Pantere nere

Storia e politica del Black Panther Party

BlackPanterParty

Pubblichiamo qui l’Introduzione a «Pantere nere, America bianca», un libro di Walter Bruno Toscano, appena pubblicato dalle edizioni ombre corte, che ripercorre la storia e l’ideologia del Black Panther Party. Il Partito delle Pantere nere, celebre per la difesa in armi della comunità afroamericana dalla violenza della polizia e simbolo del lungo Sessantotto, per molto tempo è stato considerato dai media e dalle autorità statunitensi al pari di un gruppo terroristico o criminale. Esso fu invece un’organizzazione dalle numerose sfaccettature, capace di mobilitare attivisti contro i paradossi del sistema capitalista statunitense e di denunciare l’emarginazione delle minoranze. Ringraziamo l’autore e l’editore per la disponibilità. 

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Il 25 maggio 2020 a Minneapolis, l’afroamericano George Floyd, segnalato alla polizia dall’esercente del negozio Cups Foods perché sospettato di avere acquistato un pacchetto di sigarette con venti dollari contraffatti, venne bloccato a terra con un ginocchio sul collo dall’agente di polizia Derek Chauvin. Floyd ripeté almeno sedici volte I can’t breathe (Non riesco a respirare), chiedendo a Chauvin di lasciarlo andare. Dopo oltre nove minuti di pressione dell’agente sul collo, Floyd venne ucciso. In meno di quarantotto ore Minneapolis esplose in una delle rivolte razziali più violente della storia della città, che si diffuse a macchia di leopardo in tutti gli Stati Uniti.

A partire da quel tragico evento a emergere fu la continuità storica dello stato di emarginazione economica degli afroamericani e la brutalità della polizia che coinvolse non soltanto la città di Minneapolis, ma anche città come New York, San Francisco e Louisville. Il clamore suscitato dall’omicidio di Floyd indusse a denun- ciare numerose violenze precedenti da parte della polizia a danno degli afroamericani tra cui l’omicidio di Breonna Taylor, uccisa il 13 marzo 2020 a Louisville (Kentucky) durante una perquisizione in casa. Il nome di Breonna si unì alla lunga lista di afroamericani uccisi dalla polizia e il I can’t breathe pronunciato da Floyd accorciò simbolicamente le distanze tra il 2020 e il 2014, quando a pronunciare quelle parole era stato un altro afroamericano, Eric Garner, soffocato a morte dall’agente del New York City Police Department, Daniel Pantaleo. Nonostante gli afroamericani siano il 13% della popolazione statunitense, essi rappresentano il 24% delle vittime totali per mano della polizia.

Per molti la morte di Floyd e la rivolta di Minneapolis portarono indietro le lancette dell’orologio ben oltre l’anno della morte di Garner e ancora oltre la nascita nel 2013 di Black Lives Matter (BLM) successiva all’assoluzione dell’assassino di Trayvon Martin. La violenza della polizia, gli incendi e le vetrine spaccate, unite al linguaggio dell’allora presidente Donald Trump richiamatosi al “law and order” di eredità nixoniana, ebbero come effetto, per alcuni manifestanti e commentatori, di guardare al 2020 come a un ritorno agli anni Sessanta, quando le rivolte razziali raggiunsero il proprio apice guidando l’orientamento di numerosi movimenti politici.

Come nel caso di questo libro, l’omicidio Floyd e quello che ne è conseguito ha reso necessaria una riflessione circa le idee dei movimenti politici che hanno lottato contro la violenza della polizia negli Stati Uniti, dando la possibilità di poter analizzare la profondità storica degli eventi del 2020. Ciò è valso anche per la società civile statunitense, la quale è riuscita a rendere simbolicamente attuale la storia di una delle organizzazioni che più di altre si è impressa nella storia e nell’immaginario politico degli Stati Uniti: il Black Panther Party (BPP). Il BPP fu una organizzazione afroamericana nata nel 1966 a Oakland per opera di Huey P. Newton e Bobby Seale, con lo scopo di difendere la comunità Nera dalla brutalità della polizia. Armati di fucili e codici di legge, le Pantere pattugliarono le strade della città per disincentivare gli agenti a usare violenza verso gli afroamericani, diventando in poco tempo una organizzazione facilmente replicabile in tutti gli Stati Uniti.

