Politica della dissonanza

Manifesta 12 alle prese col suono

Giuseppe Lana_2018

I.B. – Perché un festival dedicato alle dissonanze nel contesto della biennale nomade europea di Manifesta, che nel 2018 si tiene a Palermo?

Questa colonna sonora di una serie di attività cominciate ma mai completate è un indicatore del nostro tempo, forse più rilevante delle interfacce di immagini che vediamo sui social 

M.W. – È evidente che viviamo in un’epoca dove a prevalere è il visuale, ma il linguaggio del suono è forse più appropriato a descrivere il momento politico nel quale viviamo. «Discordia», «sincopìa», «dissonanza» sono tutte parole che ben descrivono la complessità del nostro tempo senza rimandare ad alcuna delle visioni della realtà che abbiamo avuto fin qui. Nella musica il termine «dissonanza» descrive il suono fastidioso che sentiamo quando due note separate anche solo di mezzo tono vengono suonate simultaneamente. La prossimità tra le note produce onde sonore che vibrano ravvicinate, creando un suono disturbante che è perfettamente adatto per il metal, il noise e le colonne sonore dei film horror. Oggi viviamo in una realtà che sembra vicina al mondo nel quale siamo cresciuti, eppure c’è qualcosa che leggermente stona con il mondo che abbiamo immaginato fino al 2018. La Brexit, l’elezione di Trump, la coalizione Lega e M5S in Italia, le politiche migratorie, il ritorno di immaginari riconducibili alla croce uncinata, ma anche la velocità della comunicazione, sono tutti esempi di una realtà lontana da quel che ci aspettavamo. Inoltre, credo che spesso ignoriamo il ruolo svolto dal rumore nella nostra vita quotidiana. La nostra cultura è sempre più visiva e continuiamo a ignorare l’estensione con la quale il rumore accompagna il flusso costante di immagini cui assistiamo quotidianamente. La colonna sonora del XXI secolo non si riduce alla musica di sottofondo o da ascensore sparata nei centri commerciali per spingerci a comprare di più. Piuttosto, ci ritroviamo in un flusso fatto di vibrazioni, segnali acustici, ronzii indesiderati che accompagnano l’abituale mormorio del traffico. Oltre a questo rumore di fondo, ci sono frammenti di canzoni, di film, suoni digitali che spesso attiviamo involontariamente attraverso i nostri touch screen, trailer di film, video musicali che poi richiudiamo. Anche quando ci sediamo in poltrona con l’intenzione di guardare un programma Tv, spesso lo facciamo per frammenti, interrotti da whatsapp, instagram, facebook… Questa colonna sonora di una serie di attività cominciate ma mai completate è un indicatore del nostro tempo, forse più rilevante delle interfacce di immagini che vediamo sui social. Manifesta 12 ci è sembrata la collocazione ideale per portare avanti un lavoro di ricerca su questo, invitando artisti, curatori e teorici a interagire attraverso incontri, performance sonore e video sul tema «politica della dissonanza». E Palermo, ovviamente, è una città fatta di rumori in un flusso costante.

Mike Rijnierse, Rob Bothof, Cube, 2015

Nel progetto proposto dal collettivo curatoriale il termine dissonanza sembra descrivere un mondo precario e in veloce trasformazione, soprattutto in senso autoritario, disegnando un panorama globale della discordia, politica, economica, sociale. All’arte verrebbe allora affidata una funzione di ricomposizione di uno scenario dal quale far emergere un senso e un’armonia altrimenti collassati. Il suono, il materiale che sembra essere privilegiato dal vostro progetto, ha una plasticità particolare, e dunque più adatta, rispetto ad altri materiali?

Dissonanza è un termine che può contribuire a spiegare la rapidità dei cambiamenti e il disorientamento della scena politica globale. Non so dire in che misura l’arte possa rimediare ai risvolti problematici del nostro tempo. Da curatore di arte politica, infatti, posso dire che l’arte si sta rivelando del tutto inefficace nel contrasto all’ascesa dei populismi e dell’estrema destra. E del tutto incapace di immaginare soluzioni di aiuto alla povertà e di supporto per le vittime di discriminazione. Tutti coloro che a vario titolo sono impegnati nell’arte politica non possono non ammetterlo. È arrivato il momento di azioni politiche concrete, nelle quali l’arte può svolgere un ruolo, anche se penso che essa non possa avere alcuna funzione di rilievo finché non avrà affrontano i suoi stessi pregiudizi e le sue stesse strutture di potere. Certamente, nell’ultimo anno abbiamo assistito a grandi passi in avanti con la campagne del #metoo e del #wearenotsurprised che hanno portato attenzione sugli abusi commessi nei confronti delle donne nel mondo dei media e dell’industria della creatività. Anche se le case editrici e le istituzioni di ambito artistico che hanno cominciato a parlare seriamente della necessità di rispettare le donne impiegate spesso ricorrono a pratiche molto discutibili in materia di retribuzione e selezione del personale. Il mondo dell’arte resta infatti prevalentemente un mondo di classi medio-alte, e questo ha un riflesso sui formati estetici proposti.

Politics of Dissonance porta l’atmosfera e l’estetica di un sound festival a Manifesta 12. Da un deposito di Vicolo del Pallone 4 per quattro giorni il pubblico sarà invitato a dialogare con artisti in un allestimento informale durante i quali l’arte sarà interrogata attraverso la musica e la danza. Inoltre, l’evento si è via via strutturato grazie a una specie di comunismo informale. Ho invitato tre associazioni partner a curare l’evento insieme a me: Artists at Risk-Perpetuum Mobile (Berlin-Helsinki), Quartair (Den-Haag) and Social Sensibility (Beijing). Quartair si è fatta carico del peso dell’organizzazione e del finanziamento, consentendo la partecipazione di Artists at Risk e di Social Sensibility. Questo è molto importante perché Artists at Risk lavora con artisti che sono seriamente in pericolo, trovando loro spazi di lavoro e posti sicuri, mentre Social Sensibility manda avanti a Beijing un programma per artisti a partire da una fabbrica e a questo evento porterà tanto operai quanto artisti professionisti.

