Ricchezza delle pratiche inventive

La miseria simbolica secondo Bernard Stiegler

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Si presenta qui un estratto dalla postfazione di Giuseppe Allegri al volume di Bernard Stiegler, La miseria simbolica. 1. L’epoca iperindustriale, appena pubblicato da Meltemi editore, nella collana Culture radicali, con traduzione e introduzione di Rosella Corda e una riflessione conclusiva del Gruppo Ippolita. Il libro verrà presentato e discusso all’interno di Bookcity Milano, il prossimo sabato 20 novembre, ore 12.30, presso il Circolo Filologico Milanese, Sala Liberty, Via Clerici 10, Milano, con un incontro titolato Riappropriarsi del reale: lotta estetica come lotta politica, con Gruppo Ippolita, Rosella Corda e Giuseppe Allegri. Questa la pagina web dove procedere per prenotare la propria presenza

Per i sentieri imprevedibili, eppure persistenti, degli incontri e incroci, lo stesso giorno di questa presentazione, a Roma, presso il Teatro India, si terrà la replica dello spettacolo Tiresias, un progetto imperdibile di Bluemotion con la regia di Giorgina Pi, amato alla follia dai noialtre di OperaViva Magazine. Progetto teatrale che ruota intorno alla figura di Tiresia, tanto cara a Bernard Stiegler, qui tratta da un testo di Kae Tempst, Hold Your Own. Si tratta di una ennesima, evidentemente non occasionale, coincidenza temporale, artistico-immaginativa, nel solco Stiegler-Tiresia-Tempest-Bluemotion, che troverete esplicitata alla fine di questa postfazione, ma già nell’esergo, evocando ancora una volta la permanenza stiegleriana che continua a tenerci uniti. Buona lettura, presentazione, visione.

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Hood up, he walks past them.
Blowing out smoke rings.
Singing out Wu-Tang.
Hating himself.
Kae Tempest, Hold Your Own

Con il titolo di questa breve postfazione si vuole evidentemente giocare linguisticamente con il celebre volume Misères du présent, richesse du possible (1997) di André Gorz, Autore molto caro a Bernard Stiegler, a partire dalle sue riflessioni sul post-fordismo e sull’immateriale, e guida di tutti noi nell’indagare proprio le occasioni del possibile nascoste nelle pieghe miserevoli del presente e – in questo caso – anche del simbolico.

Non darsi mai per vinti

Nella bella e puntuale premessa alla recentissima traduzione di questo oramai classico volume del 2004 di Bernard Stiegler, La miseria simbolica. 1. L’epoca iperindustriale, Rosella Corda interroga sin dall’inizio gli spazi del possibile gorziano, e soprattutto deleuziano, e del che fare? rintracciabili nell’analisi stiegleriana incentrata sulla consapevolezza – spesso rimossa dal pensiero critico – che la lotta estetica è lotta immediatamente politica. Quindi Corda conclude la sua riflessione invitando a un riesame dello stato dell’arte, evocando una postura in contropelo – quasi à la Walter Benjamin dello spazzolare la storia a contropelo – rispetto all’iper-industrializzazione della nostra vita quotidiana, che standardizza qualsiasi comportamento, per andare invece controcorrente, fuori sincrono, nella dissonanza tra prevedibile e imprevedibile, atteso e inatteso, dentro, oltre e contro quella che lo stesso Stiegler definirà come società automatica (a proposito della quale si veda Dentro, oltre e contro la società automatica. Con Bernard Stiegler, per un reddito di contribuzione). Perché questo è in definitiva il più rilevante lascito stiegleriano: non darsi mai per vinti nella ricerca di maggiore autonomia individuale e solidarietà collettiva. Consapevoli che, accanto alla spietata analisi critica di quel presente che ci risucchia negli automatismi della vorace società del controllo del capitalismo di piattaforma, c’è e ci sarà sempre uno spazio immaginativo da curare, sostenere e fomentare collettivamente.