In questo senso, diventa chiaro come alcuni attivisti abbiano trovato delle congiunzioni simboliche tra il modello politico del BPP e la sua insistenza per la difesa armata della comunità Nera e la contemporaneità statunitense, in cui una polizia sempre più militarizzata ha ucciso 462 persone tra afroamericani, latini e nativi nel 20206. Ad esempio, il 7 giugno dello stesso anno, durante una manifestazione a Los Angeles organizzata da BLM per sostenere la campagna Defund the Police, alcune organizzazioni pianificarono una discussione pubblica accanto alla tomba di Alprentice ‘Bun- chy’ Carter, Pantera Nera uccisa nel 1969 da membri della United Slaves (Us), una organizzazione nazionalista afroamericana, a causa di attriti fomentati da una lunga operazione di infiltrazione nei movimenti radicali afroamericani dell’FBI. Il parallelismo tra Floyd e Carter non appare qui un caso: a diventare simbolicamen te rilevante per i manifestanti era l’immanenza della violenza da parte del braccio armato dello stato a danno degli afroamericani, accorciando le distanze tra gli anni Sessanta e il 2020. Ma non solo. Il Black Panther Party rappresentava quell’organizzazione politica che dalle macerie delle rivolte razziali della metà degli anni Sessanta era stata capace di unire sotto i propri vessilli centinaia e centi- naia di afroamericani, bianchi, latini e membri di altre minoranze in tutti gli Stati Uniti, sottolineando come il razzismo negli Stati Uniti andasse di pari passo con le disuguaglianze economiche. Anche le proteste generate dall’omicidio Floyd hanno fatto emergere una partecipazione composita e razzialmente eterogenea in tutti gli Stati Uniti, un “mosaico” come l’ha definito Bruno Cartosio. La conflittualità generatasi a seguito degli eventi del 25 maggio sottolinea chiaramente una dimensione di discriminazione razziale, ma anche di classe. Nell’anno del Covid-19, la pandemia ha colpito maggiormente i lavoratori indispensabili appartenenti a classi di reddito basso, occupate nella maggior parte dei casi dalle minoranze. Non è quindi un caso che il 22% della popolazione nazionale che ha contratto il Covid nel 2020 sia rappresentata da afroamericani e che il 23% di essi sia morta a causa della pandemia. “A ucciderci o è il Covid o la polizia o l’economia”, disse ai giornalisti l’assistente sociale Priscilla Borkor in occasione di una tra le prime proteste per l’omicidio Floyd.

In generale, negli anni si è assistito all’appropriazione del Black Panther Party da parte del mondo della cultura pop che ha spes- so depoliticizzato o romanticizzato la sua eredità a vantaggio del mantenimento di una estetica spendibile sul mercato dei consumi dei media. Per esempio, la cantante afroamericana Beyoncé al cinquantesimo Super Bowl del 2016 decise di cantare indossare una divisa molto simile a quella usata dalle Pantere Nere sulle note di Formation. Gli eventi del 2020 hanno però posto un confronto diretto tra la società civile e la storia dell’organizzazione, vista come riferimento storico e politico per la lotta contro la violenza della polizia.

Le Pantere Nere ancora in vita non rimasero certo in silenzio di fronte all’omicidio Floyd: in una lettera aperta del 10 giugno 2020 firmata da diciassette membri dell’organizzazione, gli ex- militanti chiesero alle icone Hip Hop afroamericane di rendersi portavoce di una rinnovata lotta contro il razzismo negli Stati Uniti, di diventare un megafono per il radicalismo politico di molti afroamericani.

È nostro dovere – recitava la lettera – […] trasmettere lezioni, saggezza, conoscenza ed esperienze alla prossima generazione di combattenti per la libertà, di lavoratori nel settore culturale e di attivisti. In questo modo un popolo oppresso può resistere alla dominazione da una gene- razione all›altra senza ripetere i fallimenti, le insidie o gli errori di quella precedente.

