Fratello dello spazio
Un film su David Bowie
Non ha mai mentito quando ci diceva della sua vita su Marte. David Bowie, protagonista del documentario a lui dedicato, esplode in una libertà extratterestre durante lo scandito lisergico di Moonage Daydream, in giro da settembre come fosse il suo tour postumo, l’ancora vivo, il sempre vivo di quella voce che ha cresciuto i sogni di una moltitudine in fermento tra gli anni Settanta e il futuro.
Il regista è lo stesso che ha raccontato Kurt Cobain, si chiama Brett Morgen ed ha reincarnato il pensiero in divenire (ch-ch-ch-ch-changes) di questo artista che come essere umano è stato Bowie, nelle sue iconiche rappresentazioni. Per essere umano bisogna essere alieno, ci dice con Ziggy Sturdust e poi con le parole del dolcissimo sperduto Major Tom. Lascia la California per sperimentare a Berlino con Brian Eno, fa della ricerca l’unico orizzonte. Incarna l’esperimento di come si può usare una esistenza, di come la si può allargare e allungare e diramare fino a far sempre il tempo una menzogna, lo spazio pure.
Ci sono, dietro questa danza, i soliti traumi familiari, il deserto anaffettivo simile a quello attraversato da tantissimi figli della middle class thatcheriana, quando il rigore e l’espansione facevano dei sentimenti qualcosa di superfluo. La sua ribellione è intelligentissima: aderisce a sé stesso senza sapere chi è questo sé stesso. Si veste da sperimentatore continuo e indaga, si specializza in talenti extracurriculari. Bowie è stato la deterritorializzazione come condizione della conoscenza e, al contempo, la sua corporeità: spariglia la contraddizione e indaga con immenso vitalismo. I suoi viaggi, continui, servono lo scopo dello sradicamento per guardare le cose liberando gli occhi e il cuore e la mente e la musica da qualsiasi gabbia possibile.
La sua «alienazione» non è mai alienata, ci dice in questo monologo lunghissimo e interrotto da immagini e musica: «ci siamo presi, nel 1971, la responsabilità di costruire il XXI secolo. Senza paura, D’altronde come si può essere utili se si è arresi alla paura?».
Ed allora le sue canzoni si fanno metodo. Come la musica che ti porta altrove anche quando non capisci le parole. Quel viaggio non è fatto di comprensione a buon mercato, è esperienza di intelletto corporeo, di emotivo che si offre alla folla che canta, che ne incarna, involontariamente, la storia. Se c’è stato Bowie, si pensa durante il film, se c’è stato lui tutto può accadere. In questo la sua formidabile profezia.
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