Questo è un sogno

Una mostra di Giulio Rigoni

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Giulio Rigoni, Isola (dittico), 2022.

«Questo, è un sogno», così il nome della mostra alla Von Buren Contemporary, a cura di Marta Spanò, che ha abitato via Giulia tra fine e inizio anno. L’esergo è di Italo Calvino e rammenta una regola dello sguardo: «l’occhio non vede figure di cose che significano altre cose». Particolarmente pregnante questo testo tratto da «Le città invisibili», perché l’opera di Giulio Rigoni è una urbanistica del mistico, uno stradario di un immaginato superiore, che volteggia alare. Sulle nostre teste? Nei nostri cuori? È trascendenza sognata o immanenza realizzata?

Domande che perdono spessore dentro queste mappe che hanno bussole diverse, direzioni per intraprendere le quali bisogna dotarsi di linguaggi nuovi. La glossolalia di De Certeau viene in mente proprio per l’attitudine di queste opere a farsi oracolari di una esigenza dello spirito. Vagano, assieme ai pensieri di chi li guarda, nel profondo di un nero-costellazione che si apre ad altre misure, a nuove paci, a un universo di uomini che operano per operare, che abitano torri, si lanciano funicoli come gli acrobati di Sanguineti tra il proprio animo e quello degli altri, nella terra dei sogni edificabile solo mescolando l’io e il mondo.

Sembrano scene di un vangelo gotico romantico, disegni soffiati con l’amore degli amanuensi. Si viaggia nell’orto stellare di un pellegrino che si abbevera alla fonte (movimento della conoscenza) a quello che corre dietro un bastone cui è attaccata una chimera (movimento del desiderio). Tra un rinascimento postmoderno dai visi delicati e rosei alla scia di soli dorati, ideale collana dei giorni del sognatore. Uova covate da uccelli spaziali, navi sospese tra mari infiniti e terre immaginate. Il bello ha la consistenza della notte di mezza estate shakespeariana, dove si emerge dal fieno o dai cristalli, con il capo cinto di quelle regali corone che solo un bosco sa regalare. Reami altissimi.

Rigoni assomiglia molto alle sue opere. È un artista senza tempo. Usa la pittura a olio su legno, ampie decorazioni in foglia d’oro. Partecipa a un eterno artistico facendosi minuzioso esploratore del particolare. Costruisce come un artigiano atmosfere spirituali, tardo medioevali. L’allegoria ripopola il vivente, gli conferisce dignità: nelle singole opere c’è sempre il senso di un’esperienza esistenziale che è il doppio fondo segreto del reale. Sapere che esiste questo clandestino allora si trasforma nell’ancora possibile di un presente miserabile: la storia può avere ancora la sua poesia.

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