Quella che si è registrata nel 2020 è stata una dinamica simile a quella denunciata dal 2017 dallo storico Cedric Johnson, ovvero una “nostalgia per il Black Power” da parte della società civile, delle organizzazioni progressiste e del mondo accademico, ovve-ro la convinzione di dover ricreare dei modelli politici che si rifacessero a quello della “lotta politica etnica nera” parte del milieu del Black Power degli anni Sessanta, dimenticando però sia le sue “origini storiche” sia i “suoi limiti”, estraendo le Pantere dal proprio contesto storico.

Ma chi furono le Pantere Nere e qual è la loro storia? Questo libro nasce dall’esigenza di ricostruire la storia del Black Panther Party facendo riferimento alle loro origini, alle loro ideologie e ai limiti di una organizzazione che è riuscita a imprimersi nelle menti della società civile statunitense e internazionale. Considerati “teppisti, terroristi e folli assassini” da molti, le Pantere fecero parte di una organizzazione estremamente sfaccettata, sorta nel tumulto del movimento del Black Power negli anni Sessanta e che ha attraversato un continuo processo di cambiamento politico e ideologico.

Le ricerche storiche sul tema

Le ricerche accademiche sul Partito delle Pantere Nere vanno collocate in un progressivo ripensamento del movimento del Black Power, quest’ultimo strettamente legato alla nascita del BPP. Una volta nato il Black Power negli anni Sessanta si assistette a una sua demonizzazione da parte dei media e degli attivisti del movimento per i diritti civili, i quali lo descrissero come violento, razzista e un fallimento per l’integrazione razziale sognata da Martin Luther King Jr. Superato il periodo in cui furono i militanti a parlare del Black Power attraverso le proprie autobiografie, fino agli anni Novanta non si assistette a una vera e propria riconsiderazione scientifica del movimento. Molto dipese dall’analisi posteriori degli anni Sessanta negli Stati Uniti, spesso intrappolata nella dicotomia “Good Sixties/ Bad Sixties” (i buoni/ i cattivi anni Sessanta) ovvero la tendenza a identificare la prima metà del decennio come un periodo politicamente florido segnato dai successi del movimento per i diritti civili e la seconda metà come periodo di segno negativo, contraddistintasi per la tendenza distruttiva, individualista e violenta dei movimenti politici. Il Black Power venne quindi bollato come parte di quei “cattivi anni Sessanta” ed etichettato con connotazioni negative.

La prima vera e prima opera di ripensamento del movimento fu quella di William L. Van Deburg, New Day in Babylon (1995), seguita da Jeffrey O.G. Ogbar, Black Power: Radical Politics and African American Identity (2004)19. Nel 2006 è stato invece Peniel E. Joseph che, curando la collettanea The Black Power Movement, ha dato inizio a un nuovo trend di studi da lui definito Long Black Power Movement che non separa nettamente la nascita del movimento da quello per i diritti civili ma che piuttosto ha il merito di essersi focalizzato sulle continuità anziché sulle fratture. Sempre Peniel Joseph, ha poi arricchito la storia del movimento del Black Power in una monografia, ovvero Waiting ‘Til The Midnight Hour (2006). L’andamento delle ricerche storiche sul Black Panther Party non fece eccezione, giacché anch’esse parte di questo pro- cesso progressivo di rivalutazione del movimento del Black Power e, di conseguenza, di ripensamento accademico sul Partito.

Almeno inizialmente furono gli stessi membri a diventare sto- rici di se stessi, pubblicando una serie di autobiografie, discorsi e storie del Partito delle Pantere che, insieme alla pubblicazione dell’organo del Partito, “The Black Panther”, crearono un mito delle Pantere in tutto lo scenario dei movimenti della new left statunitense. A contribuire a questo mito furono soprattutto i giornalisti che descrissero le Pantere Nere con accezione estremamente positiva o estremamente negativa. Chiaramente, le ricostruzioni delle Pantere rappresentano dei limiti evidenti: gli ex attivisti spesso tratteggiarono in maniera strumentale la storia dell’organizzazione come il risultato del dispotismo di Huey P. Newton e David Hilliard, altra figura di spicco del Partito, in un periodo in cui gli infiltrati dell’FBI avevano contribuito a danneggiare la coesione del BPP e il partito si spaccò tra chi sostenne un percorso violento da attuare negli Stati Uniti e chi, invece, rese la politica elettorale l’elemento centrale del Partito.

