Per una democrazia del comune

Contro il governo del soggetto

Claire Fontaine, Gateway to Freedom (2005) - Courtesy of the artist (1000x748)
Claire Fontaine, Gateway to Freedom, 2005.

Una diagnosi della crisi della governamentalità neoliberale: è questo il tratto fondamentale che accomuna i saggi contenuti nel volume collettivo Dalla rivoluzione alla democrazia del comune. Lavoro, singolarità, desiderio, curato da Alessandro Arienzo e Gianfranco Borrelli per Cronopio (Napoli, 2015). Le note introduttive al volume, firmate da Arienzo e Borrelli, chiariscono l’obiettivo del saggio: offrire un’analisi delle trasformazioni delle soggettività contemporanee in un contesto segnato dalla crisi delle forme classiche della politica e dell’economia per come esse si sono date nel corso del Novecento e dopo la svolta neoliberale. Il taglio analitico vede gli autori impegnati nel tentativo di ripensare da cima a fondo il problema della trasformazione sociale, a partire dalla sperimentazione di forme alternative di soggettivazione, che dall’esaurimento dell’orizzonte simbolico della rivoluzione conducano all’affermazione di una democrazia del comune.

La borsa e la vita
Lo sforzo teorico di pensare i possibili ancoraggi di una democrazia del comune non poteva che partire con l’indagare i nessi tra la finanziarizzazione dell’economia e la costituzione politica della società in cui viviamo. A partire dal 2008, infatti, la governamentalità neoliberale appare impegnata nel tentativo di far fronte ad un susseguirsi permanente di crisi borsistiche, che scatenano effetti dirompenti sulla vita delle soggettività contemporanee. L’espansione del capitalismo negli ultimi quarant’anni è stata caratterizzata – afferma Negri nel saggio posto in apertura del volume – dal dominio della convenzione finanziaria, un dispositivo di cattura della ricchezza sociale che avrebbe sostituito la legge del valore-lavoro come strumento di imposizione del comando capitalistico sulla società. Un esempio del funzionamento del dispositivo di cattura finanziario è rappresentato, secondo Negri, dalla messa a valore delle produzioni dell’uomo per l’uomo, del welfare, ma non solo. Secondo Negri, nel darsi del comando capitalistico come finanza, la vita è stata messa a valore ed espropriata in virtù di ciò che Carlo Vercellone, nel suo saggio, chiama il «divenire rendita del profitto». Da qui l’insistenza di Negri e Vercellone sull’opportunità politica della lotta per un revenu social garanti.

Narrazioni in frantumi
Nel saggio di Arienzo, la vita messa al lavoro si presenta come una trama di narrazioni frantumate. Raccontare la realtà del lavoro richiede oggi, secondo Arienzo, uno sforzo di composizione, piuttosto che l’ascolto di una sinfonia già bella e pronta. È la fine di quelle che sono state le grandi narrazioni letterarie dell’Ottocento e del Novecento: personaggi corali del calibro del Metello di Vasco Pratolini sarebbero oggi letterariamente impensabili, poiché si è definitivamente eclissato quell’universo di senso (di valori, di forme di vita e di comunità) di cui essi si nutrivano. Prendere contatto con la frantumazione dell’universo simbolico del lavoro novecentesco significa anche fare i conti la fine della sua etica (etica del lavoro), che rappresentava la trama di riferimento di ogni possibile politica di trasformazione.

Oggi, al contrario, l’esperienza del lavoro si dà in un pluriverso di condizioni individuali, la cui composizione in una narrazione collettiva appare il più delle volte bloccata. Nonostante il lavoro abbia cessato di essere il perno dell’identità sociale, il precariato contemporaneo vive comunque la sfasatura determinata da un senso comune che ad esso attribuisce la funzione di accesso alla cittadinanza e ai suoi diritti (Arienzo). Nel suo saggio, Arienzo insiste particolarmente sulla nuova figura del soggetto produttivo, che nel contesto del modo di produzione contemporaneo appare – al di là di ogni frantumazione – come l’espressione di un’attività lavorativa che si è fatta interamente comune. Il lavoro del comune è sempre e anche – ci dice Arienzo – lavoro in comune, prassi produttiva che lega la soddisfazione di bisogni e desideri ad una cooperazione sociale sempre più estesa e ramificata. Se il lavoro vivo contemporaneo è una composizione di singolarità, è nella metropoli che si trova il suo bacino produttivo.

La metropoli, infatti, è il luogo all’interno del quale si incontrano e si scontrano dinamiche appropriative e forme di resistenza. Il saggio di Angela Polverino assume la metropoli come spazio produttivo e luogo di resistenza per la sperimentazione di forme di vita altre. Da questo assunto, il saggio della Polverino passa poi a disegnare i contorni della metropoli partenopea e dei luoghi in cui prende corpo la sperimentazione di commons urbani e di pratiche di riappropriazione come punto di partenza per nuovi processi di soggettivazione.