Dalla parte delle pratiche inventive, per un’etica della ricerca collettiva

È infatti lo stesso Stiegler a notare che, malgrado i pervasivi processi dell’economia e del marketing digitale, «si replicherà, non a torto, che c’è ancora dell’invenzione e proprio in seno agli stessi processi qui descritti. E io confermerò. E dirò che bisogna analizzare queste pratiche inventive: l’ho fatto altrove, non ho mai cessato di farlo, almeno dal 1978, e inoltre credo che io stesso sia guidato, per la maggior parte del tempo e in tutte le mie attività, dalla preoccupazione di sviluppare questo genere di pratiche» (p. 121). E possiamo leggere la gran parte degli scritti, e tutte le attività portate avanti da Bernard Stiegler negli ultimi quarant’anni della sua troppo breve esistenza, proprio nel senso di innescare processi, tessere reti, immaginare relazioni per realizzare pratiche di sovversione degli automatismi e dei determinismi nei quali rimaniamo impigliati nel presente.

Per essere consequenziale a questa impostazione di studio, analisi, inchiesta e azione, che secondo me caratterizza e fonda una sorta di etica della ricerca collettiva negli studi e nei progetti di Bernard Stiegler, nel testo contenuto nel libro provo a nominare almeno alcuni dei passaggi attraverso i quali dare permanenza e poter mantenere viva questa eredità stiegleriana di contaminazione soggettiva intergenerazionale e di invenzione di nuove istituzioni che combattano la miseria del simbolico e diano forza, sostegno, autonomia ai processi di soggettivazione nel senso di maggiore libertà, responsabilità, condivisione e solidarietà.

Incontrare inedite soggettività, fondare nuove istituzioni

Si tratta di una sorta di chiamata alle armi della critica e delle pratiche inventive nella fiducia reciproca, sulla falsa riga di quella fondamentale conversazione tra Toni Negri e Gilles Deleuze, dove il filosofo francese esorta ad avere fiducia nel mondo: «vuole anche dire suscitare eventi, per piccoli che siano, che sfuggono al controllo, oppure dare vita a nuovi spazio-tempo, anche di superficie e volumi ridotti»1.

E Stiegler di eventi ne ha suscitati e fomentati in numeri infinti e qualità superlativa, per far precipitare nella vita quotidiana i benefici effetti farmacologici dei suoi studi. Per una sorta di primo affondo sui cantieri teorici e pratici tuttora aperti, in grado di restituire la permanenza della sua presenza tra noi che siamo rimasti orfani delle sue parole accorte, dei suoi sguardi generosi, dei suoi sorrisi a tratti malinconici, non posso non rinviare alla fondamentale intervista condotta da Stefano Simoncini per Rizomatica nell’inverno che precede la prima ondata pandemica, che poi risulterà essere l’ultimo inverno, per Bernard Stiegler (S. Simoncini, Territori laboratorio per una economia politica “ipermaterialista”. Strategie post-pandemiche contro il neuropotere delle piattaforme).

Da quell’intervista si riprende il suo mònito, per certi versi doloroso, rispetto alla sterile denuncia, da un lato della crisi delle istituzioni pubbliche, dall’altro del populismo: «bisogna fare proposte molto chiare, bisogna smettere di denunciare l’incuria dei poteri pubblici, la loro doppiezza, che è tutto vero ma non serve a nulla denunciare questo, non fa che aggravarlo, così come non serve a nulla denunciare il populismo, non fa che aggravarlo. Il problema non è denunciare qualcosa ma enunciare qualcosa, cioè produrre enunciati nuovi, generare concatenamenti collettivi fondati su enunciazioni nuove, grazie ai quali si arrivi a convincere la gente che sostiene il populismo, così come la gente che lavora alla Commissione europea, che in effetti hanno torto, e che è possibile fare altro. E quindi bisogna formulare proposizioni, e per farlo bisogna mettersi a lavorare, bisogna smettere di ripetere sempre la stessa cosa. Da vent’anni si sentono ripetere le stesse cose».