A distanza di pochi anni dalla morte di Huey Newton, nel 1994 venne pubblicata l’opera dello scrittore afroamericano Hugh Pearson che ridusse la storia di Huey Newton a quella di un criminale dipendente dalle droghe pesanti, costantemente diviso tra una forza distruttrice e una creatrice. In parte gli fecero eco le autobio- grafie della Pantera Elaine Brown (1992) e quella di David Hilliard (1993): mentre la prima evidenziò il maschilismo imperante del Partito e la lotta di una donna Nera nel gestire un Partito in crisi, il secondo descrisse il BPP come una gang criminale. Eccezione fu il saggio di Manning Marable del 1989, primo segno di un’attenzione da parte di storici e scienziati sociali che ricostruirono la storia delle Pantere Nere, andando al di là delle ricostruzioni faziose e parziali. In questo senso, l’opera principale che si diresse verso una più approfondita analisi del BPP fu The Black Panther Party [Reconsidered] curato da Charles E. Jones (1998), seguita da Liberation, Imagination, and The Black Panther Party di Kathleen Cleaver e George Katsiaficas (2001). In entrambe le opere molta attenzione venne posta sulla repressione dell’FBI e sui problemi interni ed esterni al Partito. Dall’inizio degli anni duemila si assistette a una terza fase, con la pubblicazione di molte autobiografie da parte delle Pantere Nere che fecero il paio con altre pubblicazioni accademiche che diedero rilievo alle complesse realtà locali del Partito, alle questioni di genere, alle relazioni internazionali o alle connessioni tra il BPP e altre organizzazioni radicali che si po- nevano alle origini del Partito.

A questi studi se ne unirono altri che esaminarono la storia del Partito a partire dall’estetica e dalla cultura politica del Partito e dai media che coprirono le notizie relative al BPP30. In generale, a segnare un cambiamento di tendenza nelle ricerche storiche sul tema è stata l’acquisizione della Dr. Huey P. Newton Foundation Inc. collection nel 1998 da parte della Cecil H. Green Library dell’Università di Stanford. Nonostante la collezione archivistica si presenti estremamente frammentaria – concentrata prevalentemente sulla storia del Partito dopo gli anni Settanta – essa ha reso possibile per gli storici comprendere i meccanismi di funzionamento interni all’organizzazione, la relazione con altre sezioni di Partito e con altri paesi. Negli gli studi più recenti, oltre ad avvalersi della Dr. Huey P. Newton collection, gli studiosi hanno poi spesso fatto ricorso alla storia orale per sopperire alla fram- mentarietà delle fonti d’archivio. L’opera probabilmente più com- pleta e che ha segnato una svolta in queste ricerche è Black Against Empire (2013) del sociologo Joshua Bloom e dello storico Wald E. Martin Jr., che ha ricostruito la storia del BPP partendo da quella del Comitato Centrale – ovvero il nucleo organizzativo e politico del Black Panther Party composto dai fondatori e da altre figure di spicco – non mancando di analizzare anche lo sviluppo delle sezioni locali, il rapporto tra il Partito e le altre organizzazioni, così come gli elementi politici che determinarono la fine al Partito delle Pantere Nere.