Dispositivo proprietario e meccanismi di valutazione
I saggi di Pierluigi Ametrano, Francesca Coin e Lorenzo Coccoli offrono un quadro molto dettagliato dei processi di soggettivazione che si svolgono sotto il segno della governamentalità neoliberale. Il saggio di Ametrano presenta le aporie dell’inconscio virtuale, ovvero della formazione di una «soggettività 2.0» all’epoca dei social network. Il saggio di Francesca Coin, invece, si segnala per la descrizione della trama dei poteri che ingabbiano il soggetto neoliberale. Intrecciando Marx con la lettura deleuzeana di Nietzsche, l’autrice offre spunti analitici di notevole interesse, volti ad evidenziare la sempre più stretta aderenza dei meccanismi di valutazione (che sostituirebbero il valore-lavoro come norma delle relazioni sociali) ai processi di soggettivazione.

Nella retorica del merito – così come nei processi di rating operati su scala globale da apposite agenzie – Francesca Coin vede la matrice di un ordine discorsivo volto all’assoggettamento degli individui all’interno della cornice della fine della società del lavoro. La valutazione appare in quest’ottica come il superamento della disciplina imposta in epoca fordista dal salario: la produttività del lavoro è infatti sempre più il prodotto di apposite procedure di valutazione, che incitano e sollecitano competitività e concorrenza. Oltre che all’interno dei meccanismi di valutazione, il soggetto neoliberale si forma nella traccia di quello che Lorenzo Coccoli nel suo saggio chiama «dispositivo proprietario» , inteso come una delle traiettorie delle attuali forme di assoggettamento. La governamentalità neoliberale – afferma infatti Coccoli sulla scia di Foucault – utilizza il dispositivo proprietario per accrescere il proprio potere di guida della condotta degli individui. Nel neoliberalismo la proprietà non appare più come un limite per l’esercizio del potere, ma come un supporto della sua azione di governo che coinvolge gli individui in una specifica modalità di governo di sé nella forma dell’impresa.

Conversioni rivoluzionarie e politiche di noi stessi
Il contributo di Gianfranco Borrelli, che chiude il volume, indaga le conseguenze sul piano dei processi di soggettivazione delle trasformazioni nei rapporti tra politica ed economia in epoca neoliberale. Con l’affermarsi della mondializzazione, secondo Borrelli, l’economia avrebbe eroso la mediazione della sfera pubblico-statuale, che nel secolo trascorso presiedeva alla formazione della figura del cittadino come soggetto della democrazia rappresentativa. Il primato dell’economia – afferma inoltre Borrelli – porta con sé il deperimento della società civile, ridotta a mera appendice della naturalità dei comportamenti economici orientati al profitto.

Il saggio di Borrelli si segnala non solo per la precisa diagnosi che offre della crisi dei processi di soggettivazione neoliberali, ma anche per la descrizione – decisamente innovativa e puntuale – dell’esaurimento dei modelli antagonistici della soggettivazione rivoluzionaria, che egli racchiude – sulla scorta di alcune intuizioni foucaultiane del corso sull’Ermeneutica del soggetto – nelle pratiche autopoietiche della conversione alla rivoluzione. Secondo Borrelli, la nostra contemporaneità sarebbe segnata dalla crisi delle due modalità specifiche di soggettivazione che hanno caratterizzato la vicenda politica degli uomini e delle donne negli ultimi due secoli. Da un lato, la crisi dei modelli neoliberali, legata alla sempre maggiore difficoltà con la quale vengono ad essere soddisfatte le promesse di felicità e di soddisfazione individuale da parte dell’economia capitalistica.

Dall’altro lato, l’esaurimento definitivo di ciò che, a partire dagli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, aveva rappresentato una forma di soggettivazione antagonistica calibrata sulla figura del rivoluzionario. Borrelli rilegge i processi di soggettivazione, che hanno accompagnato la vicenda rivoluzionaria dall’Ottocento in poi, alla luce delle particolari modalità attraverso le quali la figura del soggetto rivoluzionario si è data come «una soggettività che produceva un ordine simbolico, più che speculativo, rivolto a tracciare registri comportamentali, massime dell’azione, tecniche di condotta, finalizzate a produrre uno scarto di innovazione» (Borrelli, p. 206). La conversione alla rivoluzione ha rappresentato, secondo Borrelli, una costellazione di diverse pratiche del sé, attraverso le quali il divenire rivoluzionario dei soggetti ha preso corpo come uno specifico stile di esistenza.

Nonostante il loro esaurirsi alle soglie degli anni Cinquanta del secolo scorso, quando la militanza di partito avrebbe sostituito lo stile di esistenza del rivoluzionario, le pratiche di sé della conversione alla rivoluzione contengono, secondo Borrelli, una preziosa indicazione per i tempi a-venire: fuori da ogni ipostasi di soggetti rivoluzionari già dati, nessuna trasformazione è infatti pensabile senza un’adeguata politica di noi stessi. Le lotte per i beni comuni rappresentano, secondo Borrelli, un terreno percorribile per sperimentare«resistenze diffuse di controcondotte», saldamente impiantate sul terreno della cura di sé da parte dei soggetti.

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