Smettere di ripetere sempre le stesse cose, produrre enunciati nuovi, generare concatenamenti collettivi, rompere gli steccati, incontrare soggettività inedite, fondare nuove istituzioni, questo ha sempre detto e fatto Bernard Stiegler. Perché il pregio della ricerca stiegleriana è sempre stato anche quello di muoversi da autentico e concreto visionario, contro la sclerosi dei pregiudizi, ad esempio quello dell’identità tra lavoro e impiego salariato2 che costringe l’essere umano dentro la gabbia della subordinazione, per immaginare invece istituzioni di tutela e promozione dell’essere umano laborioso nelle relazioni sociali e quindi co-progettare il futuro di una società a venire, sempre un poco più libera e garantistica. Perché Bernard Stiegler è stato e rimarrà sempre il nostro veggente, in parte anche oracolo, con gli occhi accecati da domande di giustizia.

Giovedì 6 agosto 2020: Bernard, Kae, Tiresia

E nelle ultime pagine di questo volume viene evocata la figura di Tiresia – il veggente dagli occhi cavati, l’indovino, visionario tebano con il corpo che vive i due sessi – a partire dal potentissimo film di Bertrand Bonello, uscito proprio negli anni di scrittura de La miseria simbolica.

Non posso non rileggere quel passaggio senza ripensare al giovane, alla giovanissima Tiresia di Kate Tempest in Hold Your Own (2014) [Resta te stessa, nella traduzione di Riccardo Duranti]. Giovanissimo e giovanissima Tiresia in trasformazione nel testo di Tempest che ho avuto la fortuna di vedere rappresentata da corpo, voce, canto, movenze, danze, musiche del formidabile Gabriele Portoghese, nella regia splendidamente evocativa di Giorgina Pi, all’interno del progetto artistico promosso da Bluemotion titolato Tiresias, una notte sul finire della prima estate pandemica, nel giardino del collettivo dell’Angelo Mai, vicino Terme di Caracalla, a Roma: un posto, un evento, una performance da sogno, da visioni, da fantasmi, da spettri. E Tempest, il 6 agosto 2020, ha comunicato dai propri account social la sua identità non-binaria, con il suo nuovo nome, Kae, e i suoi pronomi they/them. Resta te stessa, Kae Tempest.

E noialtri tutte, sempre quello stesso giovedì 6 agosto del 2020, abbiamo saputo – da una comunicazione online del Collège international de philosophie – che il nostro Bernard Stiegler non era più tra noi, scomparso nella sua casa di campagna, un vecchio mulino, a Épineuil-le-Fleuriel, nella valle della Loira, sede anche della sua scuola di filosofia (Pharmakon.fr), con università estiva annessa. Così, poche settimane dopo quella data – dopo quei due eventi precipitati nello stesso tempo, quelle due scelte comunicate quello stesso giorno sulle piattaforme social che ci informarono ai quattro angoli del pianeta – eravamo nuovamente seduti tra gli alberi e le luci dell’Angelo Mai a vedere, ascoltare, ballare, almeno mentalmente, Tiresias. Con la straniante certezza di aver percepito – in quella rappresentazione del corpo in trasformazione, transpulsionale dice Stiegler, che è Tiresia, dagli occhi cavati, da veggente cieco, cieca, da oracolo accecato, da «quindicenne/con i soliti sogni/la solita routine», con il cappuccio della felpa tirato su e la puntina che solca i dischi sui piatti, tra Tempest e Giorgina Pi – sicuro, almeno io, di aver sentito, forse anche intra-visto, come uno spettro che si aggirava per Roma, per l’Europa, ancora una volta, tutta l’energia immaginifica, sonica, visiva, acustica, elettrica stiegleriana che rimane qui con noi, malgrado tutto:

Tira su il cappello e passa oltre /Soffia anelli di fumo / Canta Wu-Tang a squarciagola / Si detesta.

Bernard-Tiresia vede, ricerca, immagina, suona, canta, danza ancora per noi.

Note

Note
1 G. Deleuze, Controllo e divenire, conversazione con T. Negri, originariamente pubblicata in Futur antérieur, n. 1/1990, ora anche in Id., Pourparler, Quodlibet, 2000, pp. 223-233, da dove è presa la citazione.
2Torna in mente il fulminante B. Stiegler, Entretien avec A. Kirou, L’emploi est mort, vive le travail!, Mille Et Une Nuits, 2015.

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