In questo lungo percorso storiografico in cui la ricostruzione di Pearson è stata rifiutata, dando spazio a ricerche di ampio respiro sulle Pantere Nere, si è assistito alla pubblicazione di opere accademiche sul Black Panther Party anche in Europa. Esclusa la traduzione delle autobiografie delle figure chiave del Partito delle Pantere Nere, sono state recentemente pubblicate alcune ricerche originali in Francia e Germania. In Italia l’attenzione accademica per il movimento per le Pantere Nere fu coeva alla storia dell’organizzazione stessa. Il primo fu Roberto Giammanco, che nel 1967 pubblicò Black Power. Potere Negro, a cui lo storico aggiunse un’analisi delle Pantere Nere nella seconda edizione del 1968. In seguito, fu Massimo Teodori nel 1970 ad analizzare la storia del BPP all’interno della più vasta storia della new left statunitense. Infine, Alberto Martinelli e Alessandro Cavalli pubblicarono Il Black Panther Party nel 1971, un’antologia di discorsi e scritti di figure di spicco del Partito curata dai due autori. La prima monografia dedicata alle Pantere Nere è quella di Paolo Bertella Farnetti, pubblicata nel 1995 per la casa editrice Shake e recentemente ampliata per le edizioni Mimesis. Ciononostante, anche a fronte dei numerosi studi sul Sessantotto negli Stati Uniti, le Pantere Nere rimangono ancora un oggetto di studi marginale negli studi americanistici del nostro paese, i quali spesso non si sono confrontati con la letteratura più recente e con le fonti d’archivio relative all’organizzazione.

A venire meno nelle ricerche internazionali sul tema è, invece, l’analisi del rapporto ideologico tra le figure principali del Partito e come anche a partire da questo complesso rapporto siano dipesi lo sviluppo e il crollo del Black Panther Party. Eccezion fatta per l’opera di Judson L. Jeffries Huey P. Newton: The Radical Theorist (2002) e le ricerche di Paul Alkebulan, le questioni ideologiche sono state spesso accantonate e ridotte a mero riflesso di una organizzazione perennemente in crisi.

Al contrario, ciò che in questo libro si sostiene è che il confronto tra le differenti posizioni ideologiche dei leader dell’orga- nizzazione appare centrale per comprendere gli sviluppi del Partito delle Pantere Nere dalla fondazione al crollo. In particolare, centrale risulta il complesso rapporto tra razza e classe alimentato dalle influenze del marxismo-leninismo e dal nazionalismo Nero nel Partito, che contribuì ad aprire o a chiudere il BPP alle altre organizzazioni della nuova sinistra statunitense. Tuttavia, le diverse posizioni ideologiche che animarono il BPP si rivelarono fatali per la tenuta del partito.

Questo libro è stato scritto a seguito di una serie di ricerche d’archivio da me condotte in California nel 2018. In particolare, sono stati consultati gli Eldridge Cleaver Papers, 1963-1988 depositati alla Bancroft Library della University of California – Berkeley e la Dr. Huey P. Newton Foundation Inc. collection, 1968 -1994. Allo studio di entrambe le collezioni è stato poi associato lo spoglio completo del The Black Panther. Black Community News Service/ Intercommunal News Service conservato integralmente presso l’African American Museum and Library di Oakland. Grazie alla collaborazione di alcuni archivisti, per il presente volume sono stati poi consultati i documenti audio e video parte dei Kathleen Cleaver papers, 1900-2019 – contenuti presso la Rose Library della Emory University – e i Black Panther Party Harlem Branch files 1969-1970 posseduti dallo Schomburg Center for Research in Black Culture di New York. Oltre ai documenti scritti e collezio- nati dai protagonisti di questo libro, ho poi consultato i documenti del Federal Bureau of Investigation (FBI) relativi al Black Panther Party, a Huey P. Newton e a Eldridge Cleaver, interamente digitalizzati e disponibili online. In aggiunta, ho fatto ricorso alle risorse digitali del Wilson Center – Digital Archive relativi al rapporto tra Eldridge Cleaver e la Corea del Nord. Non irrilevante è stato l’aiuto ottenuto da alcune Pantere con cui ho avuto modo di scambiare un proficuo dialogo, tra cui Bobby Seale – che ha risposto a molte mie domande durante una conferenza pubblica svoltasi a Berkeley nel 2018 – Roberta Alexander e Tolbert Small.