Baran Caginli, Glorified Turkish History

Come è calato il vostro progetto nella cornice di una biennale dedicata al «giardino planetario», termine preso in prestito dal pensiero e dal lavoro del giardiniere entomologo Gilles Clément che con questa espressione ha operato una grande rottura estetica e concettuale nel modo di intendere l’enclosure del giardino e la vita che il giardino contiene?

 Sono d’accordo con Kant quando dice nella Terza critica che il più bel giardino è quello naturale e non tenuto. Penso che l’arte sia più interessante quando c’è qualcosa di fuori fase e che non può essere interamente compreso. Ma sono d’accordo che le ibridazioni culturali possono avare un ruolo molto importante e produrre tanto nuove estetiche quanto cambiamenti politici. Proprio come le recinzioni del giardino, quelle dello spazio dell’arte diventano interessanti quando sono attraversate. La buona arte ti porta fuori dai confini dell’arte, nella misura in cui momentaneamente dimentichiamo e ci perdiamo nella sua contemplazione. Credo che la sfida maggiore del nostro tempo sia quella di pensare una nuova politica adeguata alla velocità della comunicazione contemporanea. Siamo ancora bloccati sull’alternativa tra destra e sinistra, alla quale il sistema finanziario capitalistico rifiuta di obbedire, ma forse nel ritrovarsi e nel ballare insieme liberamente è possibile dimenticare le recinzioni che abbiamo costruito noi stessi e lanciare semi per nuove idee…

Qual è il ruolo del suono e di un’arte che privilegia la plasticità del suono nella riflessione sui limiti delle pratiche artistiche contemporanee che il vostro progetto sembra voler superare?

L’uso del suono mi sembra adatto a descrivere la dissonanza dei nostri tempi della quale dicevo poco sopra. Ma il suono consente un livello di fisicità della quale il pubblico dell’arte contemporanea manca. Carl Jung scriveva che l’uomo è in cerca di un’anima, ma oggi ho l’impressione che ciò che cerchiamo sia anche un corpo, in fuga dalla corsa del razionalismo che ha ridotto qualunque cosa a un valore numerico. Per fuggire dai rovinosi effetti del razionalismo e dai suoi improvvisi esiti irrazionali, piuttosto che immaginare di balzare in paradisi mondani o promesse di futuro, occorre fare un salto verso noi stessi, nella radicalità di ciò che non conosciamo e dentro questo presente inconoscibile. Credo che ballare sia un buon modo per questo, nella misura in cui ci riporta alla fisicità e ci fa perdere le inibizioni.

Chi sono gli artisti coinvolti nel progetto e cosa li accomuna?

Gli artisti sono stati scelti da me e dalle altre tre associazioni che con me curano il progetto. Tra loro figurano artisti come Nikolay Oleynikov (Chto Delat) e Oliver Ressler, figure di rilievo internazionale dell’arte politica, così come artisti italiani riconosciuti come Stefano Canto e Robert Pettena, il quale farà per l’evento un nuovo lavoro. La coppia tedesco-serba Rena Raedle e Vladan Jeremic farà un intervento che coinvolgerà il pubblico a partire dalle condizioni di povertà dei lavoratori delle fabbriche del tessile in Serbia, che producono indumenti per il mercato italiano. Marita Muukkonen e Ivor Stodolsky, fondatori di Artists at Risk, apriranno l’evento con una proiezione mentre discutono del valore del loro lavoro. Giuseppe Lana chiuderà l’evento con quattro manifesti pubblicitari formato gigante che saranno affissi in città. Sui manifesti sarà riportata una frase di Mussolini presa dal famoso discorso del 1935: un paese di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori… In questo lavoro intitolato Square, Giuseppe Lana rovescia il nazionalismo della frase mussoliniana scrivendola in quattro diverse lingue del mediterraneo: arabo, ebraico, turco, greco. Le frasi, riportate sui cartelloni, resteranno nella città di Palermo per quattro settimane. E, infine, siamo davvero molto contenti di collaborare con DJ collective Palermotherfucker, che porterà musicisti della città come BLCK.DOT, DJB e Your Noisy Neighbours a suonare tra il 6 e il 9 luglio.

Partecipano:

Antoine Agudze, Natasja Alers, Simone Bertugno (League of Art Legends), BLCK.DOT, Harold de Bree, Rob Bothof, Baran Çağinli, Caspar, Stefano Canto, Caspar & Mardirossian, Chto Delat, Amos Cappuccio, Sounkarou Dembélé, Blandine De La Taille, DJB, Ramy Essam, Fenni, Nico Feragnoli, Snövit Hedstierna, Shingo Inao, Fatoş İrven, Nikos Kokolakis, Giuseppe Lana, Yael Levy, Cristiano Luciani (aka Chris X), Gilles Mardirossian, Dominique Manu, Marita Muukkonen, Richard Nathaniel, Nikolay Oleynikov (Chto Delat) with Radio Pravda, Robert Pettena, Alessandro Rolandi, Dembele Sounkarou, Antti Tenetz, Zhao Tao, Issa Touma, Rena Raedle & Vladan Jeremic, Oliver Ressler, Mike Rijnierse, Ivor Stodolsky, Tito Valery, Zhang Wei, WuShuqing, Thom Vink, Your Noisy Neighbours, Hamid Zeggane, Tianji Zhao.

Domande e traduzione dall’inglese a cura di Ilaria Bussoni

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