Il sogno dell’opera d’arte totale
Hermann Nitsch al di là della pittura
Legato a una pittura attiva e a una teoria della formatività che converte la tela in arena, in spazio di partecipazione e di rivelazione, il lavoro di Hermann Nitsch (Vienna, 1938) è baluardo di un sogno, di una atmosfera che si inscrive sulla via maestra del Gesamtkunstwerk: e che richiama alla memoria i nomi brillanti di Karl Friedrich Eusebius Trahndorff, di Richard Wagner, di Kurt Schwitters.
A questo maestro del Wiener Aktionismus e al suo corpo della pittura, il CIAC di Foligno (Centro Italiano per l’Arte Contemporanea) propone, oggi, in collaborazione con la Fondazione Morra – Museo Archivio Laboratorio per le Arti Contemporanee Hermann Nitsch, un percorso curato da Italo Tomassoni e Peppe Morra (è grazie alla passione di Morra che nasce, a Napoli, il Museo Nitsch, «soggetto culturale attivo, impegnato nella riflessione critica e teorica attorno al grande artista austriaco») per disegnare un itinerario pungente che «raccoglie circa 40 opere, divise in 9 diversi cicli di lavori, realizzati tra il 1984 e il 2010 e allestite come fossero un’unica grande opera aperta».
Dall’Ultima cena (1987) al Glabregung (2007), da Die Eroberung Jerusalem (1971-2008) alle Tavole di colore (2008), per giungere via via alle varie stampe che disegnano The Architecture of the O.M. Theatre, Portfolio I (1984-87) e alle più recenti installazioni di relitti come 130.aktion (2010), questo nuovo appuntamento dedicato a Nitsch trasforma gli spazi del complesso architettonico di Foligno – un complesso nato, e vale sempre la pena ricordarlo, da un’idea di Getulio Alviani in collaborazione con Alberto Zanmatti (realizzato poi da Giancarlo Partenzi) –, in corpo pulsante, in opera d’arte totale che assorbe lo spettatore e lascia rivivere l’energia di un percorso che intreccia l’arte ai nuclei fragili della vita, della quotidianità.
Sul finire degli anni Cinquanta, dopo un’esperienza con la pittura, Nitsch elabora infatti un discorso differente che, pur partendo dalla pittura, si basa su una riflessione di natura teatrale. È in questo periodo (1957-60, più precisamente) che formula l’idea di un Teatro delle Orge e dei Misteri – Orgien Mysterien Theater – per progettare una strada totalizzante, una coniugazione dei sensi che va al di là della pittura, oltre gli steccati immobili della tela. «Fin da quando ho cominciato, nel 1958, a 20 anni, la cosa più importante è sempre stata quella di produrre un’opera che si svolgesse in tempo reale, in una situazione reale», ha avvisato l’artista in un’intervista rilasciata a chi scrive e a Eugenio Viola (invitato di recente dallo stesso Nitsch in Tasmania, al MONA Museum’s Dark Mofo festival, per l’evento Hermann Nitsch’s 150.Action). «Quello che mi interessava e che poi è la base del mio lavoro, è utilizzare contemporaneamente, in maniera sinestetica, tutti i sensi. La vista, il tatto, l’udito, l’olfatto e il gusto sono al centro di tutti i miei procedimenti, sin dall’origine».
Le sue azioni, veri e propri eventi liberatori legati alle trame psicanalitiche dell’Abreaktion (una sorta di catarsi, di affrancazione emotiva del trauma) e alla teoria dell’inconscio collettivo teorizzata da Carl Gustav Jung, sono già a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta terreno fertile che assume i vari valori del sentire per penetrare il vitale, creare una ritualità, una carica erotica capace di assolvere al compito di sacrificio inteso come «profondità dell’atto, del confronto diretto con la carne, le viscere e il sangue».
Con O.M T. Colore dal rito gli spazi del CIAC sono, sotto il colpo di una visione unificatrice, scenario di una scena volutamente oscena, di uno spettacolo che invita a guardare negli occhi l’origine dell’uomo e la sua innocenza: «nell’Orgien Mysterien Theater lo spettatore è un attore che partecipa. Si tratta di un rituale collettivo in cui tutte le persone sono coinvolte, anche le più giovani. Sono coinvolte attraverso tutti i sensi. Possono mangiare, vedere e bere. È un vero e proprio rituale collettivo e conviviale che invita all’innocenza».
Eccesso, sensualità, drammaticità, ritualità orgiastica, analisi logica delle religioni e delle filosofie, mitologia e alchimia, misteriosofia e liberazione dai recinti claustrofobici delle società contemporanee sono per Nitsch e per gli spettatori che attraversano il suo lavoro, parole d’ordine di un percorso fatto di sacrificio, di estasi, di passione, di resurrezione, di spazio e di tempo, di vita, di luce e di colore. «Nell’evoluzione della mia pittura il colore è diventato sostanza. La carne, il sangue, le viscere e le ossa sono importanti da un punto di vista cromatico. Rappresentano il sacrificio, l’estasi, la passione, la resurrezione. Inoltre è un simbolo di nutrimento, è una sostanza la cui assimilazione è necessaria al metabolismo. Poi c’è la questione della luce. Il colore si apre allo spazio della realtà e la luce appare, essa stessa, come realtà».
Hermann Nitsch – O.M.T. Colore dal Rito
a cura di Italo Tomassoni e Peppe Morra
Centro Italiano Arte Contemporanea – Foligno
Fino al 13 agosto
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