I temi

Con l’obiettivo di ricostruire la storia del Partito delle Pantere Nere dalle origini fino allo scioglimento, la scelta è stata di divide- re il libro in quattro diversi capitoli diacronici. Stabilita l’impossi- bilità da parte di una singola opera di racchiudere completamente la storia del Partito delle Pantere Nere, si è scelto di focalizzare l’attenzione principalmente sulla formazione e sugli sviluppi del Comitato Centrale del Black Panther Party. È infatti opinione dell’autore che, esclusa un’analisi dettagliata delle singole sezioni e del loro rapporto con la sezione nazionale, l’unico modo per comprendere lo sviluppo ideologico complessivo del Partito sia quello di volgere lo sguardo al Comitato Centrale, focalizzando l’attenzione soprattutto su Huey P. Newton ed Eldridge Cleaver.

Il primo capitolo è volto a descrivere in maniera approfondita il contesto entro cui si inserisce il Black Panther Party, ovvero l’influenza del nazionalismo Nero e la nascita del movimento del Black Power. In particolare, si indicano gli eventi del 1965 quali elementi di snodo per la formazione di una nuova coscienza po- litica per i giovani afroamericani che avevano preso parte al Civil Rights Movement. In linea con gli studi di Peniel Joseph sul Long Black Power Movement, si è cercato però di guardare alla long history del Partito, descrivendo quel percorso che ha spinto i giovani afroamericani dal nazionalismo Nero verso il Black Power. Nel primo capitolo viene quindi descritta la radicalizzazione della Bay Area, la zona geografica che coinvolge le città di San Francisco, Oakland e Berkeley dove ha avuto origine il Black Panther Party for Self-Defense (poi Black Panther Party). Oltre all’influenza di Malcolm X, è stato sottolineata l’importanza di Frantz Fanon e James Boggs per la formazione politica dei due attivisti. Stessa attenzione è stata rivolta alla radicalizzazione politica dell’altra figura importante per comprendere l’evoluzione ideologica del BPP, ovvero Eldridge Cleaver. Infine, analizzando il Ten Point Program – il testo organizzativo delle Pantere Nere – e i primi scritti di Newton, si è cercato di illustrare in che modo le Pantere abbiano tentato di coniugare diverse posizioni ideologiche che avevano influenzato i due fondatori del Partito delle Pantere Nere e Cleaver.

Nel secondo capitolo viene analizzata la profonda influenza di Eldridge Cleaver nel Partito successiva all’incarcerazione di Huey P. Newton, accusato dell’omicidio di un poliziotto. Fu infatti Cleaver ad aprire il Partito ad alleanze con la nuova sinistra bianca e ad avvicinare il Black Panther Party – inizialmente Black Panther Party for Self Defense – verso una linea ideologica sempre più marcatamente marxista-leninista. In questo senso, è stato indicato il Rally Free Huey! del 17 febbraio 1968, come manifestazione esplicita delle differenze interne al movimento del Black Power. In particolare, attraverso l’analisi del libro Black Power di Stokely Carmichael – figura di spicco del movimento – del 1967 e il discorso pronunciato durante il Rally, si evidenzia come la linea del colore ma anche quella di classe abbiano reso incompatibili due componenti importantissime del movimento del Black Power. Mentre Carmichael, infatti, decise di allontanarsi dal marxismo e rifiutò le alleanze con i bianchi, Cleaver e le Pantere Nere operarono verso un’altra direzione. Ideologicamente, nonostante il lin- guaggio violento di Cleaver e di altre Pantere, il Partito dimostrò di portare avanti una linea politica tesa a creare legami politici con più organizzazioni facendo ricorso al pensiero marxista-leninista e agli strumenti legali di cambiamento disponibili negli Stati Uniti – tra cui anche il voto. In tal senso, si è scelto di sottolineare la vicinanza tra alcune posizioni del Partito delle Pantere Nere e l’ultima campagna di Martin Luther King Jr., la Poor People’s Campaign, per rendere esplicito come, da posizioni diverse, sia il leader della nonviolenza sia il Black Panther Party for Self Defense abbiano sottolineato le contraddizioni tra un paese ricco, attivo nella guerra in Vietnam, e la presenza di una enorme fascia della popolazione in stato di povertà.

