Capri is revolution

Per Giovanna

Pellizza Da Volpedo Giuseppe- Prato fiorito (1000x999)
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Prato fiorito (1900-1903)

Giovanna sa a memoria la rosa dei venti in senso orario e contrario. Sa giocare con le parole e con gli specchi. Campo e controcampo insieme in una stessa immagine, la grazia dei suoi selfie come un quadro di Vermeer. Giovanna irrompe nelle nostre vite mentre prepariamo la conferenza internazionale in occasione del centenario della Rivoluzione d’Ottobre, chissà perché scegliamo l’orribile acronimo di C17. Lavoriamo a una sezione sul sensibile, seguiamo quella citazione di un Marx giovane oltre la divisione del lavoro: un giorno verrà in cui nessuno potrà dirsi artista o letterato, solo umani che dipingono, solo umani che scrivono. Con lei assembliamo una mostra, ci ospita la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, che è un’opera totale un po’ sgangherata fatta di eventi e installazioni, incontri e durata, rovistiamo nei depositi del museo e troviamo un Pellizza da Volpedo che è un prato fiorito, due bambini seduti sull’erba sul fondale di una siepe di biancospino.

Quella pittura di paesaggio, aurorale nei colori, dell’autore del Quarto Stato ci trasmette un senso di pace e unità. Non è una folla che avanza unita nella lotta, ma un tessuto sensibile di elementi diversi che stanno insieme in un quadro, una natura mite e sensuale che si espande oltre la cornice e che ci dà i margini per giocare con l’immaginazione, ed ecco i trifogli sotto i polpastrelli dei bimbi, la brezza, un’ape che ronza un po’ fastidiosa. Giovanna ha cercato con noi in questi anni una pista della politica fatta di sensi e percezione. Uno e più modi per cambiare il mondo standoci dentro, a partire dal posto che diamo alle cose con i nostri sensi, col nostro sguardo, aprendo e talvolta forzando un’allerta del possibile nell’esistente. Giovanna è stata una nostra compagna e amica non in una folla che avanza ma in un gruppo di divagatori incapace di farsi classe o partito e persino gruppo, ma capace di sentire qualcosa oltre il dato oggettivo dell’aridità delle relazioni sociali, delle nostre vite sempre irrisolte, delle valorizzazioni individuali esistenti.

Lì in quelle crepe di un tutto che non torna mai, tra le pieghe di una parola chiamata desiderio che non sai più dove collocare, si è piazzato quel dio sensibile che Giovanna insieme a noi sapeva esistere, fatto di palme e scorci marini, vini cosmici e gite al lago, vassoi rubati, risate con la erre, scritture, post di FB e meditazioni e, diciamocelo, lasagne immangiabili. Giovanna ha ben presente la massima goethiana «ricordati di vivere» e che per farlo non c’è strada morale né tracciato preesistente ma solo l’astuzia delle occasioni percepite lungo un cammino fatto di caso e contingenza, inventando una tecnica per dimenticarsi di sé e ricordarsi di darsi una presenza con la stessa luce di un prato fiorito.

Lì ci siamo incontrate, con altri, sempre sospettati di opportunismo e cinismo, spesso giudicati inetti nel costruire il fronte della nostra emancipazione, alle prese con malattie sorprendenti arrivate anche loro fuori tempo, attraverso cui impari che farsi un bidet può avere il sapore di un miracolo. How do you live? chiede il titolo del film di Miyazaki, che tradotto non dovrebbe essere il ragazzo e l’airone ma Come cazzo vivi? Una domanda che ci ha accomunato, esergo di ogni conversazione, sottotesto di ogni scrittura, neon cubitale di ogni incontro. Non sarà Goethe, ma indica la stessa questione. Ora Giovanna ride e mi sommerge di messaggi e poi mi chiama e non mi lascia parlare, fissiamo un appuntamento e poi lo disdice. Capri is revolution.

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