementi strutturali. Un viaggio avviato all’interno di un universo cromatico strettamente connesso alle proprie origini territoriali, che dal 1970 – anno della definitiva rinuncia alla rappresentazione in favore di un atteggiamento analitico di matrice metalinguistica – colloca l’artista nell’ambito della Nuova Pittura.
Allestita in collaborazione con l’Associazione FigurAzioni presso gli spazi della Fondazione Filiberto e Bianca Menna (via dei Monti di Pietralata 16, Roma), la mostra tutto Passa, in tre mesi si rivela un brillante progetto espositivo articolato in tre appuntamenti consecutivi a cadenza mensile, che offrono l’imperdibile occasione di entrare in contatto con l’universo artistico e intellettuale di un’artista seriale, che, come ricorda il curatore Antonello Tolve, concepisce il proprio fare come estroflessione del proprio pensiero razionale. Dopo un primo episodio pensato per raccontare le iniziali ricognizioni dell’artista nei territori dell’astrazione fredda – tra il 1969 e il 1979 Antonio Passa rivolge lo sguardo a «l’analisi di che cosa è la pittura» per prenderne coscienza nel momento stesso in cui dipinge, scandagliando le relazioni tra gli elementi minimi di senso del linguaggio pittorico – e all’indomani del secondo dedicato alle ricerche degli anni Ottanta e Novanta – caratterizzate da una investigazione mai paga, aperta alla detonazione contemporanea dei linguaggi artistici e al saccheggio glottologico della storia dell’arte – il terzo appuntamento, inaugurato lo scorso 21 giugno, raccoglie i più recenti sviluppi di un pensiero artistico agile e vivace, capace di reinventare, approfondire, sviluppare e rigenerare continuamente se stesso, senza mai tradirsi.
Il discorso avviato nel 2001 con Le coppie, come pure la destrutturazione ritmica del quadrato in sedici triangoli (suddivisi ulteriormente nelle quattro gamme cromatiche del giallo, del rosso, del verde e del blu), che sviluppandosi in altrettante tele ne ripercorrono il perimetro, ricostruendolo, testimoniano una modalità operativa che procede per cicli e si addentra nelle profondità della pittura, della storia dell’arte, della filosofia, dell’alchimia, della matematica, chiamando in causa i principi interni al pensiero umano e alla perfezione armonica espressa dal teorema di Pitagora.
Sono progetti che anticipano i successivi lavori di dimensioni monumentali, che nello spazio espositivo si affacciano l’uno verso l’altro senza oscurarsi. Installati rispettivamente alle pareti di sinistra e di destra, Il ritratto di Antonio e Tetraktis. Ritratto a tuttotondo di Pitagora, mostrano da un lato la rilettura in chiave analitica del genere pittorico del ritratto, ripensato come operazione algebrica e spartito musicale, le cui sessanta note concorrono a mostrare la sinfonia dei colori alla base dell’incarnato umano, e dall’altro una nuova declinazione formale giocata all’incrocio tra filosofia, matematica e pratica pittorica, in cui l’artista compone «una costruzione di due triangoli abbinati, di cui uno di essi è capovolto» formati da dieci tele circolari l’uno. L’ingresso della mostra è poi dominato da un’opera pentagonale appartenente al ciclo Stella pitagorica, avviato nel 2014 e ancora non ultimato, punto di fusione della matrice filosofica e matematica alla base di Tetraktis, dell’interesse per la perfezione formale legata all’armonia del tutto (e quindi alla sezione aurea), della sperimentazione sul materiale e della ricerca cromatica.
Come i precedenti episodi anche questo terzo appuntamento mantiene un’impaginazione espositiva triarticolata, con una piccola variazione sul tema: al fianco della sezione fotografica – aggiornata con immagini inedite che documentano il clima socioculturale legato all’ultima fase del percorso investigativo dell’artista, e al contempo il making of delle opere, mettendone in luce i retroscena – quella originariamente dedicata ai cataloghi e agli interventi critici viene sostituita dalle foto scattate nel corso delle prime due inaugurazioni, che, insieme ai testi curatoriali, sono testimonianza tangibile delle due precedenti mostre.
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