L’ideologia del Partito maturò progressivamente dall’incontro tra la figura di Newton e quella di Cleaver, resa particolarmente difficile dalla crescita esponenziale del BPP al livello nazionale. A seguito dall’assassinio di King, infatti, nacquero, spesso spontaneamente, varie sezioni del Partito dalla California a New York.

Per cercare di risolvere questo processo di espansione, il Partito rafforzò il Comitato Centrale insistendo sul marxismo-leninismo e sul ruolo del partito d’avanguardia per controllare i chapter. Senza pretesa di esaustività, ciò che si suggerisce è che, nonostante la crisi dettata dalla repressione della polizia a carico di figure di spicco del Partito, è chiaro come il Comitato Centrale sia riuscito a influenzare ideologicamente e politicamente le singole sezioni locali, sia mandando rappresentanti in alcune città, sia attraverso la circolazione di “The Black Panther”. Tuttavia, tale influenza non va vista come un modello funzionante in maniera capillare, e il Comitato Centrale non riuscì mai a controllare contemporaneamente ed efficacemente tutte le sezioni.

A fare da spartiacque per la storia delle Pantere furono gli eventi del 1969, come si sostiene nel terzo capitolo. Fino ad allora, infatti, le posizioni ideologiche all’interno del Comitato Centrale furono più o meno coese, così come lo furono le relazioni tra la sezione nazionale, gli altri chapter e altre organizzazioni radicali. Ma con la repressione della polizia e l’infiltrazione dell’FBI in quell’anno, le cose cambiarono. Le Pantere Nere organizzarono le colazioni gratuite e i servizi comunitari per rispondere sia al problema dell’accesso al welfare da parte della comunità Nera, sia al Black Capitalism supportato da alcune organizzazioni afroamericane e dall’amministrazione Nixon. Al contempo, le colazioni gratuite divennero il mezzo attraverso cui fu possibile ottenere il sostegno della società civile e diffondere un modello replicabile in tutte le sezioni garantendo – almeno ideologicamente – una linea comune tra tutti i chapter: il BPP esisteva per servire la comunità. Anche grazie al sostegno manifestato da altre organizzazioni, si sottolinea come il BPP abbia cercato di diventare egemone nello scenario della nuova sinistra sta- tunitense, convinta di poter diventare un partito d’avanguardia per tutto il movimento. In particolare, ciò risulta chiaro analizzando i successi e gli insuccessi dell’United Front Against Fascism (UfAf) che si tenne a Oakland dal 18 al 21 luglio. L’UfAf fu un fronte politico interrazziale e ideologicamente anticapitalista che promosse la diffusione delle petizioni per il controllo comunitario della polizia – agenti afroamericani per la comunità Nera, agenti bianchi per la comunità bianca – ma spinse anche per rendere il Partito la punta di diamante dei movimenti e delle organizzazioni marxista-leniniste. A impedirlo fu da una parte la fragilità della new left bianca e dall’altra anche il problema del maschilismo nel BPP.

Soprattutto per la componente del maschilismo, una parte del capitolo è dedicata a un’analisi della storia dell’organizzazione attraverso la categoria di genere. Ricorrendo alle pubblicazioni in “The Black Panther” e ad alcune testimonianze, è possibile vedere come il Partito venne fortemente influenzato dal mito della “castrazione Nera” e dal mito del “matriarcato Nero”. In questo senso, fin dalle origini, il Partito insistette su una specifica costruzione della mascolinità eteronormata dell’uomo afroamericano, rendendo gregario il ruolo delle donne e sposando una visione tradizionalista e natalista – la quale avrebbe dovuto contrastare la paura di un possibile genocidio della comunità Nera da parte del governo statunitense. Alcune donne crearono dei propri spazi di agency, costruendo anche loro una specifica categorie di femminilità, descritta spesso come rivoluzionaria, legata alla maternità, spesso subalterna all’uomo afroamericano e centrata anche sulla condanna delle posizioni del femminismo bianco. Nonostante l’apertura alle donne, insomma, il Partito non riuscì mai a mettere in discussione il maschilismo al proprio interno, nemmeno quando alla fine degli anni Settanta a gestire l’organizzazione fu una don- na, Elaine Brown.

