Aldiqua
L’immagine è donna?
Questioni di cinema o di femminismo? Genere, lotta e immagini in un focus su donne e immagini in movimento.
Tra le donne che non sono mai stata, ne esistono cinque, ben più coraggiose di me, che, in qualche grande film della storia del cinema, ebbero un’esistenza di celluloide. Tutte avevano, per così dire, del carattere. La prima era italiana. Anni dopo, in una delle scuole di teatro più prestigiose del paese, mi domandarono ogni mattina di imitare la sua corse folle verso l’uomo amato, appena catturato dalle SS. Ed è proprio questa corsa che la conduce nel bel mezzo del film a morire davanti agli occhi di suo figlio, e davanti alla spettatrice bambina che ero, stordita, atterrita da allora e per molti anni a venire…
Pina, come Pin, il ragazzino de Il sentiero dei nidi di Ragno, nome di partigiano, nome di combattente di guerra civile, in un’Italia in cui qualcuno si pentirà di aver reso le armi appena una generazione più tardi. Anna Magnani è dunque il nome di una donna che fa impallidire qualsiasi attrice francese, perché, con lo forza di un solo gesto, un solo sguardo, sfida e convoca a processo il mondo intero: per questo resta l’esempio fondamentale di una qualsiasi educazione sentimentale che si rispetti.
Se alle bambine di otto anni mostrassero più spesso le lacrime di Bellissima o la disperazione ostinata di Mamma Roma, la rivoluzione sarebbe già compiuta a metà: forse la Rai ne è cosciente, se è vero che al posto delle trilogie di Pasolini o Visconti, ci propone le ben più innocue dichiarazioni di Asia Argento.
“Chi era, Steve? Quella che ti ha lasciato con una così alta considerazione del genere femminile?” Lauren Becall conquistò con questa frase il cuore di Humphrey Bogard, e non quello soltanto. Con la provocazione che brilla nei suo occhi ci ricordò qualcosa: attraverso una semplice battuta, concentrato scoppiettante di seduzione e inganno, servita alla giusta temperatura, si può rimettere a posto anche il sex symbol maschile più universale che Hollywood abbia mai prodotto. Perché Hawks, pur giocando e servendo quei desiderio scopico che tanto tormenterà Laura Mulvey, dette comunque ad Afrodite la sua giusta dose di ombra e di luce, e la resurrezione non fu più una semplice questione di eresia gnostica.
Lauren Becall non è semplicemente sexy per un inconscio maschile, ella diventa desiderabile per una donna dentro e fuori il meccanismo mimetico, perché quando si tratta di rispondere a tono, è nel dominio più assoluto di sé stessa: ogni piccola contrazione muscolare del suo corpo risponde presente alla velocità della luce. A Napoli si direbbe che la signora è rispostera: ed è proprio questo tratto del suo personaggio che nei luoghi di potere non viene perdonato.
Tre decenni più tardi Barbara Loden, moglie e attrice feticcio di Elia Kazan, decise di non essere più oggetto dello sguardo, ma di diventarne il soggetto. Mise allora in scena sé stessa in Wanda, coi bigodini in testa mentre entra nell’aula di tribunale per assistere senza una lacrima o una parola, alla perdita della custodia dei figli. Non ci si lasci ingannare da questa passività apparentemente indifferente: una madre inadatta, una donna sconnessa, ma che porterà a spasso la sua non riconciliazione per le fredde strade della metropoli americana con un’abnegazione difficile da dimenticare. I suoi bigodini riassumono potentemente secoli di sottomissione e dolore, e ci fanno segno a ciò a cui noi, figlie di questo secolo stolto, abbiamo creduto di essere scampate.
Combattendo con un esercito di fantasmi, avevamo anche qualcun’altra al nostro fianco: Maria Falconetti, diretta dal più grande dei registi danesi, Carl Theodor Dreyer. Quando Maria alias Giovanna d’Arco, annienta i suoi giudici, l’attrice più amata della Nouvelle Vague, Anna Karina, non può che piangere. La frivolezza di certe grandes dames francesi ha forse origine in questo genere di personaggio: Odile/Patricia, che, nelle mani di Godard, hanno insegnato a stuoli di ragazzine a sorridere con charme, a danzare con grazia: essere bambole adorabili, ma, in ultima analisi, insignificanti.
Last but not least, Katherine Hepburn, in Susanna!, ci mostrò che l’intelligenza è sicuramente il talento più fecondo che una donna possa affinare. La classe infinita del suo incedere ci insegna a camminare in manifestazione come in spiaggia appena un passo più avanti dei nostri uomini, sicure del fatto che, per quanto possano correre veloce, non saranno mai abbastanza rapidi per raggiungerci, nella vita come nel pensiero.
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