La città delle donne
Una mostra di Veronica Bisesti
«La nostra Città è costruita e completata. Voi tutte, che amate la virtù, la gloria e la lode, vi potrete essere accolte con i più grandi onori: è stata fondata e costruita per tutte le dame onorate, quelle del passato come del presente e del futuro. […]Così, […] possa questa Città essere un’occasione per voi di vivere onestamente, virtuose e umili»1. Siamo nel 1405 quando Christine de Pizan conclude La città delle Dame. È un’opera che ha dell’assurdo, un romanzo di fantasia che l’autrice compone a partire dalla sua contrarietà alla abituale descrizione letteraria della donna come animaletto vizioso da coltivare, ed al contempo, da cui tenersi a una certa distanza.
De Pizan, prima scrittrice donna della storia, attiva alla corte di Carlo V, maestra di bottega e manifestazione della più alta emancipazione femminile, parte da una presa di consapevolezza di sé per poter scrivere il suo romanzo visionario, divenuto, poi, materia di studio per le teorie transfemministe di questi ultimi anni. «Profondamente assorta in ciò io, che sono nata donna, presi a esaminare me stessa e la mia condotta, e allo stesso modo pensavo alle altre donne che avevo frequentato»2. In uno dei passaggi fondativi di tutta l’opera, l’autrice viene visitata da tre figure ultraterrene che si presentano come Ragione, Rettitudine e Giustizia, e l’aiutano nella costruzione di questa città immaginaria dedicata esclusivamente alle donne.
A raccontarmi per la prima volta di questo romanzo è stata Veronica Bisesti. In occasione della sua mostra Di fulmini, dame e altre storie, curata da LET_Laboratorio di Esplorazioni e realizzata al Madre all’interno del progetto Materia di Studios, in cui due artisti appartenenti a generazioni differenti vengono messi in dialogo dal collettivo curatoriale. In quello specifico caso l’attivazione di una dialettica era divenuta relazione empatica, una sorta di passaggio di testimone dalle mani di Mathelda Balatresi (1937) a Veronica Bisesti (1991), entrambe legate al filo della ricerca sul femminile, intrecciato alla mitologia e alla letteratura. In questo scambio a due voci, le artiste davano seguito al percorso iniziato da una negli anni Sessanta e proseguito oggi assieme all’altra. Si trattava di un viaggio tra sagome e ombre di figure femminili del passato, portatrici di istanze e poetiche che, con grande capacità, le artiste mantenevano vive attraverso il tempo, in una dimensione narrativa mista tra la magia e la sublimazione del reale.
Nella mostra inaugurata, successivamente, negli spazi di Alfonso Artiaco e intitolata Dove brulica l’altrove, Bisesti (stavolta sola) torna a cercare ispirazione nella scrittrice italo-francese di fine Trecento, per lavorare ancora più verticalmente sulle questioni legate al femminile attorno alle quali ruota la sua ricerca attuale. Qui si parte dal concetto di creazione che l’artista declina nella sua matrice intellettuale e poi fisica; la prima viene esplorata attraverso un lavoro ambientale che irradia il visitatore non appena varca la soglia della mostra. Infatti, sulla parete sinistra un wall painting assorbe la spazialità tutt’intorno attraverso l’immagine osmotica di una nebulosa.
Al centro di questo aggregato di materia interstellare dalle sfumature cobalto, come fosse sospesa, sta una minuta cornice con il ritratto della scrittrice Christine de Pizan, raffigurata nel suo studiolo in un momento di riflessione. Poco distante, un grande corallo in bronzo è posto su un trespolo sottile. Avvicinandosi, i singoli tentacoli si rivelano canne di telescopio puntate verso la sostanza amniotica stellare, metafora di una energia generativa costante. Nella sala successiva, come in una serie di fotogrammi in successione, l’opera Pioggia primordiale, restituisce l’orizzonte precedente da una prospettiva più umana. Un grande acquerello «documenta» una fitta pioggia di stelle, un evento epifanico atto a donare una nuova energia alla terra. Per una trasposizione alchemica, ritroveremo, poi, nella sala successiva, quei frammenti celesti come pietre luccicanti, disposte sul pavimento. Questi frammenti, nei quali, secondo la narrazione di Pizan, si incarna l’essenza delle grandi donne del passato diventano i pilastri di una nuova civiltà.
Man mano che ci addentriamo nelle sale della galleria, la figura di Bisesti sembra confondersi con quelle che aiutarono la scrittrice nel suo romanzo. Del resto l’artista napoletana fa rinascere una volta in più questa azione rivoluzionaria attraverso gli strumenti della sua ricerca artistica, attivando, grazie alle sue opere, le forze generatrici di questo spettacolo corale volto alla definizione di un nuovo mondo. Disegni e sculture continuano a scandire la narrazione di questo scenario trasversale al tempo, determinato da istanze nate all’inizio della civiltà moderna, eppure ancora altamente attuali e capaci di non farsi schiacciare dalla dinamica della lotta tra i generi, usando il potere della creazione per dare luogo a nuovi immaginari fondati sull’idea di condivisione e sorellanza. Una condivisione che in una serie di disegni, si lega alla figura della Madre Terra, generosa produttrice, con la quale il corpo femminile condivide similitudini e intenti.
La chiusura di questo grande racconto per immagini si manifesta attraverso un’inversione introspettiva, la posa di uno specchio. Una pietra di ossidiana, utilizzata dai primordi per riflettere la propria immagine, qui ci riconduce all’origine di tutto, calcando il parallelismo tra donna e natura. Un’incisione su di essa, riporta: «le venature, le interiora, il profondo, l’origine».
«Voi avete ormai diritto, mie dame, di rallegrarvi […] al vedere completata questa nuova città che potrà essere, se la conserverete bene, non solo rifugio per voi tutte, donne virtuose, ma anche difesa e vigilanza contro i vostri nemici e assalitori. La Città è stata costruita, come potete vedere, con i materiali della virtù, così rilucenti che voi tutte vi potete specchiare […]»3. L’impianto fiabesco che pervade il lavoro di Veronica Bisesti asseconda l’interessante capacità di sguardo e analisi dell’artista, che impegna il fruitore su diversi livelli di lettura, a seconda della profondità di cui si vuol godere. Gli esiti estetici, infatti, sono terminali di uno studio approfondito, a tratti ossessivo, di storture arcaiche e quotidiane provocazioni che l’artista, mediante un esercizio di grazia, trasforma in un ventaglio di nuove possibilità per la storia dell’umanità.
Ricreando un personale catalogo simbolista, Bisesti esprime la necessità di riappropriarsi della storia per tradurla in segno fantastico, usando in maniera originale il primo femminismo per svelare il contraltare di un corpo sociale frantumato e disfunzionale, incapace di leggere le sue meschine violenze ancora oggi. È con queste motivazioni che, liturgicamente, l’opera dell’artista evidenzia segni che aprono delle finestre di riflessione sulle relazioni umane e le molteplici contraddizioni al loro interno, creando momenti di riappropiazione – penso alle opere strumento di misurazione e 11’21’ – volti a sanare e ricucire, in un atto di cura prevalentemente femminile.
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