Nel corpo del testo

Una mostra di Emilio Isgrò

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Emilio Isgrò Lettere, Casa Museo Centro Studi Osvaldo Licini (2018).

Paese natale di Osvaldo Licini, Monte Vidon Corrado è un piccolo borgo immerso nel paesaggio collinare fermano. Seppure lontano dai centri ufficiali dell’arte, il centro storico del paese custodisce la casa studio dove l’artista, a partire dal 1926, ha scelto di trascorrere la propria vita, segnata certo da frequenti viaggi, ma anche da un puntuale impegno civile nei confronti della propria comunità, di cui è anche stato – tra il 1946 e il 1956 – primo cittadino. Istituito nel 1986 su iniziativa del Comune per conservare, divulgare e valorizzare un’eredità unica e preziosa, il Centro Studi Osvaldo Licini ha avviato nel tempo un significativo lavoro di raccolta di documentazione e ha adottato una brillante politica di apertura al contemporaneo, rafforzando l’organizzazione e la promozione di imperdibili occasioni di studio, approfondimento e confronto.

È nella programmazione delle attività pensate per celebrare i sessant’anni dalla morte dell’artista marchigiano, che si inserisce Emilio Isgrò. Lettere: non una classica personale, ma una mostra che – come si legge nel testo redatto dai curatori Daniela Simoni (direttrice e presidentessa del Centro Studi) e Marco Bazzini – si propone di riflettere in maniera trasversale sulla presenza delle lettere nel lavoro dei due artisti, la cui distanza lessicale e semantica è viatico felice per disegnare nuove traiettorie del pensiero all’interno di una cornice espositiva straordinaria.

Proprio all’ingresso del Centro Studi accoglie il pubblico un elegante e delicato primo incontro tra i lavori dei due artisti, che prosegue poi nell’ala sinistra del pianterreno, dove la timidezza iniziale lascia il posto a un dialogo serrato sulla gestualità e sulle sue possibili declinazioni. Così Enciclopedia Treccani Vol. XX, Modello del dubbio permanente e Cancellatura a Elisa, si insinuano senza forzature nello spazio abitualmente riservato ai disegni di Osvaldo Licini, disposti parzialmente a parete e poi celati in cassetti che permettono di accedere a mondi frammentari tratteggiati su carta, abbozzati freneticamente quasi a non volerne perdere memoria.

Il percorso espositivo continua all’interno della vicina casa studio dell’artista marchigiano, dove nella stanza a destra dell’ingresso, accolto dal mobilio d’epoca, ha origine un sistema di richiami duplice e complesso, che elegge il grafema, la lettera, a proprio protagonista. Posizionato al centro della sala e aperto sulla lettera «m», il Grande Dizionario Enciclopedico di Emilio Isgrò, insieme a Lettera M appesa alla parete antistante, sembra dettare leggi a cui rispondono i due paesaggi marini di Osvaldo Licini. Contemporaneamente il carattere tipografico a stampa, strappato dal suo contesto quotidiano e isolato dal resto del testo, si collega istantaneamente a Merda e Personaggio su fondo giallo, in cui il gioco compositivo messo in campo da Licini trasforma ironicamente la sfera solare nella lettera «a» e la falce lunare nella «c».

Una scalinata permette infine di accedere agli ultimi due ambienti espositivi, il primo piano e la cantina, dove il dialogo, pur rimanendo presente, abbassa i toni per lasciare il posto a una riflessione sul lavoro dei singoli artisti. Al livello superiore, l’estrema cura nel restauro delle stanze e delle pitture parietali, come pure l’attento studio delle fotografie d’epoca e delle documentazioni scritte, garantiscono l’ineccepibile ricostruzione filologica degli spazi, che, grazie alle donazioni degli eredi e alla costante collaborazione con privati ed enti pubblici, catapultano lo spettatore indietro nel tempo: dalla cucina alla sala, dalla camera da letto dipinta in stile costruttivista, allo studio con un piano di lavoro apparecchiato con gli strumenti stessi del fare pittura, fino alla scala che conduce al tetto dell’abitazione, da cui Osvaldo Licini era solito parlare alla luna.

Nonostante si continui a respirare la presenza dell’artista in tutti gli angoli dell’abitazione, la cantina, luogo in origine deputato al lavoro sull’impasto cromatico, ospita un’importante e inconsueta selezione di opere di Emilio Isgrò. Accanto a lavori maggiormente conosciuti, relativi alla riflessione che ha accompagnato l’artista nel corso degli anni Settanta come Acero, La Q di Hegel, Numero, Storia rossa, Immaginare di Händel e Annarita, sono esposte opere di più recente produzione tra cui il libro d’arte Formiche veneziane, la scultura in fiberglass Castore e Polluce e due lavori realizzati appositamente per l’occasione in cui centinaia di formiche si affollano in punti ben precisi dello spazio per comporre le iniziali dell’artista scomparso.

La mostra, visitabile fino al 4 novembre e nata grazie a una collaborazione tra il Centro Studi Osvaldo Licini e l’Archivio Isgrò, è parte integrante di un più ambizioso progetto che, se nel breve termine prevede un ulteriore incontro autunnale, si propone a più ampio raggio di trasformare il piccolo borgo marchigiano in un polo culturale di rilevanza nazionale, aperto e attento ai più luminosi sviluppi dell’arte contemporanea.

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