Nell’ultima parte del capitolo, invece, sono state analizzate le diverse posizioni del Comitato Centrale sulla nuova ideologia di Partito, l’Internazionalismo proletario, svolta sancita da Cleaver una volta lasciati gli Stati Uniti. Sono state quindi esaminate le fonti archivistiche relative all’esilio di Cleaver a Cuba e poi in Algeria, mettendo in risalto l’influenza dei paesi del Terzo Mondo sul ministro dell’informazione. In questa influenza, dipendente anche dalle relazioni di Cleaver con la Corea del Nord, diventa particolarmente evidente come non tutte le Pantere di spicco condividessero le posizioni di Cleaver. Gradualmente questi iniziò a spingere verso una ideologia più vicina alla realtà dei paesi comunisti non-allineati, insistendo sulla lotta armata e influenzando alcuni degli altri membri del Comitato Centrale – tra cui David Hilliard e Raymond ‘Masai’ Hewitt. Anche in quel caso si delineano ulteriori fratture ideologiche, rese più esplicite dalla scarcerazione di Newton nell’agosto del 1970.

L’ultimo capitolo, che analizza gli eventi dal 1970 al 1982 – ovvero dalla scarcerazione di Huey Newton allo scioglimento inerziale del Partito – evidenzia che le differenze ideologiche tra il ministro dell’informazione e il ministro della difesa contribuirono a spaccare il BPP. Cleaver dimostrò nei suoi scritti di non essere mai riuscito a fare una sintesi tra razza e classe nella sua idea di lotta politica, optando per una o per un’altra identità in maniera apparentemente arbitraria, ma spinse comunque per creare una ideologia marxista-leninista valida per tutto il Partito. Fu così che Eldridge cercò di identificare il BPP come il Partito del sottoproletariato, quella classe ritenuta da Marx incapace di fare la rivoluzione e che – secondo Cleaver – sarebbe diventata gradualmente maggioritaria in un contesto economico in cui i lavoratori fossero diventati obsoleti. Newton concordò con questa posizione fondamentalmente influenzata dalle posizioni di James Boggs. Ma se Eldridge si con- vinse della necessità della rivoluzione armata da iniziare con atti di guerriglia negli Stati Uniti, il ministro della difesa optò per un’altra strada. Rendendo l’“intercomunalismo” – teoria politica elaborata da Newton – l’ideologia del Partito, Huey allontanò l’idea di una rivoluzione imminente, provvedendo a rendere l’organizzazione esclusivamente riformista. Ciò che si sostiene nell’ultimo capitolo è che anche da queste fratture ideologiche dipesero sia la scissione del Partito in due diverse fazioni – una retta da Eldridge Cleaver e una da Huey Newton – sia la crisi del BPP.

L’ultima parte del capitolo è invece dedicata alla scelta di Newton di rendere la politica elettorale l’obiettivo del Partito. Anche grazie allo spoglio della Dr. Huey P. Newton Foundation Inc. collection, è stato possibile utilizzare alcuni documenti, confrontandoli al “The Black Panther” e alla letteratura scientifica in merito, per spiegare come il ministro della difesa abbia recuperato l’originaria natura politica riformista per rendere il Partito uno strumento per la lotta democratica della comunità Nera. Soffermandoci sulle posizioni di Newton del 1971, sulla campagna elettorale del 1972- 1973 di Bobby Seale e sugli anni in cui fu Elaine Brown a reggere il partito (1974-1977), è chiaro quindi come il ministro della difesa abbia operato verso una reinvenzione del Partito che escludesse elementi riconducibili alla violenza, garantendo così al BPP di sopravvivere alla violenza della polizia. Tuttavia, nonostante il Partito fosse riuscito ad allontanare le attenzioni di polizia ed FBI, a distruggerlo fu proprio il proprio leader. Questi si estraniò progressivamente dal Partito, occupato da problematiche personali spesso utilizzate da ricostruzioni come quella di Hugh Pearson che finirono per descrivere il Partito stesso come un’organizzazione esclusivamente criminale guidata da un gangster.

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