L’autonomia della Costiera

Per Giovanna

Sergo Scognamiglio
Sergio Scognamiglio, Senza titolo, via Costiera amalfitana 50.

Ma tu sei Alessandro Arienzo? Ci siamo conosciuti così con Giovanna, durante le lunghissime riunioni in una casa a piazza Verbano per preparare le giornate della Conferenza di Roma sul Comunismo del 2017, insieme alla mostra Sensibile comune / Le opere vive. Riunioni serie, dove si studiava, strutturate in gruppi e durate, se non ricordo male, un anno. Roba da militanti come si deve, insomma. E infatti poi sia la conferenza che la mostra, tra Esc e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, furono un successo. Non so perché Giovanna mi avesse scambiato per il professore, ma da lì iniziai a raccontarle il progetto al quale stavamo pensando, quello di una nuova rivista, senza soldi e senza mezzi, ma anche senza padroni. Una rivista nostra, una piccola nave pirata della quale sentivamo l’urgenza e il bisogno. E Giovanna di quella idea si innamorò subito, con entusiasmo, tanto da diventare, quando la cosa contro ogni previsione divenne concreta, una delle principali sostenitrici e animatrici di questa sgangherata avventura.

Quante telefonate, quante mail, quanti messaggi e quante litigate. Sì, perché non sempre andavamo d’accordo, ma non importa quando si è compagni, e Giovanna lo era. Ho conosciuto, con Giovanna, un mondo e un modo di essere militanti che andava a braccetto con la rivendicazione del lusso, per tutti, e della bellezza. Questo problema volgare dei soldi e del reddito lo risolveremo un giorno, ti ricordi quante volte lo abbiamo detto? Pensando a Totò in «Signori si nasce», ma quali soldi, ma allora è diventata una mania, una fissazione questa dei soldi! Saggezza del sud, dicevi, dove anche la povertà è dignitosa e ha una sua delicatezza.

Ora, tra le lacrime, ora che il possibile che diceva Deleuze sembra diminuire, ora che piove e il freddo ci gela le ossa, ora ricordo quella volta che mi raccontasti del furto del tuo motorino ai quartieri a Napoli e di come lo ritrovasti e di come chi te lo aveva sottratto ti avesse poi invitato a rimanere a pranzo con loro. Signorì volete favorire? È nu buono guaglione ma non trova una fatica… ma poi perché mai faticare, dicevi, quando anche arrangiarsi è un’arte che bisogna imparare. E allora le lacrime si mescolano al riso, a tutte le risate che ci siamo fatti insieme, insieme a tutti gli aperitivi che diventavano un’arma per combattere la miseria e la tristezza, contro la mancanza d’aria. Che poi, dicevi tu, era quello che facevamo con questa rivista. Chi lo sa. Chissà che un po’ di quella luce magica dell’estate in Costiera non torni ancora a illuminare queste vite dove non sembra vero che non arriverà più la tua pastiera. Ma chi l’ha fatta, Sveta o Mira? Io, l’ho fatta io! Non ti credo, ma che importanza ha, è buonissima lo stesso.

Una comunità fatta di luce, di doni, di amici che passano a trovarti, dicevi, e avevi ragione. Così è l’autonomia della Costiera, quella degli artisti e degli acrobati che si inventano una vita e dove la cosa più importante è stare insieme, a studiare Marx e magari a leggere il Vangelo. Come i gigli nei campi che vivono e non lavorano, così vogliamo essere, non è vero? Non è forse questo il comunismo che desideriamo? Dove questo problema della morte con cui abbiamo ancora a che fare, sarà veramente risolto. Quante volte lo abbiamo detto, ti ricordi?

Non mi ricordo quante volte mi hai dato buca e neanche quanti progetti, di tutti quelli immaginati e raccontati, sono rimasti in sospeso. Ora che sento il tuo carillon che suona l’Internazionale però, mi ricordo che sarebbe dovuta andare in un altro modo. Quando non ce l’avremmo fatta più e saremmo stati tutti troppo anziani per badare a noi stessi, saremmo stati tutti insieme nella nostra casa di risposo con i nostri capelli bianchi e senza denti. Ti ricordi?

Ora, tra le lacrime e il riso, rivedo Troisi che a distanza parla con il suo poeta: ho scritto una poesia, sono stato invitato a leggerla in pubblico, e anche se so che mi tremerà la voce sarò felice, e voi sentirete la gente che applaudirà quando sente il vostro nome. Li sentirai, Giovanna, i compagni che applaudiranno ogni volta che diremo e diranno il tuo nome, per dirti grazie per tutto quello che hai fatto per noi, e per dirti brava per questa vita che hai fatto.

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